Creato da bluestella il 28/12/2009

Pensieri in libertà

Pensieri, parole, magari qualche idea... chissà... prolissa o sintetica, riflessiva, concreta o astratta, confusa, un po' nebulosa, magari irrazionale, empatica e... chissà

 

abdicare

Post n°154 pubblicato il 01 Luglio 2014 da bluestella

         I buoni propositi hanno a volte vita breve e la leggerezza rischia di frantumarsi con la stessa facilità di una lastra di cristallo colpita da un sasso. Stanchezza, debolezza, le piccole, grandi difficoltà di ogni giorno che creano ostacoli lungo il cammino di una quotidianità che, a volte, si complica da sola e che, altre volte, siamo noi stessi, con le nostre piccole manie, paure, incomprensioni, a rendere più difficile e complessa di quanto essa non sia realmente.

Le sensazioni sono le più disparate. Ci sono la voglia ed il desiderio di sentirsi forti, di progettare o, più, semplicemente, di fare tante cose, non importa se utili o inutili, e c'è, al contempo, la percezione di una fragilità prima ignota che poi, a ben pensarci, esisteva forse anche in passato, ma era mascherata dalla cosiddetta normalità, fingendo di ignorare che la vita è fatta anche della sua stessa negazione e di tutti quegli imprevisti che la possono bloccare, arginare, limitare in modo del tutto repentino ed inatteso.

Ci sono le paure, a prevalere sulle altre è soprattutto quella di non farcela, il timore di non riuscire a gestire al meglio il proprio presente e quello che sarà, che potrà essere il proprio domani. Non è una paura irrazionale, perché è qualcosa che, a vari livelli, appartiene a tutti, solo che non sempre se ne possiede concreta consapevolezza.

Si guarda un po' più a fondo anche dentro se stessi, non più venendo a patti con la propria personalità, ma cercando di conferirle valore. Non desidero più abdicare a me stessa e cercare compromessi, ma essere come realmente sono e non è una minaccia velata, una forma di egoismo latente portato alla luce, perché la mia aspirazione è rinunciare allo scontro a favore dell'incontro costruttivo, sempre e comunque. Solo che questo richiede compartecipazione e condivisione, implica avere di fronte un'altra personalità analoga e non è qualcosa di così immediato o scontato; assurdo sarebbe pretendere di ritrovare sempre se stessi in un mondo popolato da sette miliardi di individui.

È una forma di egoismo per niente velato, ne sono consapevole, ma l'egoismo sta diventando un modo per mettermi in relazione con me stessa, per cercare una modalità diversa con la quale comprendere meglio cosa desidero e cosa posso fare per il mio benessere e per essere a mio agio nel mio mondo, nel mio piccolo, grande universo.

Non li conosco più i miei sogni, forse non li ho mai conosciuti. So che tante persone mi hanno spesso offerto su un piatto d'argento le loro ricette, una su tutte: vivi. E poi il suggerimento proseguiva col consiglio successivo: viaggia, innamorati, costruisci, realizza mentre, immancabilmente, arrivava la condanna alla mia apparente ignavia, al mio immobilismo, pronta a farmi sentire degna del più turpe dei gironi danteschi.

Eppure, a ben guardare, anche le altrui vite sono limitate ad alcune dinamiche, non sono così ampie e complete come potrebbero essere. Oh, sì, c'è anche chi ha stravolto la propria vita per andare a vivere dall'altra parte del mondo, ma ci sono anche persone il cui vivere è trovare soddisfazione nella propria quotidianità, anche semplicemente nel prepararsi un buon caffè o nel prendersi cura del proprio giardino. Ecco, non è forse quello che facciamo tutti ? Un po' di quiete, un po' di relax, di bellezza e di poesia ?

Ancora una volta mi rendo conto di cadere nel cliché di voler credere che tutti siano alla ricerca di un equilibrio stabile, mentre è evidente che c'è chi trova la misura di se stesso nello scontro, nella prevaricazione, nel volersi affermare al di sopra degli altri.


L'uso frequente del pronome IO e dell'aggettivo possessivo MIO, parole in fondo non dissimili nella lingua italiana, tanto che la seconda contiene la prima, ben evidenzia come ogni parola da me scritta sia autoreferenziale, benché non lo trovi così strano visto che, in fondo, ciascuno scrive ciò che crede di sapere, di conoscere meglio; presuntuoso oltreché complesso sarebbe cercare di dissertare su qualcosa che non ci appartiene.


Ci sono anche le ossessioni, i pensieri impervi che , piano piano, tornano a prendere il loro spazio, quello che avevano un tempo e che proprio non riesco ad accantonare. Il temere per gli altri, il non voler deludere nessuno, la voglia di portare a compimento i propri impegni, reali o presunti tali e poi tutte quella cose “da farsi”, anche quelle più semplici, come leggere un libro che si è comperato o che si è preso a prestito in biblioteca e riuscire a farlo entro termini adeguati. Strano perché per me la lettura è quasi sempre stata un piacere, ma così diventa un'ulteriore fonte d'ansia.

Intanto sto imparando che non si può essere sempre sereni e felici: se così fosse il mondo sarebbe probabilmente ben diverso, una sorta di eterno paradiso, finto ed artificiale, una spiaggia con palme di plastica fluorescenti o qualcosa del genere. Invece no e forse è anche vero che la sofferenza aiuta in qualche modo a progredire, perché cambia la percezione e modifica le prospettive.


So di essere cambiata un po' in questi ultimi mesi. Solo un po', niente di eclatante, ma so di aver sperimentato periodi di grande forza emotiva proprio quando fisicamente stavo meno bene e so di essere emotivamente fragile adesso che comincio a stare fisicamente meglio.

La colpa è mia, dei miei pensieri, come al solito, perché i pensieri non portano da nessuna parte. Si pensa troppo quando si dà eccessivo valore a ciò che, in realtà, non serve. Quando ci si affeziona, quando si prova un sentimento per cose, oggetti ed anche persone. Quanto saremmo più forti se sapessimo andare oltre queste emozioni. C'è chi ci riesce, certo: gli asceti, i saggi, gli indifferenti, quelli che semplicemente vanno oltre o che guardano solo al proprio interesse. Sono dei modelli, a loro modo, modelli cui aspirare.

Da parte mia ci vorrebbero atti di coraggio e ci vorrebbero anche idee da perseguire e poi un pizzico di distacco e di indifferenza. Poi, magari, ci vorrebbe anche assenza di accanimento come tutti quelli che comprano vitamine e bacche miracolose in quantità pensando di prolungare un benessere psico-fisico che, invariabilmente, è destinato al declino. Ho letto una frase abbastanza negativa su questo argomento, sul fatto che tutti siamo destinati naturalmente alla fine (ma i termini erano più forti, estremi e negativi), ma personalmente preferisco pensare che nulla si crea, nulla si distrugge, tutto, però, si trasforma. In questa forma mi sembra meno drammatica, meno drastica forse.

Tornando al dilemma iniziale, però, come conciliare l'esigenza di serenità con l'esistenza? Non si può, credo, semplicemente non è possibile, non si può fare. Si prende la vita, si accetta per quello che è, ossia un tempo limitato da riempire in vario modo, con un pizzico di quell'illusione chiamata libero arbitrio e un gran numero di variabili non sempre dipendenti dalla nostra volontà e si fa del proprio meglio per contrastare le malinconie e le depressioni che sembrano essere una costante nella vita di molte persone e poi, passate le fasi necessarie all'elaborazione delle nostre percezioni e alla rielaborazione di un percorso adatto alle nostre esigenze, si riparte, con un po' di coraggio, con meno entusiasmo, forse, con qualche paura in più e con meno certezze.

Con la voglia di vivere.

 


 
 
 

Leggerezza ...

Post n°153 pubblicato il 22 Maggio 2014 da bluestella

Mi capita spesso di pensare alla parola leggerezza ultimamente. C'è una piccola necessaria premessa per definire la ragione di ciò. Compero spesso riviste, le compero in modo quasi compulsivo e altrettanto compulsivamente le sfoglio e le butto nel contenitore della carta da riciclare, ma conservo tutti quegli articoli che al momento, per una ragione o per l'altra, non ho il tempo di leggere. Ecco, in questi giorni ho avuto modo di analizzare quegli articoli che ho conservato e mi sono resa conto che molti di essi avevano per tema proprio la leggerezza.


Quello graficamente più bello era accompagnato dalle immagini di un gruppo di ballerine, leggere e abbigliate con tutù colorati come ali di farfalla: quale similitudine migliore per rappresentare la leggerezza ?


Il contenuto dei vari articoli, però, mi ha lasciata un po' perplessa perché sembrava quasi che i giornalisti si fossero copiati l'un l'altro: tutti, infatti, facevano riferimento a “Lezioni americane” di Italo Calvino e a “L'insostenibile leggerezza dell'essere” di Milan Kundera. Forse sono io ad essere prevenuta pensando si siano ispirati in qualche modo l'uno all'altro o, più semplicemente, questi sono i riferimenti culturali basilari della cultura italiana in merito all'argomento in questione.


Eppure la parola leggerezza, per quanto delicata e lieve possa essere, sa anche essere così ambigua nella nostra lingua... leggerezza come sinonimo di frivolezza.


Recentemente è proprio questo genere di leggerezza che mi interessa maggiormente: quella che nasce dalla libertà di poter e saper dire no, no soprattutto a se stessi e a quelle che possono essere certe illusioni della vita, alcune frivole, altre meno.


La sensazione è simile a quella della volpe che, incapace di prendere l'uva non le interessa poi così tanto. Allo stesso modo sto cominciando a pensare che, tutto sommato, non ho alcun desiderio di imparare realmente a guidare un ultraleggero e , forse forse, nemmeno leggere il “Don Chisciotte” rientra tra le mie priorità, non più. Anzi, proprio in questi giorni sto svuotando un po' la mia libreria e portando in biblioteca tutti quei libri che, comperati gli scorsi anni, non ho in realtà mai letto. Sto selezionando, sto scegliendo ciò che voglio leggere realmente e scartando quello che, a conti fatti, non mi interessa più.


Ma, allo stesso modo, mi sto appesantendo ulteriormente trattenendo alcuni di quei volumi, alcuni di quelli che, pur senza convinzione, senza soprattutto avere gli strumenti mentali sufficienti e necessari per comprenderli, mi sto ostinando a voler leggere comunque. È una fase, passerà anche questa, credo, appena avrò letto quei testi.


Saper dire di no agli altri non è mai semplice, rientra sempre quello che si chiama senso di colpa, soprattutto in certi casi. Saper dire di no a se stessi può essere, a volte, persino più difficile, ma ogni tanto bisogna imparare per ritrovare proprio quella leggerezza che diventa fondamentale alla propria sopravvivenza se non addirittura all'esistenza stessa.


Mi ero ripromessa di vivere all'insegna di uno spirito positivo, tuttavia mi rendo conto che comincio già ad inciampare nelle difficoltà quotidiane e questo nonostante i miei propositi siano molto, molto recenti.


Certo, a parole è facile dirsi che ogni arcobaleno ha bisogno di un temporale prima, ma i fatti, la realtà, sono un'altra cosa. Si tratta, però, solo di piccoli segnali negativi, niente che davvero possa farmi cambiare quello che vorrei essere il mio obiettivo primario: la quotidianità.


Sentirla, viverla, catturarla e trattenerla per un attimo tanto da assaporarla come merita, senza lasciare che sia la preoccupazione per il domani a condizionare le mie giornate.


Proprio oggi mi è stato detto che, nonostante tutto, ho un atteggiamento positivo,che sorrido sempre. Proprio oggi oggi ho ricevuto abbracci affettuosi, lacrime anche e parole affettuose e come considerare tutto ciò se non doni ? E sempre oggi ho provato nuovamente dei dolori fisici cui non pensavo più da un paio di mesi e che ritenevo di aver superato con le terapie che sto seguendo. Probabilmente si tratta solo di episodi casuali, ma quando ci si scotta con l'acqua calda, poi si teme anche quella fredda.


Ma quello che mi ha sconcertata di più è quella sorta di malinconia latente che si è nuovamente affacciata all'orizzonte, come se in qualche modo fossi diventata consapevole che le cose non si decidono a comando, che non posso decidere a tavolino di essere felice o serena. Oppure no ?


Tutto serve nella vita, tutto quello che viviamo ci porta ad essere quello che siamo e non piace che gli altri possano arrogarsi il diritto di dirmi che potrei essere diversa o affrontare le cose in modo differente. Sì, lo so che quanto ho appena scritto è una frase un po' forte, estrema, quasi. Un amico, se mi vedesse sull'orlo del baratro, non sarebbe un vero amico se non cercasse di fermarmi mentre rischio di cadere, ma se il pericolo non è reale o è solo una delle possibilità, non un dato di fatto, allora perché interferire con quelle che possono essere semplicemente delle (non) scelte ?


Gli abbracci di cui ho scritto qualche riga fa, quelli ricevuti oggi. Mi sono sentita un po' come la terra, quando non riesce ad assorbire subito tutta la pioggia che cade, quando un po' di acqua rimane in superficie per evaporare o per arricchire più lentamente quel terreno, goccia dopo goccia. Quella vena malinconica, ancora, incapace di apprezzare la ricchezza di momenti così speciali.


E ancora Nietzsche che si riaffaccia con le sue parole, col ricordarmi che tutto quello che non mi uccide mi rafforza, ed è strano, perché anche la fase Nietzsche è stata superata e tra i libri che ho regalato alla biblioteca ci sono anche i suoi, ma quella frase no, quella frase mi si sta imprimendo dentro, come e più di quanto potrebbe mai fare un tatuaggio sulla pelle... dentro di me, nella mia mente, nei miei pensieri.


È intensa e costante, come il profumo dei gelsomini in questi giorni di fine maggio.

 
 
 

Sto leggendo ... e tutto sommato condivido

Post n°152 pubblicato il 25 Aprile 2014 da bluestella

... Era una mattina tiepida, con l'aria ferma e il cielo sgombro. Edimburgo non poteva contare su molte giornate del genere, anche durante un'estate mite, e la gente era stata lesta a reagire. L'autobus per Stockbridge era pieno di uomini in maglietta o con le maniche arrotolate e di donne con la blusa di cotone. La persona seduta di fianco a Isabel guardava fuori dal finestrino, con il sole in faccia e gli occhi chiusi, e mormorava: "Che bel sole! Che bel sole!". Le sue parole sembravano una preghiera rivolta al sole perché non cambiasse idea e sparisse.

"Fantastico, eh ?" mormorò Isabel.

La donna si girò un po' verso di lei. " Mi manca così tanto" disse.

"Forse viviamo nel paese sbagliato" commentò lei.

La donna si mise a ridere e tornò a venerare l'astro.

"Non c'è scelta" disse. "Come per il resto della vita. Non c'è scelta."

Non c'è scelta. Aveva ragione, pensò Isabel: quasi tutti noi non abbiamo scelta sul posto in cui viviamo. Una volta ancora aveva motivo di riflettere sul fatto che la più grande lotteria era proprio la prima, quella che stabiliva chi eravamo: francesi, americani, sudanesi, scozzesi.

E da lì derivava un enorme bagaglio: la cultura, la lingua, il patrimonio di geni che determinava il colore della pelle, l'altezza, la propensione a certe malattie e via dicendo. Per la maggior parte delle persone era quello il destino: i cambiamenti successivi, sempre che se ne potessero fare, sarebbero stati casuali o frutto di un enorme sforzo. La donna sull'autobus avrebbe preferito vivere in Spagna o in Portogallo, immaginò Isabel, più vicina al sole, ma non poteva perché aveva un marito e un passato che la legava alla Scozia e al suo clima. 

Qual era la soluzione ? Lamentarsi o amare il posto in cui si stava ? Amare il posto in cui si stava, ovviamente. Ed era questo, nella stragrande maggioranza dei casi, che facevano le persone. Sopportavano e la loro sopportazione diventava amore.  È per questo che amo la Scozia ?, si chiese. Semplicemente perchè è il paese che devo amare ? No. Non era per quello. ...

 
 
 

9 APRILE ...

Post n°151 pubblicato il 25 Aprile 2014 da bluestella

Oggi non va, non gira proprio. La pastiglietta rosa della felicità semplicemente non riesce a compiere la sua magia, o, forse, ha soltanto già esaurito il suo compito e per oggi basta.

"Distraiti!", mi dicono, "Leggi, guarda la televisione. "

Comprendo il senso dell'incoraggiamento, sorvolo sulla validità dei suggerimenti.

Anche la mia scrittura é pessima, non so se per colpa della strana matita che sto adoperando o, più probabilmente, perché quando non si sta bene anche la grafia cambia.

Ma io sto male ?

Se sono ancora qui in ospedale é così, eppure uno dei momenti più belli delle mie giornate qui é quando mi chiedono: "Ha dolori ?" e io, ogni volta, rispondo sicura con un bel "No"; non come a casa dove l'ultimo mese fu davvero impegnativo, non invalidante, ma impegnativo sì.

Vorrei dire: "Toglietemi le 20 e più compresse che mi date ogni giorno, toglietemi gli aghi, le flebo e mandatemi  a casa, perché ho delle cose da fare."

Poi la voce di mia madre: "Ricordati, sei tu la prima che deve combattere tutto questo" e allora penso che é proprio così, che ha ragione lei e che se scappa anche qualche lacrima di frustrazione o di scoramento non ha importanza.

 
 
 

APRILE... inizio

Post n°150 pubblicato il 25 Aprile 2014 da bluestella

Ho cercato di addormentarmi guardando oltre la cornice verde lacca che rappresenta il telaio della mia attuale porta.

Ho visto le pareti avorio del corridoio e mentre gli occhi provavano a chiudersi, la porta color crema di fronte alla mia si trasformava in una superficie blu trapunta di stelle, come led accesisi all'improvviso nella mia mente.

Ho cercato il sonno, ma non l'ho trovato, non ancora, almeno, complice il fatto che le mie giornate, ultimamente, si susseguono tutte uguali, colme più di pensieri che di azioni volontarie. Semmai, se di azioni si tratta, sono subite, non scelte.

Capita, no ? Capita, nella vita, di dover subire più di quanto si desideri; si storce il naso, ci si atteggia un po' a vittima, ma alla fine c'è sempre un minuscolo spiraglio per il libero arbitrio.

Quasi sempre.

A volte si è lì, fermi, immobili, davanti a quella che sembra una semplice influenza e che, a poco a poco, si rivela essere tutt'altro.

Un nome dolce, quasi musicale quando l'ho sentito la prima volta (granulomatosi di Wegener) perché ho pensato a Wagner, ma il nome non era proprio quello e poi, immediato, è arrivato anche il pensiero che la musica di Wagner può essere definita in un'infinità di modi, ma dolce non é certo il primo aggettivo che viene in mente.

Sono alle prese con me stessa, devo un attimo capire, ridefinire i miei parametri, semmai ne ho avuti, creare percorsi, armonie ed equilibri.

Avrei voluto farlo anche prima, ma come una di quelle cose che si dicono, senza mai provarci davvero.

Ora, però, é diverso. Mentre scrivo non conosco ancora l'entità dell'incendio che ha colpito la mia persona. Incendio, già. Mi parlano come ad una bambina, attraverso immagini figurate: i pompieri sono all'opera, ma ci sono dei piromani che continuano ad agire.

Non credo abbia molto senso in questo istante angosciarsi oltre qualche notte in bianco (mi vien da pensare che, per fortuna, hanno inventato la pillola rosa del buon umore e che, per fortuna, qualche sera funziona).

Non mi viene nemmeno da dire: voglio fare, disfare, stravolgere, essere diversa; no, non riesco a dire o pensare nemmeno questo.

Ma so che esisto, che ci sono e che mi piacerebbe continuare a pensare così ancora e ancora.

Torno al sogno di una porta che, di colpo, prima di addormentarmi, diventa un tappeto di morbida luce blu.

P.S. Grazie

 
 
 

privo di senso... Buon Anno

Post n°149 pubblicato il 06 Gennaio 2014 da bluestella

 

Tra i tanti buoni propositi ignorati in vista del nuovo anno, ce n'è uno nel quale ho casualmente inciampato, uno che nelle sue implicazioni pratiche è buffo, assurdo, divertente e pertanto sarà, probabilmente, difficile da praticare, ma è proprio la sua particolarità a renderlo auspicabile, il miglior modo per augurare ogni bene a chiunque muova i suoi passi su questo pianeta che è la casa di tutti noi.

 

È un articolo tratto da un giornale e, tamponamento a parte, è un'esperienza in cui non sarebbe spiacevole imbattersi.

 

di Michela Murgia

 

"Praticare gesti di gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso"

 

Non succede mai di vedere questa bella frase applicata al reale; quando però capita, è davvero una rivoluzione. Ieri ero ferma a un semaforo e non mi sono accorta che l'auto si muoveva fino a quando non si è appoggiata sulla targa dell'auto che avevo davanti.

Il leggero tonfo mi ha buttata nel panico ed ero pronta ad affrontare con mille scuse la giusta rabbia dell'altro autista. Una signora anziana è scesa lentamente dall'auto ed è venuta verso il mio finestrino con qualcosa in mano. Quando ho abbassato il vetro contrita ha detto: “Grazie per il bacio!” e mi ha dato quel che aveva in mano: era una rosa, una di quelle che si comprano dai venditori ambulanti. È risalita in auto e al verde è ripartita, lasciandomi a bocca aperta, improvvisamente consapevole di avere un bisogno tremendo di atti di bellezza “privi di senso”.

 

 
 
 

letter to a friend ...

Post n°148 pubblicato il 25 Novembre 2013 da bluestella

 

Passiamo sempre tanto tempo ad interrogarci sul valore della vita, sul suo senso, su come viverla questa benedetta avventura che ogni giorno ci ritroviamo a vivere ancora e poi ancora.

 

Raramente arrivano le risposte e così, ad ogni alba, si riprende, con l'aggravante che il passare degli anni comporta la necessità di sostituire i bilanci a quelli che un tempo erano i sogni e i progetti sui quali si immaginava di costruire il proprio presente.

 

Quando si fanno i conti, i passivi valgono sempre di più, ma un essere umano non è un'azienda, non può essere ridotto ad un calcolo contabile. Certi percorsi hanno deviato, non hanno seguito il tracciato iniziale, altri ancora si sono interrotti, a volte tragicamente, a volte per scelte personali e fa male quando quello che sceglie è l'altro, anche se, per sentito dire, fa male anche prendere tali decisioni.

 

Credo che amare sia una delle cose più belle che si possano fare.

 

Personalmente credo molto nell'amicizia, la ritengo una forma speciale d'amore, forse più preziosa e pura del sentimento che contraddistingue una coppia, perchè non venata dall'esclusività che caratterizza quest'ultima, né, generalmente, dalla stessa sofferenza e per questa ragione la reputo anche una forma d'amore più sana, meno distruttiva.

 

Amare, amare, amare... quanta esaltazione in questo verbo, in quest'azione. Si raggiungono vette di felicità poche altre volte toccate e si viaggia a velocità di crociera per un bel po' di tempo, poi si incontrano le prime perturbazioni, si alleggerisce il carico, piccoli sacrifici da una parte e dall'altra, come è giusto che sia, e di nuovo si risale per un po', a quote medio alte, fino a che un'altra perturbazione non dà un nuovo scossone all'aereo supersonico dei primi tempi, aereo che, nel frattempo, ha assunto forme più pacate e rassicuranti, come quelle di una mongolfiera dalla quale si possono osservare incantevoli paesaggi: diversi rispetto a ciò che l'aereo offriva, l'adrenalina è un po' scemata, ma il panorama è forse ancora più bello e il tempo della quotidianità offre la possibilità di assaporare appieno la bellezza delle piccole cose, quelle che, sempre secondo i saggi, sono le più belle.

 

Ma i viaggiatori sono due e si scopre che ognuno ha la propria postazione di controllo e le velocità e anche i paesaggi o, per meglio dire, le sensazioni che quei panorami suscitano in ciascuno, be' , cominciano a divergere, non sono più le stesse e poco per volta nuovi carichi giungono ad appesantire la mongolfiera ormai un po' ammaccata e così, giorno per giorno, si rischia sempre di più di toccare terra, fino a che uno dei viaggiatori decide di scendere e di ripartire verso un'altra destinazione.

 

Better to have loved and lost, than never to have loved at all

 

Alfred Tennyson

 

Non condivido, no. Troppo facile, troppo... consolatorio. È una di quelle cose che si dicono per placare le anime sofferenti di chi ha perso e deve trovare una ragione per dare una motivazione ai propri giorni, quando si crede che tutto sia privo di senso. A volte viene in mente che amare significa desiderare l'altrui felicità, anche se non si è più parte di quella felicità e per quanto sia doloroso ammetterlo forse è vero che l'amore è proprio questo, perchè, altrimenti, non si fa che alimentare il proprio egoismo, il proprio desiderio di avere ancora accanto a sé quella persona. Vero, verissimo, ma perchè negarsi il lusso dell'egoismo ?

 

Il tempo, soprattutto, diventa il grande nemico col quale intraprendere un confronto doloroso perchè il tempo contiene in sé il dolore del ricordo, la sofferenza del presente e l'imperscrutabilità del futuro, un futuro che non si sa per quanto manterrà le caratteristiche dell'apatia, di quella sensazione che a volte ha la consistenza reale di un artiglio stretto attorno al cuore.

 

E sempre lui, il tempo, ci annichilisce ancora di più quando ci ricorda l'uso che abbiamo fatto di lui. In quei casi c'è generalmente un tocco di acida perfidia, perchè la memoria tende a riportarci non tanto i traguardi raggiunti, e ognuno ne ha, per quanto non sempre ne sia adeguatamente consapevole, quanto quelli mancati.

 

Intanto i giorni... gli anni... tutto scorre, scorre come l'acqua di un fiume e si va avanti, ma andare avanti significa anche avvicinarsi alla foce, alla fine del proprio percorso e questo fa paura, una grande paura, come se avessimo una data di scadenza e forse ce l'abbiamo davvero, ma è sempre meglio non pensarci sino a quando la vita non ci mette in modo sempre più costante, forse persino ovvio, anche di fronte a questo.

 

Proviamo a convincerci che la vita valga la pena di essere vissuta fino all'ultimo istante, all'ultimo momento, ma intanto ci guardiamo attorno e vediamo che in genere...

 

che è ora di finirla con questi sproloqui!

 

È vero, tutto quello che c'è scritto sopra è vero, ma proprio per questo sarebbe bene non perpetrare i luoghi comuni, ricordarsi che le chiavi di lettura delle nostre giornate sono, quasi sempre, nelle nostre mani.

 

Il tempo... se sono in grado di pensarlo, allora posso anche viverlo, non importa se per ascoltare una canzone, dormire o partire per un viaggio attorno al mondo, non importa se per piacere o per dovere, ma è “tempo”, è un qualcosa non da riempire, ma da plasmare a forma di me: solo così posso provare a dominarlo fino a quando mi sarà consentito farlo.

 

Un altro saggio, uno di quelli con cui concordo, ha detto che a volte ci sentiamo morire un po' ogni giorno, ma non è vero: si muore una volta sola: quello che succede ogni giorno è avere la possibilità di vivere nuovamente.

 

Allora così anche la vista del mare avrà la delicatezza di un sorriso e il profumo delle pasticcerie assomiglierà al calore di un abbraccio.

 

Con affetto ...

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

28 agosto 1963...

Post n°147 pubblicato il 28 Agosto 2013 da bluestella

Amici miei, io vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E' un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.

...  “

 

 
 
 

Ho letto ...

Post n°146 pubblicato il 26 Agosto 2013 da bluestella

... Non ho mai saputo il vero nome di Chahine, non aveva neppure più la forza di pronunciarlo. Gli ho dato questo soprannome perché a volte, la notte, in preda ai deliri della febbre, parlava nel sonno e invocava un uccello bianco perché venisse a liberarlo, chahine, in arabo, il falco pellegrino dal piumaggio candido. Ho cercato il significato di questa parola dopo la guerra, quando ero immerso nelle memorie di quei giorni.

Prigioniero da mesi, Chahine moriva lentamente. Il suo corpo era sempre più debole e lo stomaco gli si era ristretto al punto che ormai non tollerava nemmeno la zuppa.

Una mattina, mentre ero intento a spidocchiarmi, ho incrociato il suo sguardo che mi invocava in silenzio. Mi sono avvicinato e lui ha chiamato a raccolta tutte le sue energie per regalarmi un sorriso. appena accennato, ma pur sempre un sorriso. poi ha rivolto lo sguardo alle sue gambe, devastate dalla scabbia. ho compreso la sua supplica. Presto la morte se lo sarebbe portato via, ma Chahine voleva accoglierla con decoro e, per quanto possibile, pulito. Ho avvicinato la mia branda alla sua e così, la notte, gli toglievo le pulci, snidavo i pidocchi nascosti tra le pieghe della sua camicia.

Di tanto in tanto si sforzava di rivolgermi uno dei suoi fragili sorrisi: era il suo modo di ringraziarmi. In realtà ero io che avrei voluto farlo.

Quando distribuivano il rancio della sera, mi faceva cenno che dessi la sua razione a Claude.

"A che serve nutrire un corpo già morto?" sussurrava. "Salva tuo fratello, è giovane, ha tanto da vivere."

Chahine aspettava la sera per parlare. Forse aveva bisogno di essere circondato dal silenzio della notte per ritrovare un bricciolo di forza. In quei momenti passati insieme ci regalavamo un po' di umanità.

Padre Joseph, il cappellano della prigione, usava le sue tessere annonarie per lui. Ogni settimana portava a Chahine un piccolo pacco di biscotti. Io li spezzettavo e costringevo il mio amico a mangiarli. Per sgranocchiarne un pezzettino ci metteva più di un'ora, a volte anche due. finché, spossato, mi pregava di dare il resto ai compagni, in modo che il sacrificio di padre Joseph non andasse sprecato.

Come vedi ti sto raccontando la storia di un prete che si priva del cibo per un arabo, di un arabo che salva un ebreo dandogli ancora un motivo di speranza, di un ebreo che tiene un arabo tra le braccia mentre muore, nell'attesa che venga il proprio turno. Vedi, è la storia del mondo degli uomini, con i suoi momenti di inaspettata meraviglia.

 

 
 
 

Sto leggendo ...

Post n°145 pubblicato il 24 Agosto 2013 da bluestella

... Ero diventato una specie di invalido. Erano miei amici, giusto ? Perché non entravo in acqua e andavo da loro ? Che cosa gli avrei detto ? "Ehi, come va ?" mi avrebbero chiesto. E io avrei risposto " Come se mi stessero divorando da dentro, ma non posso dirlo a nessuno, perché tutti mi sono sempre così grati e io, non so, mi sentirei un ingrato. O forse rischierei di rivelare che non merito nessuna gratitudine, anzi, dovrebbero odiarmi tutti per quel che ho fatto, invece mi vogliono bene, e questa cosa mi sta facendo impazzire". Come no.

O forse avrei dovuto dirgli che volevo morire, ma non nel senso di buttarmi da quel ponte lassù, più come se volessi addormentarmi per sempre, perché non si rimedia al fatto di aver ucciso delle donne, o di aver guardato uccidere delle donne, o di aver ucciso degli uomini e avergli sparato alle spalle, e poi aver sparato ancora, più di quel che serviva per ucciderli, e a tratti sembrava di voler uccidere tutto ciò che vedevi, perché era come se ti colasse dell'acido nell'anima ...

 

 

 
 
 

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