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DORIS LESSING

Post n°1764 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

 

Doris Lessing secondo Laura Lilli


Laura Lilli
, giornalista di La Repubblica

ed esperta di letteratura inglese e americana,

racconta Doris Lessing, premio Nobel per

la Letteratura nel 2007 con la seguente

motivazione: «Cantrice dell'esperienza femminile

che con scetticismo, passione e potere visionario

ha messo sotto esame una civiltà divisa».

Negli anni lei ha avuto diverse occasioni di

incontrare la scrittrice Lessing, che idea si

è fatta di questa donna che ha dedicato la

sua vita alla letteratura, all'amata Africa e

alla passione civile contro ogni forma di

razzismo e discriminazione? L'ho intervistata

sei o sette volte fra l'83 (The FifthChild, Il quinto figlio)

e il 2008 (The Cleft, Una comunità perduta).

Mi è parsa una donna molto forte e molto creativa,

convinta del proprio talento e della propria grandezza,

decisa ad esprimerli, e a far riconoscere i propri meriti.

E ci è riuscita, vincendoun'infinità di premi nazionali

e internazionali, fino al tardivo Nobel (In Italia ha

vinto ilMondello e il Grinzane Cavour alla carriera).

Nella vita ha avuto molte traversie sia private sia

pubbliche, cominciando da quando a vent'anni venne

cacciata dalla Rhodesia del Sud -oggi Zimbabwe -

perché comunista e contraria all'apartheid che anche

lì si praticava) ma ha sempre saputo tenervi testa.

In lei sono molto forti il sentimento di essere inglese,

del primato dell'Inghilterra fino a tempi recenti,

ma anche l'amore per l'Africa, sul cui avvenire peraltro

ha molti dubbi . Questo per colpe sia occidentali,

sia locali (corruzione, burocrazie - vedi in proposito 

The Sweetest Dream, Il Sogno più Dolce, del 2001,

sul fallimento del comunismo e della decolonizzazione).

Doris Lessing è anche uno spirito aperto e libero.

Una volta ebbe a dirmi che gli scrittori sono "dei contatori

Geiger della cultura", cioè avvertono le cose in anticipo.

Lei certamente lo è stata. Nell'introduzione al 

fantascientifico Shikasta (1979) scrive: "Credo sia possibile

- non solo per i romanzieri . inserire la spina in una

sorta di Uhrmente-mente, o mente superiore, o

inconscio o quant'altro, e questo spiega un gran numero

di "coincidenze" o "avvenimenti improbabili" che si

verificano". Non conformista anche nella arcigna

repubblica delle lettere inglesi. Nell''83-84 ha scritto

due libri molto importanti: The Diary of a 

Good NeighbourIl diario di Jane Somers -

malinconica e realistica storia di decadenza e

vecchiaia (naturalmente al femminile) - seguito

da If the Old couldSe gioventù sapesse,

firmandoli con lo pseudonimo di Jane Somers.

Nessun critico ha riconosciuto il suo stile e, anzi,

sono stati stroncati salvo poi impapocchiare scuse

quando poi l'inganno è stato rivelato. Diffida dei

giornalisti e non ama essere contraddetta.

Questa la motivazione del Nobel: "Narratrice

epica dell'esperienza femminile, che con

scetticismo, passione e potere visionario ha

messo sotto esame una civiltà divisa".

La Lessing alla notizia del premio non

sembra aver reagito come ci si aspetterebbe

da una signora della sua età. Il suo carattere,

forte e diretto non è cambiato nonostante

i suoi 89 anni... Senza dubbio.

Lei è sempre la stessa. La notizia arrivò alla sua

agenzia in tarda mattinata, quando lei era a fare la spesa.

Cellulare spento, come al solito. Quando tornò alla

sua casa di Hampstead, carica di frutta e carciofi,

trovò una folla di giornalisti ad aspettarla e lo seppe

da loro. "Cristo!" Le scappò detto. E subito dopo:

"Erano trent'anni che lo aspettavo. Ho vinto tutti

premi che ci sono, tutti i dannati premi. Mi mancava solo quello".

Le chiesero se non ritenesse di dover rifiutare per

ragioni politiche. Rispose, candidamente. "Non ci avevo

pensato. Dovrei? Beh, ci penserò seriamente, va bene?".

Lo accettò. Pochi mesi dopo la intervistai su The Cleft.

Le chiesi in che modo il Nobel avesse cambiato la sua vita -

a parte il denaro. "Oh, in meglio!" mi rispose. "Mi ha

rimesso sulla scena, mi permette di parlare, di dire la mia

" Lei ha sempre parlato e detto la sua, risposi. "Mah...

ultimamente non più tanto, sa?". Di recente, invece,

ha dichiarato ai giornali che questo "maledetto Nobel",

tenendola sempre sulla scena, le impedisce di raccogliersi,

di avere tempo e spazio interiore per pensare in pace

ai prossimi libri. Tutte queste risposte sono vere.

Una delle caratteristiche di Doris Lessing è di buttare

sempre fuori, nei romanzi o in dichiarazioni pubbliche,

quello che pensa in quel momento o in quel periodo.

Così andò con la dichiarazione, che fece da Stoccolma,

che Obama se fosse stato eletto, sarebbe stato ucciso.

Quando la incontrai, le chiesi se pensasse questo davvero,

mi disse che in quella circostanza il suo pensiero

era stato riportato male (sempre i giornalisti!).

Ma Lei cosa pensa? Insistei. "Obama mi piace molto,

ma credo che se fosse eletto, certo sarebbe a rischio.

Non sarebbe la prima volta, negli Usa. Di recente,

basta pensare ai due Kennedy..." Quindi lo pensa,

e lo penserà almeno fino alle elezioni.

E con i suoi romanzi come si comporta, che

genesi hanno? Lo stesso vale per i libri. Se le

viene un'idea (di solito geniale) non esita a scriverla

e a servirla, come nuova provocazione, a critici e lettori.

Lo fa con tanta foga e partecipazione, che a volte i

suoi libri sono troppo lunghi, e in certe parti paiono

scritti in fretta. Avrebbero bisogno di un po' di editing,

e mi sono sempre chiesta se l'editore non osi o lei non

lo permetta (o, semplicemente, gli editors siano scomparsi...).

Poi c'è la questione della motivazione sul suo avere sempre

scritto dell'esperienza femminile nel nostro tempo.

E' assolutamente vero, ed è forse anche la ragione per

cui la commissione del Nobel ha esitato tanto prima di

premiarla. La sua grandezza consiste non solo nell'aver

sempre messo a fuoco temi scottanti, controversi,

trasgressivi, non-conformisti, avveniristici se non

addirittura e profetici, ma nell'averlo sempre fatto

dal punto di vista delle donne. Fin dal suo primo

romanzo, L'erba canta (1950), col manoscritto

del quale lasciò nel '49 la allora Rhodesia del Sud (oggi Zimbabwe),

cacciata per ragioni politiche. In quelle pagine racconta

di una donna bianca che in pieno regime segregazionista

osa amare un domestico nero. Tutto questo però ha un

"ma". Quello che ha scritto ha fatto di Doris Lessing,

già da molti anni, una bandiera del femminismo

internazionale. La cosa non le è mai piaciuta, perché

il suo timore principale è di venire racchiusa

in un'etichetta di "genere", mentre, giustamente,

lei difende la sua unicità e universalità. Non vuole

essere definita "femminista" ma nemmeno

"di fantascienza", o altro. Per il femminismo,

così, ha concepito un autentico odio.

Nell'82 disse al New York Times: "Quello che

le femministe vogliono da me è qualcosa che loro

non hanno preso in considerazione perché proviene

dalla religione.. Quello che veramente vorrebbero

dirmi è: 'Sorella, starò al tuo fianco nella lotta

per il giorno in cui quegli uomini bestiali non ci

saranno più'. Con grande rammarico sono arrivata

a questa conclusione". E quello che disse nell'82

vale ancora oggi.

Nella sua sterminata produzione, la Lessing

spazia attraverso molti generi senza troppa

difficoltà. Dal fantascientifico al memorialistico.

È possibile secondo lei intravedere un fattore

comune, di stile, di contenuto, un filo rosso che

lega i suoi romanzi? Sì, penso di sì. Certamente

Doris Lessing ha scritto anche di uomini, ma una

parte della sua originalità e la grandezza -lo pensano

anche i saggi di Stoccolma - sono senz'altro i viaggi,

mai gratuiti, all'interno della condizione femminile -

soprattutto colta, di media intelligenza e medio-

borghese - della nostra epoca, e questo è un primo

legame fra i suoi scritti. Ma non basta.

I suoi libri nascono, insieme, dall'osservazione

della realtà e da un'idea. Questa può essere tesi,

denuncia, confessione mascherata. Ma anche satira,

utopia (positiva o negativa), invenzione pura,

invenzione di altri mondi, sensibilità per l'invisibile o

l'apparentemente impossibile.E' un mondo votato

all'autodistruzione, che forse si può evitare con

un profondo tuffo nel misticismo (vedi sufismo).

Altri, come i genitori di The Fifth Child, dell'83,

non sono in grado di capire questo ragazzino

decisamente malvagio, che magari in un universo

differente sarebbe "normale". Così, la loro famiglia

va in pezzi. Anche su questo libro la intervistai e le

chiesi se dietro la favola ci fosse una morale.

Mi rispose, indignata, che "aveva semplicemente

raccontato una storia". Forse anche Aldous Huxley,

a chi gli avesse chiesto se Brave New World avesse

una sua morale, avrebbe risposto così.

C'è un libro in particolare a cui lei è legata?

Il libro che consiglierebbe a chi non conosce

ancora Doris Lessing? E' difficile dare una risposta.

Ma, se proprio fossi costretta a scegliere prenderei

Le memorie di Jane Somers.

Non per via dello scherzo ai critici, ma per il suo

contenuto. E' una grande, e fin qui unica, esplorazione

dell'invecchiare al femminile. E' un libro molto realistico,

molto dettagliato, sul venire meno delle forze, della

memoria, e cosa questo comporti nel modo di vivere,

mangiare, vestirsi. Non per caso un critico (maschio),

grande ammiratore di Doris Lessing, mi ha detto

di averlo trovato "molto sgradevole".

C'è un limite a quello che gli uomini vogliono sapere

delle donne.

Ha qualche ricordo personale, qualche aneddoto

curioso che vuole raccontarci? Ne ho moltissimi,

ma penso che il ricordo che ho della mia prima

intervista, nell'83, sia il più eloquente. Riguarda i

l femminismo. Effettivamente mi presentai a casa sua

con grande emozione, come se davvero stessi per

conoscere una "sorella". Ero entusiasta dei suoi libri

e racconti, a cominciare da Il taccuino d'oro (1962),

che parla, con enorme anticipo rispetto alla realtà

italiana, di donne intelligenti e autoconsapevoli,

logorate da una fatica quotidiana che restava invisibile

ai maschi In realtà avrei dovuto sospettare qualcosa,

quando il suo agente, con cui concordai l'intervista,

mi chiese se per caso "la Repubblica" non fosse

un giornale femminista. Esterrefatta, negai con forza.

Ciò malgrado, l'agente mi impose di mostrare alla

scrittrice la trascrizione dal registratore prima di scrivere.

Non sospettai nulla e mal me ne incolse. Trepidando

le chiesi se non si ritenesse una scrittrice femminista.

Mi rispose con sussiego che "almeno in questo paese

non sono considerata una scrittrice per sole donne

"Poi fece una breve pausa, e pensò di doversi spiegare

meglio, in tutte lettere. Aggiunse:"Vuol sapere cosa

penso del femminismo?", e senza darmi il tempo

di fiatare: "Sì, le dirò che cosa ne penso.

Penso che le femministe si siano autocastrate, e

messe da sole in un ghetto, limitandosi ai discorsi

 fra loro. E che, dichiarando guerra agli uo        

mini, hanno perso una importante, molto

importante occasione per cambiare il mondo.

Ecco cosa ne penso, del femminismo, io

" Era seduta, di fronte a me, con un cuscino

sulla pancia, su un divano della sua casa

accogliente, in un atteggiamento che sembrava

amichevole. Ma mi guardò da distanze siderali

con occhio di sfida.

*Laura Lilli (1937-2014) è stata scrittrice e

giornalista letteraria, specializzata in Studi

Americani alla Yale University (New Haven, 

Connecticut), ha poi collaborato con La Stampa,

il Corriere della sera e Panorama. Ha fatto parte

della redazione "Cultura" de la Repubblica fin

dalla fondazione (dicembre 1975).

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