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DALL'AMERICA....

Post n°1743 pubblicato il 11 Novembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: FOCUS

Il popolamento delle Americhe è stato

molto più complesso di quanto ipotizzato,

e in alcune regioni vi hanno contribuito

gruppi ancestrali finora sconosciuti, come

dimostra una "firma" genetica che li

apparenta alle popolazioni australasiatiche,

in particolare agli indigeni del Papua,

dell'Australia e delle isole Andamane.

A scoprirlo è stato un gruppo internazionale

di ricercatori diretti da Eske Willerslev e J.

Víctor Moreno-Mayar dell'Università

di Copenaghen, in Danimarca, che firmano

un articolo pubblicato su "Science".

Molti studi si sono concentrati sulle prime

migrazioni umane in Nord e Sud America,

arrivando alla conclusione - basata

prevalentemente sul confronto del genoma

di persone viventi e un numero limitato di

DNA antichi, provenienti per lo più dal Nord

America - che le prime popolazioni americane

avrebbero iniziato a differenziarsi dai loro

antenati siberiani ed estremo-orientali poco

meno di 25.000 anni fa; in seguito, circa

15.000 anni fa, queste prime popolazioni

si sarebbero diversificate ulteriormente

in nordamericane e sudamericane.

Tuttavia ben poco si sapeva sulla dinamica

dei successivi spostamenti di queste genti.

Una nuove versione del popolamento

delle Americhe.

Una delle sepolture in cui sono stati

rinvenuti i resti analizzati.

Ora Moreno-Mayar e colleghi hanno

sequenziato il genoma di 15 antichi

americani, sei dei quali vissuti oltre

10.000 anni, provenienti da località

di tutto il continente: dall'Alaska fino

alla Patagonia. La scoperta più

sorprendente è stata la presenza di un

chiaro segnale genetico australasiatico

in popolazioni del Sud America, del

tutto assente in quelle del Nord America.

"Il fatto che questo segnale non sia stato

documentato in Nord America - osserva

Moreno-Mayar - implica che un gruppo

precedente [a quelli considerati i primi

americani] che lo possedeva era già scomparso,

oppure che un gruppo giunto più tardi ha

attraversato il Nord America senza lasciare

alcuna traccia genetica."

Una nuove versione del popolamento delle

Americhe.


Il sito di Trail Creek, in Alaska, dove sono stati

scoperti resti umani risalenti a circa 9000 anni fa.


Inoltre, le analisi hanno mostrato che le ondate

migratorie da nord a sud sono state molteplici,

portando a popolazioni chiaramente diversificate,

ma secondo un modello tutt'altro che lineare.

Le popolazioni insediatesi per prime in America

centrale, per esempio, sono risultate geneticamente

più differenziate sia dalle popolazioni del

nord sia da quelle del sud. A mostrare la

complessità del quadro è stata anche la

scoperta che il genoma estratto dai resti umani

scoperti nella Spirit Cave, in Nevada, quindi

Stati Uniti, è sorprendentemente simile a

quello dei resti trovati a Lagoa Santa,

nello Stato brasiliano del Minas Gerais,

a testimonianza di un rapidissimo spostamento

nel continente del loro gruppo di appartenenza.

Singolarmente, inoltre, i genomi della Spirit

Cave e di Lagoa Santa sono molto più vicini

ai nativi americani contemporanei rispetto a

qualsiasi altro gruppo antico o contemporaneo

sequenziato fino a oggi nel continente.

Una scoperta, questa, che ha anche permesso

di porre fine a una ventennale contesa giuridica

fra le autorità statunitensi e la nazione dei Paiute

-scioscioni - la principale popolazione di nativi

americani che vivono in Nevada - che dopo la

scoperta dei resti ne aveva rivendicato la

restituzione in base al Native American Graves

Protection and Repatriation Act.

Proprio grazie alle analisi effettuate da Eske

Willerslev e colleghi, nel 2016 lo scheletro di

Spirit Cave è stata restituito alla tribù e all'inizio

di quest'anno si è svolta una cerimonia di

sepoltura privata a cui ha partecipato anche

Willeslev.

Una nuove versione del popolamento

delle Americhe
Resti umani rinvenuti a Lagoa Santa,

in Brasile. (Cortesia Natural History Museum

of Denmark)
Un altro studio specificamente dedicato

alla genetica delle popolazioni andine degli

altopiani e al loro adattamento a quel

difficile ambiente - effettuato da un gruppo

internazionale di ricercatori diretto da John

Lindo della Emory University di Atlanta e

pubblicato su "Science Advances" - ha mostrato

che i primi insediamenti stabili sull'altopiano

risalgono a un periodo compreso fra i 9200 e

gli 8200 anni fa.

Le analisi effettuate su una serie di DNA antichi -

di età compresa fra i 6800 e i 1400 anni fa -

hanno rivelato che i primi adattamenti all'altitudine

sono insorti piuttosto rapidamente; tuttavia -

abbastanza sorprendentemente, come osservano

i ricercatori - non hanno interessato geni legati

all'adattamento all'ipossia (carenza di ossigeno).

(Le popolazioni andine attuali sono geneticamente

predisposte a una più elevata produzione di

emoglobina nel sangue.) Le prime mutazioni

hanno invece interessato il sistema

cardiovascolare.

Ma la modifica genetica più incisiva ha

riguardato la capacità di digestione dell'amido.

Verosimilmente è stata una risposta

adattiva alla dipendenza da una diet

a che per millenni ha visto la patata,

ricca di amido, come fonte alimentare assolutamente primaria.

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