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« post 21 marzo 2011dozza »

manipolazione mentale e psicologica dei deboli

Post n°7 pubblicato il 21 Marzo 2011 da madam124
 
Tag: sette

La struttura verticistica e autoritaria di una setta è il sogno inconfessato di ogni leader di partito» scrivono Gianni Del Vecchio e Stefano Pitrelli, e come dargli torto. Una tentazione rilevante della politica, specie in epoca quale quella in cui viviamo, caratterizzata da una fortissima crisi di rappresentanza.

Innegabilmente, la politica si è già mossa nel senso di sostituire altre forme di aggregazione a quelle delle riunioni di sezioni, comitati e sottoscala. Del resto, come negare il fascino del potere, l'attrazione del grande leader, la promessa di soluzioni immediate e radicali alla fatica della vita rispetto alle promesse di un lontano avvenire cui bisogna tutti i giorni applicarsi? Tra il modello ad alto contenuto psicologico-erotico del richiamo di una organizzazione verticale che ruota intorno a una figura carismatica, e la spersonalizzata aggregazione burocratica dei partiti tradizionali, la partita non si gioca neppure.

In queste righe avrete sicuramente letto un richiamo alla leadership esercitata da anni su buona parte di questo Paese dall'attuale premier Silvio Berlusconi. Ma questo libro non parla di lui, e nemmeno di altri partiti che pure vengono in mente: non è passato tanto tempo, del resto, da quando il Partito comunista italiano veniva comunemente definito, nel bene e nel male, proprio una setta.
Questa inchiesta racconta e discute delle sette vere e proprie, e della loro presenza in Italia. La politica italiana vi appare, ma come oggetto del desiderio, strumento di conquista: le sette infatti, secondo gli autori, hanno in corso una lenta ma sicura scalata alla politica. Proprio per il loro essere, naturalmente, per definizione, uno strumento di «convinzione», di «organizzazione» e di «ideologizzazione» dei gruppi.

Dobbiamo preoccuparcene? La prima reazione è un tondo «no». Dopotutto di che si tratta, se non delle solite pietose vicende di emarginati, soli e influenzabili? Certo magari questi poveretti hanno anche nomi famosi — il Cruise che non trova pace o l'insicuro Travolta che ancora oggi non sembra essere convinto di saper far altro che ballare... In realtà è esattamente questo modo di pensare che Occulto Italia intende picconare. Contro ogni luogo comune, alimentato dai media che si occupano solo di sette sataniche perché più appassionanti, il libro ci svela che queste organizzazioni sono tante e sono presenti tra noi. Hanno molti volti (o meglio molte maschere) e tante cause diverse, incluse «buone cause».

Scrivono gli autori: «Ci sono almeno due miti che abbiamo voluto sfatare con questo libro. Il primo è quello per cui le sette sarebbero un fenomeno periferico, che coinvolge soltanto una piccola parte della società. Invece le trovi in Municipio, in Regione o in Parlamento, le trovi nell'azienda o nel negozio sotto casa, le trovi a scuola o all'università — con lezioni e corsi che anche tuo figlio potrebbe seguire senza che tu te ne renda neanche conto — e perfino quando vai al museo o a una mostra. Le trovi al tuo fianco quando ti batti per la pace, per l'ambiente, per i diritti umani e le libertà individuali, per la tutela dei bambini, o contro la droga e il razzismo. Le trovi lodate e strombazzate sulle pagine dei giornali, pubblicizzate sul piccolo schermo come sugli spalti di uno stadio. Le trovi che si aggirano per i corridoi degli organi di governo internazionali, al Palazzo di Vetro dell'Onu o all'Emiciclo del Parlamento europeo a Bruxelles. Le ritrovi che ronzano intorno al tuo attore, musicista, cantante o sportivo preferito. Insomma, le trovi ovunque.

Il secondo mito è quello per cui nella ragnatela tessuta dalle sette ci finirebbero solo i pazzerelli, i poveracci, i diseredati, i senz'arte né parte, gli ingenuotti, i creduloni e í superstiziosi. Non è vero. Dentro ci restano impigliati avvocati, medici, giornalisti, imprenditori, manager, per-sonalità del mondo della cultura, politici — anche i più avveduti — e perfino psicologi e militari. Nel corso della nostra inchiesta ne abbiamo conosciuti parecchi, di fuoriusciti che rientrano in queste categorie. Li abbiamo incontrati, ci siamo andati a cena, ci siamo fatti una birra al pub, abbiamo parlato della loro vita passata, ma anche di quella presente, abbiamo conosciuto le loro idee, ab-biamo riso e scherzato insieme, li abbiamo guardati negli occhi. Erano per la maggior parte persone intelligenti e spiritose, colte e argute. Dimenticate dalle istituzioni (perché i loro racconti, a chi non sa niente di sette, paiono fastidiosamente fuori dal mondo). Ma oggi di nuovo in piedi, nel mondo.»

Il movimento che il libro descrive ha un chiaro punto di arrivo: quello che Del Vecchio e Pitrelli chiamano «un Santo Graal pieno di benedizioni», che sarebbe poi l'intesa con lo stato italiano. Un accordo che vale non poco in termini di denaro e potere. Ma su tutto questo, vi rimando alla lettura.

Prima di chiudere voglio solo segnalarvi un altro interessante effetto collaterale di questo libro: ricordarci che l'Italia è forse l'unico Paese dove non c'è più il reato di plagio. È l'effetto a onda lunga di un caso che ha avuto qualche decennio fa uno straordinario impatto sulla opinione pubblica. Parliamo del 1964 e di Aldo Braibanti, intellettuale di sinistra, laureato in filosofia teoretica, con un passato di carcere nel Ventennio per la sua attività antifascista. Braibanti nel 1964 inizia una relazione senti-mentale con Piercarlo Toscani e Giovanni Sanfratello.

Nell'Italia divisa da una nuova linea Maginot dell'etica privata e pubblica, il padre di Giovanni porta il figlio in manicomio e denuncia Braibanti per plagio. Il caso diventa occasione per fare il processo a politica e morale della nuova sinistra. A favore di Braibanti si mobilita infatti il meglio degli intellettuali dell'epoca, ppp pierpaolopasolini, ue umbertoeco, am albertomoravia, em elsamorante, mg mariogozzano. Braibanti perde il processo, e divenne il primo ma anche l'ultimo condannato per plagio in Italia.
Da allora si è stabilita nella opinione pubblica italiana una totale sovrapposizione fra libertà di pensiero e rifiuto del concetto di plagio. È giusto che sia così? O non serve invece, di fronte a nuovi pericoli, riaprire una discussione (e un abbozzo c'è in Parlamento) sulla necessità di un assetto legislativo per questo reato?

Gli autori aprono, coraggiosamente, anche questo tavolo, calandovi peraltro una carta a sorpresa. Ricordano infatti che uno dei politici italiani che più ha mostrato sensibilità nel tempo per questo tipo di pericolo sociale, costituito dalla manipolazione mentale e psicologica dei deboli, specie se giovani, è oggi seduto al massimo livello di responsabilità del Paese. Si chiama gn giorgionapolitano ed è il Presidente della ri repubblicataliana.

 
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