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Messaggi di Dicembre 2019

AUGURI A TUTTI

Post n°2461 pubblicato il 29 Dicembre 2019 da blogtecaolivelli

BUON CAPODANNO 2020 A TUTTI

BUONE FESTE A TUTTI.

 
 
 

Auguri...

Post n°2460 pubblicato il 24 Dicembre 2019 da blogtecaolivelli

Blogteca augura un felice Natale a tutti.

Buone Feste

 
 
 

Ritrovato un antichissimo santuario....

Post n°2459 pubblicato il 24 Dicembre 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Archeo

Santa Vittoria di Serri.

Luce sul santuario nuragico

Nuova campagna di scavi

29 ottobre 2019


Dal 1 ottobre 2019 la Soprintendenza Archeologia, belle arti

e paesaggio di Cagliari ha dato avvio a una nuova campagna

di scavi archeologici e lavori di consolidamento e restauro

nel santuario nuragico di Santa Vittoria di Serri.

Localizzato sul margine orientale della Giara di Serri,

altopiano basaltico al confine tra la Trexenta e il Sarcidano,

il santuario di Santa Vittoria è uno dei siti più importanti

della Sardegna per la ricostruzione della protostoria dell'isola

nell'età del Bronzo e del Ferro e per la conoscenza delle

pratiche religiose delle popolazioni nuragiche.

L'area conosce inoltre una continuità di frequentazione che

perdura fino all'età altomedievale.

La scoperta oltre un secolo fa

Il rinvenimento del santuario risale al 1909, quando Antonio

Taramelli dette inizio agli scavi archeologici nel sito che

proseguirono a più riprese fino al 1931, portando alla luce

la maggior parte delle strutture e degli edifici oggi noti e

visibili, oltre a importanti reperti archeologici, molti dei

quali attualmente esposti nel Museo Archeologico

Nazionale di Cagliari.

Ulteriori interventi di scavo e restauro vennero condotti a

partire dagli anni '60 dalla Soprintendenza Archeologica

per le province di Sassari e Nuoro di Sassari, da Ercole Contu,

Fulvia Lo Schiavo e Maria Ausilia Fadda, a cui si sono aggiunti

negli ultimi anni gli scavi realizzati dal Comune di Serri

con la direzione di Giacomo Paglietti.

Dritti al "cuore" del Santuario

Le indagini in corso interessano in particolare il cosiddetto

recinto delle feste, una vasta area situata nel cuore del santuario

nuragico costituita da un muro di recinzione ellittico a cui si

addossano vari ambienti a pianta circolare, un settore verosimil-

mente porticato e altre strutture ancora di non chiara definizione.

Interpretato da Giovanni Lilliu come luogo di incontro delle

genti nuragiche in occasione dello svolgimento delle cerimoni

e religiose, il complesso necessita indubbiamente di ulteriori

approfondimenti d'indagine, considerando in particolare che

tutta la zona centrale risulta sostanzialmente non ancora

scavata e di non facile lettura.

Alla ricerca della verità archeologica

L'obiettivo dei lavori in corso è infatti quello di verificare

l'articolazione di questi spazi e di indagare, anche alla luce del

progresso degli studi in ambito nuragico, la funzione di questo

settore centrale nella topografia complessiva del santuario,

evidenziando anche eventuali fasi di rioccupazione e frequenta-

zione in età punica, romana e altomedievale.

Per tutta la durata dei lavori, il cantiere di scavo archeologico

sarà visibile al pubblico che visiterà l'area archeologica di Santa

Vittoria.

 
 
 

Narbona Romana....

Post n°2458 pubblicato il 24 Dicembre 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Archeo

Narbona Romana. Una necropoli la

raccontaScavi in corso

14 ottobre 2019


L'INRAP mobilita i suoi archeologi migliori

È una missione che potrebbe sembrare

impossibile quella che sta impegnando

una massiccia squadra di archeologi

dell'INRAP (l'Istituto nazionale di archeologia

preventiva francese) per salvare una necropoli

romana alle porte di Narbona, nella regione

dell'Occitania.

L'area, destinata ad alcune infrastrutture, è

considerata di eccezionale interesse archeologico.

La missione di scavo è interamente sostenuta

dal governo francese che conta di riportare

in luce quante più tombe possibili "raccontandole"

poi nel nascente Museo delle Antichità romane

di Narbona.

La prima colonia dei Romani in Gallia

Subito dopo la conquista della Gallia da parte

dei romani nel 125 a.C., la città di Narbona

fu scelta come prima colonia di diritto romano

fuori dall'Italia. Un secolo più tardi Augusto

fece di Narbo Martius la capitale della

Provincia di Narbona, che si estendeva dal

Fréjus fino a Tolosa e ai Pirenei e dal

Mediterraneo fino a Vienna e Ginevra.

In poco tempo Narbona divenne un florido

centro economico nonché uno dei porti più

grandi del Mediterraneo occidentale.

La sua posizione strategica la rendeva di fatto

crocevia insostituibile anche per gli scambi via

terra e fiume. L'intera provincia avrebbe preso

il nome di Gallia Narbonense "come omaggio"

a questa città.

Una necropoli con oltre mille tombe

Il sito funerario sorge alla congiunzione di

due strade, seicento metri a est della città

antica.

Tra I e II sec. d.C. occupava duemila metri

quadrati di superficie ospitando, si stima, un

migliaio di tombe di cui "solo" trecento al

momento sono state scavate.

La necropoli è caratterizzata da una rigida

suddivisione degli spazi con "piazzole"

delimitate da muretti e talvolta divise da

stradine di servizio.

Il tutto a sottolineare la presenza di diversi

gruppi sociali, come riportato anche su alcuni

epitaffi dove si legge il nome dello schiavo o

"libero" (quasi sempre di origine italiana).

Ben distinte fisicamente anche le aree che

furono destinate alla sepoltura della plebe.

Inutile dire che ai signori furono riservati

posti (i migliori) lontano dai poveri.

Parola d'ordine: cremazione

La maggior parte delle sepolture testimoniano

il rito, molto diffuso in quest'epoca, della

cremazione.

Le tombe contengono per lo più ossa combuste

cui si accompagnano brocche di vetro o ceramica,

vasetti di profumi e lampade.

Recipienti che testimoniano l'importanza delle

offerte in onore del defunto.

Nella cenere delle pire sono stati rintracciati resti di

frutta carbonizzata tra cui datteri e fichi.

Prove (inedite) di libagioni

Proprio l'ottimo stato di conservazione ha reso

possibile documentare per la prima volta in tutta

la Gallia pratiche di libagione compiute nei press

i di almeno tre tombe.

Nel terreno circostante le sepolture sono stati

infatti rinvenuti vari tipi di ceramiche, anfore,

coppe e conchiglie.

L'analisi dei resti organici associati ai reperti ha

potuto confermare le ipotesi di partenza.

Un sito salvato grazie all'acqua

La vicinanza del Canal de la Robine (che ancora

oggi taglia in due la città di Narbonne costituendo

una delle sue principali attrazioni) ha svolto un

ruolo fondamentale per la conservazione dei resti

del sito.

La necropoli è stata infatti protetta da circa tre

metri di limo provenienti dalle esondazioni che

di fatto hanno sigillato i diversi strati archeologici

permettendo di analizzare l'evoluzione della

pratiche funerarie così come quella dei riti di

commemorazione.

"Una Pompei francese"

«La varietà di sepolture, l'incredibile stato di

conservazione, la straordinaria sovrapposizione

di tombe e reperti - secondo gli archeologi

dell'Inrap - rende questo sito dell'antica

Gallia un unicum paragonabile a Pompei e

Roma. Uno spaccato senza precedenti di

come si viveva e moriva (da signori o da

schiavi) a Narbonne duemila anni fa».

 
 
 

Da Gibilterra...Calpeia

Post n°2457 pubblicato il 24 Dicembre 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Archeonews

 Ecco "Calpeia". Signora neolitica vissuta a Gibilterra

30 settembre 2019


Ritrovamento in grotta

Una ricostruzione straordinaria. Impressionante per

i particolari, per l'espressione e per il fatto di portarci

"in soggettiva" indietro nel tempo fino al volto di

una donna vissuta a Gibilterra 7500 anni fa.

Ecco a voi dunque "Calpeia", la signora del neolitico

così ribattezzata per via dell'antico nome latino della

Rocca di Gibilterra (Mons Calpe), dove, all'interno

di una grotta sepolcrale nei pressi di Punta Europa,

un team di archeologi del Museo Nazionale di

Gibilterra rinvenne i suoi resti, tra cui il cranio, nel 1996.

Tecnologia d'avanguardia

Ventitré anni dopo la straordinaria scoperta,

i progressi tecnologici hanno permesso al Museo

Nazionale di Gibilterra sotto la guida dell'archeologo

Manuel Jaén di collaborare con la Harvard Medical

School e realizzare l'incredibile ricostruzione

facciale forense.

Durata sei mesi, "l'operazione" ha comportato il

rimodellamento di una copia scannerizzata del

teschio e l'integrazione delle parti mancanti.

Il risultato? Una rappresentazione quanto mai

realistica della testa di Calpeia.

Per i genetisti era al 90% turca

Dall'analisi del Dna isolato dai resti ossei della

 mujer neolitica è risultato che il 10 per cento

dei suoi geni è riconducibile ad antenati cacciatori

-raccoglitori del Mesolitico e il 90 per cento alle

popolazioni dell'Anatolia (attuale Turchia).

Questo significa che Calpeia o i suoi antenati avevano

probabilmente raggiunto Gibilterra dal Mediterraneo

orientale portando con loro le nuove tecniche poi

insegnate alle popolazioni locali e che finirono per

diffondersi in tutta Europa.

Il Neolitico o "età della pietra nuova" fu contrad-

distinto dalla diffusione dell'agricoltura importata

in Europa dal Medio Oriente.

Nella colonia britannica, nel XIX secolo, furono

anche rinvenuti resti ossei dell'uomo di Neanderthal.

Mistero sulla morte

La ricostruzione delle caratteristiche fisiche

partendo dai dati genetici, nota come

fenotipizzazione del Dna, ha permesso un'analisi

approfondita del cranio, rivelando che Calpeia era

una donna di 30-40 anni dagli occhi e capelli neri

. A giudicare dalle dimensioni del cranio, non

doveva essere molto alta.

Le cause della morte non sono chiare e il cranio subì

una deformazione dopo la sepoltura.

Angelita La Spada

 
 
 

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