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Sullo squalo bianco...

Post n°2647 pubblicato il 27 Marzo 2020 da blogtecaolivelli


12 febbraio 2020

Comunicato stampa

Il grande squalo bianco abita il Mediterraneo da almeno

3,2 milioni di anniFonte: Università di Bologna

Uno dei reperti storici dello squalo bianco in laboratorio

(© Università di Bologna) Un gruppo internazionale di

ricercatori guidato dall'Università di Bologna è riuscito a

ricostruire la complessa storia evolutiva di questo grande

predatore dei mari confrontando i dati genetici ottenuti

dall'analisi di reperti storici come denti, mascelle e vertebre.

Ma dai risultati emerge anche che la popolazione

mediterranea è oggi a rischio di estinzione

ANIMALI GENETICA

Il grande squalo bianco nuota nelle acque del Mediterraneo

da almeno 3,2 milioni di anni, molto più a lungo di quanto

ipotizzato finora.

E la popolazione presente oggi nel Mediterraneo è genetica-

mente più simile agli squali bianchi che abitano l'Oceano

Pacifico rispetto ai loro vicini dell'Oceano Atlantico.

 Partendo dall'analisi di reperti custoditi nei musei e trofei

storici, un gruppo internazionale di ricercatori guidato da

studiosi dell'Università di Bologna è riuscito a sequenziare

il DNA della popolazione di squali bianchi presenti nel

Mediterraneo ricostruendo, con un approccio che combina

genetica e modelli matematici, la loro inusuale storia evolutiva.

E lanciando un allarme per la loro possibile estinzione.

Lo studio è stato pubblicato sul "Journal of Biogeography". 

"La storia evolutiva delle popolazioni di squalo bianco è molto

complessa: un caso peculiare che ha dato vita ad una serie

di popolazioni stanziali distribuite attorno al globo, tra cui la

popolazione di squali bianchi del Mare Nostrum, che è unica

nel suo genere", spiega Agostino Leone, ricercatore

dell'Università di Bologna, primo autore dello studio.

"Gli squali bianchi oggi presenti nel Mediterraneo, però,

mostrano un tasso di variabilità genetica molto basso, e

questo potrebbe indicare un gruppo di esemplari molto

piccolo, in pericolo di estinzione". 

REPERTI STORICI E DNAIl grande squalo bianco (nome

scientifico Carcharodon carcharias) è il più grande pesce

predatore esistente sul pianeta: può arrivare a superare

i 6 metri di lunghezza per oltre una tonnellata di peso.

Oggi se ne possono trovare esemplari al largo del Sudafrica,

dell'Australia e della Nuova Zelanda, del Giappone e del

Nord e Sud America, oltre che nel Mediterraneo.

Nonostante però sia un animale iconico, protagonista di

film e documentari di grande successo - dal celebre

"Lo squalo" di Spielberg in avanti -, la sua storia è ancora

poco conosciuta. Lo squalo bianco del Mediterraneo, in

particolare, è stato fino ad oggi poco studiato, a causa di una

popolazione che nell'ultimo secolo è molto diminuita, cosa

che ha reso difficile trovare esemplari da analizzare.

Per superare questo problema, i ricercatori protagonisti di

questo nuovo studio hanno allora pensato di rivolgersi ai

musei e alle collezioni private italiane che custodiscono

reperti storici di squali bianchi come denti, mascelle e

vertebre risalenti agli ultimi due secoli.

Grazie a nuove tecnologie che permettono lo studio del

genoma antico, gli studiosi sono così riusciti a ricostruire

sequenze del DNA mitocondriale di diversi squali bianchi

del Mediterraneo da confrontare con quelle delle altre

popolazioni presenti sul pianeta.

 "Questi nuovi dati ci hanno permesso di osservare la

diversità biologica della popolazione mediterranea di

squalo bianco", dice Agostino Leone. "Analizzando e

confrontando sequenze di DNA di esemplari diversi, siamo

riusciti a calcolare che la popolazione di squali bianchi del

Mediterraneo ha iniziato ad accumulare le mutazioni che

l'hanno differenziata dalle altre popolazioni globali intorno

a 3,2 milioni di anni fa, smentendo così le credenze passate

sulla colonizzazione del Mediterraneo da parte di questa

specie solo a partire da circa 450 mila anni fa". 

DAL PACIFICO AL MEDITERRANEO

Un'origine così antica - molto più antica di quanto si pensava

fino ad oggi - ha permesso inoltre di confermare che lo squalo

bianco del Mediterraneo è più simile agli squali bianchi che

abitano l'Oceano Pacifico rispetto a quelli del vicino Oceano

Atlantico.

Un'affinità che si può spiegare solo ricostruendo il lungo percorso

di colonizzazione di questo grande predatore attraverso gli oceani.

 Secondo gli studiosi, la popolazione di squali bianchi che oggi

vive nel Mediterraneo discenderebbe da esemplari provenienti

dall'Oceano Pacifico, che passarono nell'Atlantico attraverso il

canale del Centro America prima della formazione dell'Istmo di

Panama, arrivando poi anche nel Mediterraneo.

Quando però circa 3,5 milioni di anni fa la nascita dell'Istmo di

Panama chiuse il canale tra Nord e Sud America, l'Oceano

Atlantico subì forti cambiamenti climatici che portarono

all'estinzione di molte specie marine, tra cui probabilmente anche

lo squalo bianco.

L'Atlantico si sarebbe quindi ripopolato di squali bianchi solo in

tempi recenti, probabilmente grazie a migrazioni di esemplari

dal Sudafrica: da qui la differenza genetica attuale con gli squali

bianchi del Mediterraneo. 

C'è infine un altro aspetto, molto preoccupante, emerso dallo

studio del DNA dello squalo bianco del Mediterraneo: il basso

tasso di variabilità genetica tra esemplari diversi.

Un dato che suggerisce la presenza di una popolazione molto

piccola e quindi in pericolo di estinzione. "

La popolazione mediterranea di squalo bianco è probabilmente

una piccola comunità in pericolo", conferma Agostino Leone.

"È molto importante mettere in campo azioni per salvarla:

la sua scomparsa sarebbe senza dubbio molto dannosa per

gli equilibri ecologici del Mediterraneo e per la già precaria

situazione a livello globale di questi maestosi predatori del

mare".

 I PROTAGONISITI DELLO STUDIO

Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Biogeography con il

titolo "Pliocene colonization of the Mediterranean by Great White

Shark inferred from fossil records, historical jaws, phylogeographic

and divergence time analyses".

La ricerca è stata realizzata da un gruppo internazionale di studiosi

coordinati da Fausto Tinti, Alessia Cariani e Agostino Leone del

Laboratorio di Genetica e Genomica delle Risorse e dell'Ambiente

Marino (GenoDREAM) del Dipartimento di Scienze Biologiche,

Geologiche e Ambientali dell'Università di Bologna.

Per l'Università di Bologna hanno collaborato inoltre studiosi del

Museo di Anatomia Comparata e del Dipartimento

di Beni Culturali. 

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