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Messaggi di Novembre 2017
Post n°1526 pubblicato il 30 Novembre 2017 da blogtecaolivelli
da Le Scienze archeologiastoriagenetica America, quella della cultura Chaco, l'appartenenza allo stato sociale più elevato veniva trasmessa per linea materna. A stabilirlo è uno studio di genetica condotto da ricercatori della Pennsylvania State University e della Harvard Medical School a Boston, che lo illustrano in un articolo su "Nature Communications". Nobili per linea materna nell'antica cultura Chaco Fra l'800 e il 1130 della nostra era, la popolazione delle tribù pueblo che vivevano nella regione del Chaco Canyon - oggi nel territorio del New Mexico - aumentò in modo significativo, come accadde anche alle popolazioni pueblo del resto del continente. A differenza delle popolazioni più occidentali, tuttavia, il fenomeno fu accompagnato da un significativo cambiamento sociale: le comunità sparse si fusero in un'unica società, caratterizzata da grandi insediamenti, il più importante dei quali era quello di Pueblo Bonito. Nobili per linea materna nell'antica cultura Chaco Resti di una delle grandi case. A Pueblo Bonito esiste una dozzina di grandi case in muratura a più piani, con un numero elevato di stanze, da 50 a 650, e collegate da strade oltre a una serie di strutture di rilevanza evidentemente rituale. I reperti archeologici presenti nel sito indicano che fin dal IX secolo questa comunità era caratterizzata da un elevato grado di complessità e differenziazione sociale. In gran parte delle antiche società complesse l'appartenenza all'élite sociale era trasmessa in via ereditaria, secondo differenti modalità: per linea paterna, oppure materna, con le regole del maggiorascato eccetera, di cui spesso abbiamo testimonianze scritte. Il ruolo della successione ereditaria nelle società prive di scrittura - come appunto la cultura Chaco - resta però un problema generalmente irrisolto. Nobili per linea materna nell'antica cultura Chaco Monili e manufatti rinvenuti nella "camera 33" .All'interno della più grande casa di Pueblo Bonito, Douglas Kennett e colleghi hanno raccolto DNA da nove individui sepolti nella "camera 33", una cripta funeraria destinata a un membro dell'élite Chaco e ai suoi discendenti. L'accurata datazione dei r eperti ha mostrato che queste sepolture sono state effettuate nell'arco di 330 anni, mentre le analisi genetiche condotte dai ricercatori hanno rivelato che avevano genomi mitocondriali identici, segno che tutti appartenevano alla stessa linea materna. Nobili per linea materna nell'antica cultura Chaco Altri manufatti rinvenuti nella "camera 33". La successiva analisi del DNA nucleare sui sei campioni meglio conservati ha quindi mostrato che i rapporti di parentela fra quei soggetti erano quelli di madre-figlia o nonna-nipote. Ciò mostra che, fino al collasso di quella cultura, avvenuta intorno al 1130 d.C., la leadership sociale veniva tramandata per linea femminile. |
Post n°1525 pubblicato il 30 Novembre 2017 da blogtecaolivelli
da le Scienze La civilta' dell'Urartu America in seguito all'arrivo dei coloni europei non fu immediato. Le epidemie che falcidiarono l'87 per cento della popolazione indigena iniziarono solo un secolo dopo il primo contatto e coincisero con l'insediamento delle chiese missionarie Furono i Conquistadores i primi inquinatori del Sud America L'impronta dei Conquistadores sull'ecosistema delle coste peruviane in seguito all'arrivo dei coloni europei nel Nuovo Mondo fu molto più complessa di quanto ipotizzato e non avvenne subito dopo i primi contatti. A dimostrarlo è uno studio condotto da ricercatori della Harvard University e della Southern Methodist University a Dallas che ha permesso di ricostruire anche le enormi conseguenze ecologiche di quello spopolamento, descritte in un artcolo pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences". Il drammatico declino delle popolazioni native americane è un fatto accertato, ma c'è meno accordo sui tempi in cui si verificò. Secondo molti studiosi le malattie decimarono gli indigeni poco dopo il primo contatto con gli europei, altri invece sostengono che si sviluppò in modo più graduale, nel corso di molti anni. Il collasso dei nativi americani e l'arrivo delle missioni Ruderi di un antico villaggio pueblo in New Mexico. Le analisi condotte da Matthew J. Liebmann e colleghi sui resti di 18 antichi villaggi della popolazione indigena dei pueblos della valle di Jemez, nel New Mexico, dimostrano adesso che entrambe le ricostruzioni sono imprecise. Le epidemie scoppiarono quasi un secolo dopo i primi contatti, in coincidenza con l'insediamento dei missionari. "Nel sud ovest, il primo contatto tra i nativi e gli europei si è verificato nel 1539", spiega Liebmann. "Ma la malattie presero piede solo dopo il 1620, dopo di che si assistette a un rapido spopolamento fra il 1620 e il 1680". In soli 60 anni, la popolazione dei villaggi studiati crollò infatti dell'87 per cento circa, passando da 6500 abitanti a meno di 900. Lo spopolamento ebbe un enorme impatto culturale e sociale, con la perdita dei custodi della cultura tradizionale e delle autorità sociali e religiose, ma non solo."Le persone che vivevano in quei villaggi avevano bisogno di legname per i tetti, il riscaldamento e la cottura", ha spiegato Liebmann "Inoltre, disboscavano la terra per coltivare: in quelle aree gli alberi non crescevano. Ma, con la moria degli abitanti, le foreste ripresero a crescere e aumentarono gli incendi boschivi ". Il collasso dei nativi americani e l'arrivo delle missioni Ancora nel 1620 la valle di Jemez, nel New Mexico, ospitava 6500 indiani pueblo. (Matthew Liebmann) sull'attuale dibattito intorno all'inizio di una nuova era geologica, il cosiddetto Antropocene, caratterizzata dall'influenza degli esseri umani sul clima su scala globale. Alcuni studiosi vorrebbero far iniziare questa nuova epoca nel 1610 quando, come mostrano le analisi dei carotaggi nei ghiacciai, i livelli di CO2 scesero drasticamente in tutto il pianeta, un fenomeno messo in relazione con il forte aumento della vegetazione boschiva in tutto il Nord America. "L'argomento fa perno sull'idea che lo spopolamento delle Americhe sia stato così estremo da lasciare il segno nella atmosfera e nel clima globale. Il sud ovest è stato uno dei primi punti di contatto tra europei e nativi americani in quelli che sarebbero diventati gli Stati Uniti, ma nel 1610 la regione non aveva ancora sperimentato uno spopolamento catastrofico, quindi è difficile sostenere che ciò sia avvenuto in qualsiasi altra parte del Nord America in un breve lasso di tempo." Per tracciare le dinamiche dello spopolamento, Liebmann e colleghi sono ricorsi a un insieme di tecnologie, a partire dalla mappatura aerea con la tecnica LiDAR, che usa il laser per penetrare nella fitta vegetazione forestale e creare una mappa con una precisione di pochi centimetri, tanto da aver permesso di calcolare la struttura e l'architettura dei 18 villaggi. Successivamente i ricercatori hanno sviluppato un'equazione basata sul volume di ogni singolo edificio mappato che ha consentito di stimare quante persone vivessero nella zona. I risultati sono stati poi messi in relazione con quelli ottenuti da studi dendrocronologici (ossia basati sull'analisi degli anelli di crescita degli alberi), che hanno consentito di scoprire che proprio fra il 1630 e il 1650 si è verificata una rapida crescita forestale in aree precedentemente tenute a coltura. |
Post n°1524 pubblicato il 24 Novembre 2017 da blogtecaolivelli
Da Internet
Comunicato stampa - Un team di ricerca internazionale che coinvolge l'Ispaam-Cnr spiega in uno lavoro pubblicato su "Nature Communications" e finanziato da Airc perché le cellule tumorali resistono ai farmaci chemioterapici in alcune patologie oncologiche, aprendo prospettive per lo studio e la messa a punto di nuove cure che rendano le cellule malate più sensibili a chemio e radio medicinaRoma, 23 ottobre 2017 - Uno studio pubblicato sulla rivista "Nature Communications" cui ha partecipato l'Istituto per il sistema produzione animale in ambiente mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Ispaam-Cnr) di Napoli getta nuova luce su alcuni meccanismi molecolari responsabili della resistenza delle cellule tumorali alla chemio e radioterapia. proteomica abbiamo individuato un nuovo meccanismo funzionale della proteina Ape1, un enzima di riparazione del danno al Dna che contribuisce al processo di instabilità genetica associata a diversi tumori, come quelli che colpiscono seno, ovaie e il cervello (glioblastoma), scoprendo un nuovo ruolo nel processo di tumorigenesi", spiega Andrea Scaloni, direttore dell'Ispaam-Cnr dove, grazie alle strumentazioni presenti, sono stati svolti gli studi di proteomica del lavoro. "Abbiamo capito che la proteina Ape1 è in grado di regolare il processamento dei microRna, piccole molecole dell'acido ribonucleico (Rna), contribuendo alla regolazione dell'espressione di geni coinvolti nei fenomeni di chemioresistenza. Inoltre abbiamo evidenziato come questa proteina, interagendo con molte altre, giochi un ruolo importante nello sviluppo del cancro". hanno supportato la scoperta, aprendo nuovi scenari terapeutici. "I risultati di questa ricerca saranno fondamentali per lo studio e la messa a punto di farmaci innovativi, capaci di interferire con questo meccanismo di resistenza e di rendere le cellule malate maggiormente sensibili al trattamento con gli agenti terapeutici comunemente utilizzati, come i chemio e i radio-terapici, aumentandone così l'efficacia e la specificità", conclude il direttore dell'Ispaam-Cnr. ricerca sul cancro (Airc), è stato coordinato da Gianluca Tell dell'Università di Udine, in collaborazione con l'Istituto di genomica applicata di Udine, il Laboratorio nazionale Cib di Trieste, il Centro di biologia integrata dell'Università di Trento, il National Institute of Health di Bethesda (Usa) e il Cancer Center of Daping Hospital di Chongqing (Cina). |
Post n°1523 pubblicato il 24 Novembre 2017 da blogtecaolivelli
08/10/2011 Lo spettro di Lascaux sulle grotte di Altamira 16/11/2007 archeologiaarteRisale ad almeno 35.000 anni fa la piccola scultura femminile in avorio di mammuth ritrovata nella grotta di Fels (Hohle Fels), vicino alla cittadina di Schelklingen, nel Giura svevo, nella Germania sud-occidentale. Questa datazione della "Venere di Hohle Fels" indica che essa rappresenta uno dei più antichi esempi di arte figurativa del mondo. Per fare un confronto, la famosa "Venere di Willendorf", il più celebre esempio di scultura paleolitica, secondo le più recenti datazioni risale a 22-24.000 anni fa. Nicholas J. Conard, dell'Istituto di studi preistorici dell'Università di Tübingen, pubblicato su "Nature". stratigrafici nella cui prossimità è stata ritrovata la nuova Venere indica un periodo compreso fra i 31.000 e i 40.000 anni, e l'insieme dei dati stratigrafici la fa attribuire agli albori del periodo cosiddetto Aurigniaziano. (Un orizzonte stratigrafico è un'interfaccia che indica una posizione particolare nella successione stratigrafica, dotata di caratteristiche tali da poterne seguire l'andamento laterale.) settembre 2008 a tre metri sotto l'attuale pavimento della grotta, a una ventina di metri dall'ingresso della caverna. Alta otto centimetri, la scultura appare ben conservata, pur mancandole il braccio sinistro. serie di tratti molto originali che la distinguono dalle altre Veneri posteriori. La prima cosa che si nota è l'assenza della testa, al cui posto, al di sopra delle larghe spalle è scolpito un piccolo anello inciso. Le braccia sono corte con mani ben scolpite dalle dita chiaramente identificabili appoggiate sul ventre, appena al di sotto del prominente seno, mentre una serie di linee orizzontali tracciate su tutto il corpo richiamano la presenza di un vestito o un drappeggio.Tweet |
Post n°1522 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli
DA INTERNET L'analisi del DNA ricavato da mummie egizie mostra che il flusso genetico proveniente dalle popolazioni sub-sahariane presente nella popolazione odierna è piuttosto recente. Le precedenti, floride colonie greche e romane in Egitto non sembrano invece aver lasciato una traccia apprezzabile di sè geneticaarcheologiaGli antichi egizi erano strettamente legati alle popolazioni del Medio Oriente e alle popolazioni neolitiche della penisola anatolica e dell'Europa. Nel genoma degli egiziani di oggi si trovano invece chiare tracce di significative interazioni con popolazioni sub-sahariane, del tutto assenti negli egizi del tempo dei faraoni. dell'Università di Tübingen e del Max Planck Institut per la scienza della storia umana a Jena, che sono riusciti a sequenziare il genoma mitocondriale e nucleare tratto da antiche mummie. La ricerca è descritta in un articolo su "Nature Communications". su antico DNA ricavato da mummie egizie, gli autori osservano che si tratta dei primi risultati veramente affidabili, grazie al ricorso alle più avanzate tecniche di sequenziamento e all'uso sistematico di test di autenticità per garantire l'origine effettivamente antica dei dati ottenuti. in molte tombe e alcune delle sostanze chimiche usate nelle tecniche di mummificazione contribuiscono al degrado del DNA. Si riteneva quindi che fosse improbabile la sopravvivenza a lungo termine del DNA nelle mummie egiziane", spiega Johannes Krause, coautore dello studio. conservate in musei di Tübingen e Berlino, i ricercatori sono riusciti a estrarre e sequenziare il genoma mitocondriale di 90 individui e quello nucleare di tre. Le mummie prese in esame coprono un lasso di tempo di circa 1300 anni, e provengono tutte dal sito di di Abusir el-Meleq, nel Medio Egitto. genetica nelle popolazioni di Abusir el-Meleq vissute in epoca pre-tolemaica (prima del 332 a.C.), tolemaica (fra il 332 e il 30 a.C.) e romana (successiva al 30 a.C.), indicando che a dispetto della notevole influenza culturale e politica esercitate nel periodo più tardo da greci e romani, il loro contributo genetico alla popolazione egizia fu trascurabile. genetico dell'immigrazione greca e romana sia stato più pronunciato nel Delta nord-occidentale del Nilo, nella regione di Fayum, dove risiedeva un'importante colonia greco-romana, oppure tra le classi più alte della società egizia. limitato a causa della politica di Roma di ostacolare i matrimoni fra romani e locali. Sposandosi con un cittadino romano, si acquisiva infatti la cittadinanza romana, ambita per i privilegi che comportava. (bpk/Aegyptisches Museum und Papyrussammlung, SMB/Sandra Steiss)I dati suggeriscono anche che il flusso genetico dalle regioni sub-sahariane - che nella popolazione egiziana attuale costituisce l'8 per cento del genoma - si è verificato ben più tardi. All'origine della mescolanza - ipotizzano i ricercatori - vi fu forse il miglioramento della mobilità lungo il Nilo, l'aumento dei commerci su lunga distanza tra l'Africa sub-sahariana e l'Egitto e ancor più, la tratta degli schiavi lungo le vie carovaniere che attraversano il Sahara e che iniziò solo 1300 anni fa. |
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