blogtecaolivelli
blog informazione e cultura della biblioteca Olivelli
TAG
TAG
Messaggi del 30/05/2020
Post n°3001 pubblicato il 30 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Dentisti di 9.000 anni fa Nei villaggi sedentari del periodo Neolitico, oltre a pastori, contadini, vasai e sacerdoti, c'erano anche abili artigiani, capaci di praticare vere e proprie trapanazioni ai denti per curare le... Dentisti di 9.000 anni fa Nei villaggi sedentari del periodo Neolitico, oltre a pastori, contadini, vasai e sacerdoti, c'erano anche abili artigiani, capaci di praticare vere e proprie trapanazioni ai denti per curare le carie. L'uomo della pietra andava dal dentista. È quello che è emerso dallo studio di diversi denti umani ritrovati recentemente nell'area anticamente occupata dal villaggio di Mehgarh, uno dei villaggi sedentari del periodo Neolitico ritrovato ai piedi dell'Hindukush, nell'attuale Pakistan. Un team di biologi e antropologi coordinati dal diparti- mento di biologia animale e dell'uomo dell'università La Sapienza di Roma ha sottoposto i 4.800 denti ritrovati nel sito a un'attenta analisi e ha scoperto che undici molari tra quelli rinvenuti, appartenuti a nove adulti maschi e femmine, presentano evidenti segni di quelle che senza dubbio sono le cure dentistiche più antiche mai documentate fino ad ora. «Dai fori presenti nei denti è evidente che per curare la carie già 9.000 anni fa venivano impiegati strumenti simili ai moderni trapani da dentista» ha affermato Alfredo Coppa della Sapienza. Trapani manuali. Dovevano essere estremamente efficienti gli antenati dei trapani, visto che in uno dei denti esaminati è addirittura evidente l'utilizzo di una tecnica di rimozione dello smalto sorprendentemente moderna. I denti risalgono tutti a un periodo di circa 1.500 anni compreso tra il 7.000 e il 5.500 a.C., quando il villaggio di Mehgarh era popolato soprattutto da pastori, da agricoltori e da artigiani esperti nella lavorazione della selce. E proprio di selce erano fatti i trapani rinvenuti: costituiti da bastoncini di legno di circa 15 centimetri ai quali erano fissate sottilissime punte di questo materiale, venivano fatti girare 20 volte al secondo con l'aiuto di un archetto così che il foro, di circa un millimetro di diametro, era completato in circa un minuto.
Secondo i ricercatori lo strumento assomiglia molto agli utensili impiegati per forare le perline usate già allora per confezionare monili e decorazioni. Si suppone quindi che la pratica di trapana- zione dentale si sia sviluppata proprio come evoluzione di questa tecnica di perforazione. (Notizia aggiornata all'11 aprile 2006-
|
Post n°3000 pubblicato il 30 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet I borghi e i paesi sul lago d'Iseo sono gioielli di viuzze e negozi, tra storia e naturalismo. da IN-LOMBARDIA.IT
Fra i grandi laghi prealpini, il Lago d'Iseo spicca per la bellezza dei paesaggi e il fascino della propria antica storia. Posizionato a cavallo fra le provincie di Bergamo e Brescia, annovera lungo le proprie coste borghi e località altamente suggestive e dalla spiccata identità. Partendo da Sulzano e procedendo in senso orario verso est, troverai innanzitutto il paese di Iseo, da cui il lago prende l'attuale nome. Si tratta di un borgo medioevale, ricco di chiese (S. Maria del Mercato, Pieve di Sant'Andrea, S. Maria della Neve, ecc.) e con l'antico castello del quale rimangono le grosse mura e le quattro torri. Procedendo verso ovest si costeggia la Riserva Naturale Torbiere del Sebino e, passando per Clusane e Paratico, si giunge a Sarnico, nella provincia di Bergamo. Il borgo si presenta come un intreccio di caratteristiche viuzze - alcune delle quali ricche di negozi - con le quali allontanarsi o ridiscendere verso il lago. Tanti gli angoli suggestivi, così come le bellezze artistiche ed architettoniche da vedere, come la Pinacoteca Gianni Bellini presso Palazzo Gervasoni, o la Torretta Civica. Risalendo la costa si arriva a Predore e Tavernola Bergamasca, centri molto antichi e dai quali si ha una visuale mozzafiato sul Lago d'Iseo, soprattutto se si sale al Santuario della Madonna della Neve (o di San Gregorio) oppure in vetta al Corno di Predore. Sempre sul versante occidentale del lago, si trovano quindi Parzanica, Riva di Solto e Solto Collina, piccoli comuni molto caratteristici. Solto Collina è un borgo medioevale, con un delizioso centro storico perfettamente conservato. Nei pressi di Riva di Solto non perderti l'Orrido del Bogn, una sublime chicca naturalistica. Salendo ancora, giungiamo quindi a Castro e a Lovere. Quest'ultimo, annoverato fra "I borghi più belli d'Italia", è stretto fra i monti e il lago, con la sua splendida piazza dalla quale poterlo ammirare. L'edificio più importante è il palazzo con l'Accademia di belle arti Tadini, che conserva prestigiose opere di Antonio Canova. Il centro ospita anche il nuovo porto turistico di Cornasola, il più grande di tutto il Sebino. Compiendo il giro di boa rispetto alla morfologia del lago, arriverai a Costa Volpino, posizionato esattamente all'inizio della Valcamonica. Qui il fiume Oglio trova sbocco nel bacino lacustre. Scendendo adesso sulla costa orientale - di nuovo in provincia di Brescia - giungerai a Pisogne. Trattasi di un centro antichissimo, dove sono state ritrovate tracce di insediamenti preistorici . Da visitare: Piazza del Mercato con la Torre del Vescovo e la Chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta. Avvicinandoti a Sulzano, e quindi a Montisola, si trova Marone, operoso centro non lontano da Monte Guglielmo (il più alto intorno al Lago d'Iseo) e nella Via Valeriana, mulattiera di origine romana, antico passaggio obbligato per la Valtrompia. Si giunge infine a Sale Marasino, con la sua Villa Martinengo e la Chiesa Parrocchiale di S. Zenone. Sarai quindi di nuovo di fronte a Montisola, sul versante bresciano del Sebino. Concludendo il giro a Sulzano - punto di partinenza dell'itinerario - che è stato protagonista dell'opera "The Floating Piers" di Christo. Il tour attorno al lago ti permetterà di conoscere la vera storia, cultura e scorci naturali imperdibili del Sebino. |
Post n°2999 pubblicato il 30 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il primo trapianto di polmoni per salvare un malato di Covid-19Al Policlinico di Milano effettuato un trapianto di polmoni in un diciottenne, malato di Covid-19, in condizioni critiche. Il paziente è salvo. L'Italia si conferma al top della chirurgia dei trapianti a livello mondiale, con un intervento eccezionale che ha salvato la vita a un giovane malato di Covid-19, eseguito al Policlinico di Milano. Il trapianto di polmoni è avvenuto il 18 maggio, ma soltanto ora che il ragazzo inizia a riprendersi possiamo darne notizia. Diciotto anni compiuti da poco, alto, sportivo, atletico e senza nessuno dei fattori di rischio associati alle forme più gravi di Covid-19, Francesco è finito in rianimazione, per due mesi, all'Ospedale San Raffaele di Milano. «Il ragazzo era tenuto in vita grazie alla circolazione extra- corporea e al polmone artificiale, ma non avrebbe potuto riprendersi senza il trapianto, perché i suoi polmoni erano distrutti» spiega Mario Nosotti, direttore della Scuola di specialità in chirurgia toracica dell'Università di Milano e dell'Unità operativa di chirurgia toracica del Policlinico. «Il trapianto di polmone è sempre un intervento complesso, ma eseguirlo su un paziente Covid-19 in condizioni così critiche ha ci ha posto di fronte a sfide inedite». IN ATTESA. Una volta presa la decisione, il primo passaggio è stato aspettare che il corpo del giovane fosse privo del virus, dato che non avrebbe avuto senso introdurre i nuovi organi, con il rischio che la malattia li attaccasse. «Abbiamo eseguito diversi test a distanza di giorni. Quando il risultato negativo si è confermato siamo passati alla seconda fase» dice il medico. Per la gravità delle sue condizioni, Francesco è stato inserito nella lista d'attesa con priorità urgente. Ma anche l'individuazione del donatore non è stata semplice. «In fase di lockdown le donazioni sono diminuite» spiega Nosotti; «Inoltre, il ragazzo è piuttosto alto e non è stato banale trovare organi compatibili e di dimensioni adeguate». Il coordinamento con il Centro Nazionale Trapianti ha comunque permesso, dopo due settimane, di individuare un donatore da un'altra regione. Soltanto a questo punto il giovane è stato trasferito al Policlinico. DIECI ORE IN SALA OPERATORIA. «Le incognite dell'intervento erano molte», prosegue il medico. «Non sapevamo in che stato avremmo trovato le vene e le arterie che dovevano essere collegate ai nuovi polmoni, e non sapevamo quanto poteva resistere il paziente, in una situazione così delicata. Durante l'operazione, per esempio, è stato necessario fornire un supporto anche al cuore». Non solo. «Sebbene il paziente fosse ormai negativo al coronavirus, abbiamo adottato tutte le misure anticontagio per proteggere il personale; ma in sala operatoria queste precauzioni complicano il lavoro» racconta Nosotti. «La mascherina FFP3, indossata assieme al casco ventilato, può rendere difficile la respirazione, soprattutto se si porta per molte ore. Il doppio camice intralcia i movimenti; i doppi guanti limitano la sensazione tattile, che invece, nei trapianti, fornisce informazioni importanti». Per circa 10 ore al tavolo operatorio si sono alternate due équipe, mentre una terza era pronta a dare un ulteriore cambio, in caso di necessità. Alle 10 di sera il paziente è uscito dalla sala ed è stato ricoverato in terapia intensiva, dove si trova tuttora. TEMPO PER RECUPERARE. L'intervento è riuscito, ma il ragazzo fatica a tornare a respirare in modo autonomo, per via dei lunghi mesi trascorsi attaccato al polmone artificiale» conclude il chirurgo. «È sveglio e vigile e sta facendo fisioterapia per recuperare la funzione. Certo, il fatto di essere un giovane sportivo lo ha aiutato. Ma avrà bisogno di tempo per riprendersi, anche psicologicamente». |
Post n°2998 pubblicato il 30 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Nuove lettere romane dal Vallo di Adriano 25 documenti su tavolette di legno sono stati rinvenuti in un fortino avanzato del Vallo di Adriano: nuove testimonianze di vita dalle guarnigioni di Roma, tra cui lamentele e una richiesta di... vacanza. Una delle tavolette scoperte nel forte romano. | THE VINDOLANDA Un nuovo malloppo di testimonianze scritte è venuto alla luce tra le mura di Vindolandia, una fortificazione per truppe ausiliarie a un paio di chilometri dal Vallo di Adriano, fatto erigere dall'imperatore Adriano nel 122 d.C. per segnare il confine tra la Britannia occupata dai romani e la Caledonia rimasta ai barbari (a sud dell'odierna Scozia). TESORO ARCHEOLOGICO. Venticinque documenti inediti su tavolette di legno sono stati scoperti, il 22 giugno, sul fondo di una trincea nel livello più basso delle complesse stratificazioni del forte, edificato prima in una zolla erbosa, poi in legno e quindi in pietra. La datazione è quella delle prime fasi di costruzione del muro: dal primo secolo in poi. VITA AL FRONTE. Il sito di Vindolandia è caro agli appassionati di storia militare romana, perché dal 1970 restituisce testimonianze scritte della vita dei soldati nelle zone di frontiera. Il ritrovamento più importante, con centinaia di lettere recanti comunicazioni pratiche (700 delle quali ormai tradotte) risale al 1992: quelle tavole riportano ai giorni nostri lamentele per i piedi freddi, richieste di nuove scorte di birra e racconti di feste di compleanno improvvisate nelle fredde notti del Northumberland, una contea a nord est dell'Inghilterra, quasi al confine con la Scozia. I documenti sono stati ritrovati a intervalli regolari tra le macerie, non è chiaro se posizionati apposta o forse scivolati da una busta per la corrispondenza bucata. | THE VINDOLANDA TRUST VIA THE GUARDIAN UNA VACANZA, PER FAVORE. Nei nuovi documenti ritorna una vecchia conoscenza degli archeologi, il decurione (un comandante di cavalleria) Masclus, lo stesso che nei documenti ritrovati 25 anni fa chiedeva rifornimenti di birra per i suoi uomini. In una delle lettere appena scoperte, l'uomo sembra implorare una licenza, un permesso motivato forse da una sonora sbronza. SCRITTE PER RESTARE. La maggior parte delle tavolette è scritta con inchiostro ormai sbiadito su legno di betulla, ma c'è particolare attenzione su una di esse, vergata su un doppio strato di quercia, materiale più pregiato che doveva servire per comunicazioni più importanti e che potrebbe aver conservato meglio le tracce delle lettere. Le tavole dovranno essere analizzate agli infrarossi per decifrarne la scrittura, ma alcune di esse appaiono in parte già traducibili. Rispetto ad altri documenti romani scritti su tavolette rivestite di cera - l'equivalente degli odierni post-it per appunti poi cancellabili - quelli di Vindolandia erano intesi per comunicazioni più ufficiali e permanenti. Nonostante ciò, il tono è più personale e colloquiale di molti altri testi, per chi li legge oggi: un vero tuffo nel passato. |
Post n°2997 pubblicato il 30 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet L'aldilà secondo gli Egizi Una mostra racconta 27 maggio 2020 "Sotto il cielo di Nut. Egitto divino". fino al 20 dicembre 2020 al Civico Museo Archeologico di Milano. di entrare nel mondo degli antichi Egiziani attraverso sculture in bronzo, pietra e faïence, rilievi votivi, sarcofagi, mummie ed elementi del corredo funerario che accompagnava il defunto nell'Aldilà. Statuetta - reliquiario a forma di gatto, bronzo, Epoca Tarda - Epoca Tolemaica (664- 30 a.C.). Milano, Civico Museo Archeologico. Com'è noto la molteplicità degli dèi e delle loro forme nell'arte e nella spiritualità dell'antico Egitto è uno degli aspetti più carat- teristici di questa civiltà millenaria. L'esistenza di tante figure divine, i cui nomi sono noti dalle fonti testuali che spesso accompagnano le immagini, ha suscitato fin dall'antichità ammirazione nei confronti degli abitanti della valle del Nilo, considerati particolarmente devoti e in possesso di un sapere occulto. Stele votiva con orecchie dedicata da Usersatet alla dea Nebet-Hetepet, XIX dinastia (1295-1189 a.C.). Torino, Museo Egizio. Allo stesso tempo, il ricorso a figure ibride che uniscono a forme umane forme animali, nonché il culto particolare tributato ad alcuni animali sono stati visti con sospetto da culture improntate all'antropomorfismo come sola modalità di raffigurazione della divinità. Statuetta di Tauret dedicata dal disegnatore Parahotep, XIX dinastia (1295-1189 a.C.). Torino, Museo Egizio. La spiritualità egizia, da questo punto di vista, non sarebbe che il riflesso di una cultura primitiva, idolatra, dominata dal timore verso le forze naturali. Come ricomporre questi diversi sguardi? Cosa si nasconde dietro questa incredibile ricchezza di immagini che ci attrae ancora oggi, e non solo per la loro indubbia eleganza formale? Stele votiva con orecchie dedicata da Usersatet alla dea Nebet-Hetepet, XIX dinastia (1295-1189 a.C.). Torino, Museo Egizio. L'unico modo per rispondere a tale quesito è cercare di entrare nell'universo spirituale e concettuale di questa civiltà, che ha elaborato in modo originale una propria visione del cosmo e del ruolo che in esso è riservato tanto all'uomo quanto agli dèi. Stele di Pashed dedicata alla triade Osiride-Iside- Horus, XVIII-XX dinastia (1539-1076 a.C.). Milano, Civico Museo Archeologico. Questa visione è stata instancabilmente tradotta nelle forme reputate più consone per esprimere ciò che non è né visibile né rappresentabile: il divino e ciò che c'è al di là della morte. Tanto Egitto anche da noi I reperti selezionati provengono tutti da realtà italiane ovvero dalla collezione egizia del Civico Museo Archeologico di Milano, Museo Egizio di Torino, Museo Archeologico Nazionale di Firenze, Museo Civico Archeologico di Bologna, Civico Museo di Antichità "J.J.Winckelmann" di Trieste e Museo di Archeologia dell'Università di Pavia. Info: Tel. 02/88465720 In apertura: Dettaglio del sarcofago a cassa di Peftjauauiaset con raffigurazione della dea Nefti, XXV - XXVI dinastia (747-525 a.C.). Milano, Civico Museo Archeologico. |
Post n°2996 pubblicato il 30 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Le antiche connessioni tra le popolazioni di Eurasia e America Le origini dei nativi americani e il lungo viaggio della peste: dal DNA di antichi abitanti della Siberia emergono nuove, inaspettate scoperte. Il lago Baikal, in Siberia. | ANTON PETRUS | SHUTTERSTOCK Le popolazioni di Eurasia e America sarebbero connesse da più tempo di quanto si pensasse: è quanto emerge da uno studio, pubblicato su Cell, che ha analizzato la genetica di alcuni antichi abitanti delle rive del Lago Baikal, in Siberia, riscontrandone l'origine mista tipica dei nativi americani. La ricerca dimostrerebbe inoltre la mobilità delle popolazioni vissute in Eurasia durante l'Antica Età del Bronzo (2300-1700 a.C.), testimoniata anche dalle numerose mutazioni e mescolanze genetiche.
ANTICHI LEGAMI. Che Siberia e America fossero connesse fin dall'antichità era già chiaro agli studiosi da tempo. Tuttavia uno degli individui analizzati in questo studio, vissuto 14.000 anni fa durante il Paleolitico Superiore, è il più antico nel quale si sia riscontrata la mescolanza di antenati tipica dei nativi americani. Per determinare con precisione il luogo e il periodo in cui le due stirpi, quella degli antichi eurasiatici del Nord e degli asiatici nord-orientali, si siano unite, sarà necessario studiare altri genomi appartenenti alle diverse popolazioni vissute in Siberia durante il Paleolitico Superiore.
I MOVIMENTI DELLA PESTE. Lo studio ha anche portato a galla delle connessioni intracontinentali, evidenziate dalla presenza di un batterio tristemente noto, lo Yersinia pestis, causa delle diverse epidemie di peste che si sono susseguite durante la storia. Nonostante si sia sempre ipotizzato che la diffusione dello Yersinia pestis fosse iniziata con le massicce migrazioni di popolazioni provenienti dalle steppe eurasiatiche (nel centro del continente), gli archeologi ne hanno rinvenuto delle tracce sui resti di due individui di origine asiatica nord-orientale vissuti durante l'Antica Età del Bronzo: il batterio avrebbe quindi viaggiato insieme ai suoi ospiti attraverso l'Eurasia molto prima di quanto si pensava. Inoltre, le tracce del patogeno riscontrate nella coppia sarebbero collegate a un ceppo contemporaneo identificato in un altro soggetto ritrovato nella regione Baltica, in Europa nordorientale. «Questa presenza orientale di antichi ceppi dello Y. pestis fa capire che durante l'Età del Bronzo le popolazioni eurasiatiche percorrevano lunghe distanze», afferma Maria Spyrou, uno degli autori dello studio. |
Post n°2995 pubblicato il 30 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Egitto, la tomba intatta di un sacerdote di 4.400 anni fa La casa eterna di un alto dignitario dell'Antico Regno è venuta alla luce sotto alle sabbie di Saqqara: contiene statue e rilievi a colori, perfettamente conservati e rimasti nascosti per millenni. Statue e scene di vita quotidiana nella tomba di Wahtye, appena rinvenuta a Saqqara, in Egitto. | MOHAMED Una macchina del tempo sepolta nel deserto, a cinque metri di profondità, che ha conservato intatti per millenni, come in uno scrigno, i suoi tesori: la tomba di un sacerdote di nome Wahtye, vissuto nell'antico Egitto ai tempi delle Piramidi di Giza, è stata scoperta a Saqqara, un sito archeologico a sud del Cairo che in antichità serviva da necropoli per Menfi, capitale dell'Antico Regno. La tomba risale a 4.400 anni fa e contiene decine di statue e rilievi a colori perfettamente conservati, iscrizioni dettagliate sul dignitario deceduto e sulla sua famiglia nonché scorci pit- torici di vita quotidiana dell'epoca. Gli archeologi che l'hanno riportata alla luce con una serie di scavi iniziati a novembre e non ancora terminati hanno parlato di una scoperta "unica", come non se ne facevano almeno da un decennio. Statue e basso rilievi hanno mantenuto praticamente intatto il colore originale. | MOHAMED ABD EL GHANY/REUTERS CONSIGLIERE DEL RE. Il pigmento in particolare cattura l'attenzione perché ricopre ancora totalmente sculture e decorazioni, come doveva essere in origine. Wahtye serviva il faraone Neferirkare Kakai, terzo re della Quinta Dinastia, una famiglia che governò l'Antico Egitto per meno di due secoli, dal 2.500 al 2.350 a.C. Il nome del deceduto si legge sui geroglifici che decorano la porta di ingresso della tomba, che declamano anche i suoi titoli onorifici: sacerdote per la purificazione reale, supervisore reale, ispettore della barca sa cra (un battello rituale che si pensava accompagnasse i faraoni nell'Aldilà). SPACCATO DELL'EPOCA. La galleria rettangolare a cui nessuno finora aveva avuto accesso, sfuggita ai tombaroli, misura 10 metri da nord a sud, quasi 3 da est a ovest e 3 in altezza. Rilievi a colori con Wahtye, sua moglie Weret Ptah e sua madre Merit Meen decorano le pareti, su cui si trovano anche scene di lavoro del periodo di attività dell'uomo, con persone intente a cacciare, navigare, compiere offerte religiose e produrre vasellame e altri oggetti funerari. Una veduta interna della tomba, che promette di riservare altre importanti scoperte. | MOHAMED ABD EL GHANY/REUTERS ALTRE SORPRESE. Grandi statue dipinte a colori del sacerdote e dei suoi familiari riempiono 18 nicchie sulle pareti della tomba, mentre altre 26 nicchie vicino al pavimento ospitano sculture di un'altra persona non ancora identificata in varie posizioni, in piedi o seduta a gambe incrociate come uno scriba. Nella tomba gli archeologi egiziani hanno individuato cinque camere sepolcrali, una delle quali è aperta e vuota: le altre sono ancora sigillate e potrebbero custodire il sarcofago del sacerdote insieme al suo corredo funebre. Gli scavi proseguiranno a gennaio. |
AREA PERSONALE
MENU
CHI PUŅ SCRIVERE SUL BLOG
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.