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Ecco un famoso bel film.

Post n°3302 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Fontamara (film)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Fontamara
Titolo originaleFontamara
Paese di produzioneItalia
Anno1980
Durata139 min
  • 205 min (versione estesa RAI)
Generedrammatico
RegiaCarlo Lizzani
SoggettoIgnazio Silone
SceneggiaturaCarlo LizzaniLucio De Caro
Casa di produzioneRAI Radio televisione italiana
FotografiaMario Vulpiani
MontaggioFranco Fraticelli
MusicheRoberto De Simone
ScenografiaLuigi Scaccianoce
CostumiLuciano Calosso
Interpreti e personaggi

Fontamara è un film del 1980 diretto dal regista

 Carlo Lizzani, basato sull'omonimo romanzo di Ignazio Silone,

ed interpretato da Michele Placido nel ruolo di Berardo Viola

 e da Ida Di Benedetto che per questa interpretazione ricevette

il nastro d'argento nel 1981 come migliore attrice non

protagonista.

Per i dialoghi, che si svolgono in gran parte in dialetto marsicano,

Lizzani si è avvalso della collaborazione di Guido Celano e di

 Luigi Silori.

Produzione

Area di via Vallone ad Aielli dove furono girate

alcune scene del film

Il film è stato interamente girato nella Marsica e in

parte nella Valle Peligna e aRoma.

 Le riprese sono state girate a Pescina, patria di Silone,

ad Avezzano(presso la Chiesa di San Giovanni e il

 Castello Orsini-Colonna) e nei borghi diAielli Alto e

 Gioia Vecchio (in evidenza la chiesa di San Vincenzo).

Alcune scene dei campi, oltre che nel Fucino, sono

state girate nei pressi diRoccacasale.

Il regista preparò per la TV una versione estesa del

film che dura 205 minuti.

Trama

Nel paese di Pescina, nell'Abruzzo marsicano, i cafoni 

senza un soldo sono vittime dei soprusi del governo fascista.

Tutto inizia con la deviazione del fiume cosicché i contadini

non possono più irrigare i campi, perché non hanno giurato

fedeltà al nuovo governo di Avezzano.

Il giovane Berardo appoggia gli ideali comunisti, ma è anche

un anarchico e dunque deve fuggire da Pescina, scappando a

 Roma; lì Berardo si forma culturalmente e conosce un

coetaneo della Marsica che gli comunica che la vita al paese

è insostenibile.

Berardo tuttavia intende combattere ma i fascisti recano

violenza alla sua famiglia, alla sua amata e alla fine lo

torturano a morte.

Puntata 1

Fontamara è un piccolo paese della Valle del Giovenco, nella 

Marsica orientale, oltre il Fucino.

La vita scorre sempre uguale, oltretutto ci sono stati gravi

danni a causa del terremoto del 1915, e molti giovani non sono

più tornati, in quanto arruolati nel regio esercito per

combattere la prima guerra mondiale.

Berardo Viola è uno dei giovanotti proletari di Fontamara, che

subisce le vessazioni del podestà di Avezzano, incominciando

dall'episodio in cui i paesani chiedono alla città un parroco per

la chiesa, e la Curia risponde inviando un asino, che Berardo fa

sfilare in trionfo per Fontamara, volendosi burlare e sfidare il

podestà.

Maria Rosa, una ragazza del paese segretamente innamorata di

Berardo, cerca di dissuaderlo da questa fida che è più grande

delle suo possibilità di semplice "cafone", ma Berardo non

demorderà.

La madre anche vorrebbe che Berardo la smettesse con gli slanci

dell'ideale comunitario, per sposarsi e mettere su famiglia, dato

che il padre è morto ladrone e brigante in Brasile.

Il padre di Maria Rosa è in fin di vita per la vecchiaia, e la ragazza

viene avvicinata dalla madre di Berardo, che le propone di sposarsi

il figlio per garantire la stabilità economica.

Infatti la famiglia Viola non ha un pezzetto di terra, rubatogli con

l'inganno dal parroco don Circostanza di Avezzano, ma la sua qualità

è una grande forza fisica, oltre che all'intelligenza, mal vista in paese,

dove arriva un nuovo ordine dal Prefetto di Avezzano, nell'osteria

principale di Fontamara diventa proibito per i "cafoni" parlare di politica.

L'incaricato dal prefetto don Innocenzo viene con astuzia deriso da

Berardo, che rievoca anche il prosciugamento del Fucino da parte

del Principe Torlonia, ricordano come i paesani di Fontamara non

abbiano tratto alcun beneficio nel coltivare le terre. Insieme ad altre

velate minacce, il vice prefetto se ne va ad Avezzano, dopo che è

stato sottoposto a una questione di "ragionamento" da parte dello

stesso Berardo, che in poche parola ha smascherato l'inutilità di quel

decreto, mostrando come sia soltanto velleitario, offensivo e

proibitivo da parte dei potenti, verso i poveri ignoranti.

A Berardo la gente propone di sposare Elvira, la proprietaria

dell'osteria, rimasta vedova col marito caduto sotto le armi, e

beneficiaria di una pensione statale, ma Berardo rifiuta.

Nel frattempo un imprenditore don Carlo "Magna" di Avezzano,

compie l'ennesimo sgarro a Fontamara, ossia drena la sorgente

del fiume Giovenco per costringere i paesani a comprarla in città.

Le donne fontamaresi si infuriano e decidono di recarsi al

Municipio di Avezzano, dove vengono insultate e derise, mentre

vengono a sapere che don Circostanza non è più il sindaco della

città, che tra l'altro non rendeva migliore la situazione al paese,

ma è il podestà, un forestiero di Roma, soprannominato

"L'Impresario".

Nel frattempo Berardo ha provato a trasferirsi in un'altra provincia

per lavorare come bracciante, ma alla stazione siccome non è

iscritto al partito fascista, viene rimandato a casa.

Le fontamaresi si recano nella lussuosa villa di don Carlo Magna,

lo storico feudatario di Fontamara, per avere spiegazioni, ma

non può fare niente, in quanto le terre del paese sono state

vendute proprio a codesto Impresario

Puntata 2

Viene presenta ala figura dell'Impresario, un cafone vero romano,

rozzo e volgare, che sta pranzando nella villa di don Carlo Magna.

Le donne di Fontamara lo incontrano, esponendogli il loro

problema.

Don Circostanza ne approfitta, con iperboli equivoche del

vocabolario italiano, per tranquillizzare la folla inferocita e

promettere il ripristino della sorgente del paese, e prepara le carte

dal notaio.

Sopraggiunge anche Berardo che minaccia don Circostanza per

una vecchia cambiale firmata per avere una terra in cambio della

sua, una terra però infruttuosa.

Don Circostanza promette di aiutarlo scrivendo a colleghi di

Roma, e infatti pare che la promessa si risolva, perché quella

sera all'osteria, si parla del fatto che lo Stato ha espropriato le

terre del Fucino al vecchio Principe Torlonia, per ridistribuirle

alle varie municipalità locale.

Fontamara si prepara a festa, e scende al Fucino, portando

anche il gonfalone civico.

Arrivati ad Avezzano però (Largo Castello), vengono tenuti

bloccati, e non possono recarsi in piazza per la distribuzione

ufficiale.

Li raggiunse don Circostanza, mentre ormai i poveracci

capiscono di essere stati ingannati, il quale però li tranquillizza,

dicendo di aver parlato per loro tramite.

Don Circostanza, ancora con le su iperboli dell'italiano, spiega

che secondo la legge ministeriale il Fucino andrà "a chi lo coltiva",

ossia a chi ha capitali, parlando immediatamente dopo che "per

il Fucino ci sarà lavoro per tutti per chi ha forza", ossia per i F

ontamaresi, relegati al misero ruolo di braccianti per coloro che

coltivano il Fucino, essendoselo spartito in lotti.

Tornando verso il paese, Berardo viene avvicinato da un sovversivo,

che gli propone di accordarsi con lui per compiere un attentato

contro don Circostanza, ma lui rifiuta, anche se la notte stessa,

all'osteria, progetta di fare delle ritorsioni pesanti contro l'ex sindaco

di Avezzano, nonché contro l'Impresario.

Tuttavia il tempo passa, la vita pare tornare normale in paese,

normale nel senso di un'atavica rassegnazione e adattamento ai

fatti che accadono, e l'Impresario ne approfitta per completare

l'opera di drenaggio delle acque.

Berardo allora con un gruppidi forti contadini attacca l'opera, e

distrugge i macchinari.

Il parroco di Avezzano giunge a Fontamara per placare gli animi,

invitando i popolani a rassegnarsi alle loro condizioni in quanto

cafoni, ma Berardo non si lascia convincere dalle lusinghe

del prete, soprattutto quanto l'uomo sciorina le massime di

saggezza dai Vangeli, cui Berardo contrappone le verità della

dura realtà terrena.

Il giorno dopo le donne fontamaresi si si incontrano con la

milizia di Avezzano presso il fiume, e si teme uno scontro,

cominciano a fare il malocchio contro don Circostanza, l'unica

cosa che possono fare, in quanto vengono disperse dalla

cavalleria.

Berardo intanto prova a trovare il metodo di ripartire per Roma, e

prima di farlo quella notte stessa, con un prestito di un amico, si

reca ad incendiare la stalla dell'Impresario.

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