Creato da aliantelibero il 15/08/2008
ovvero il fratello dello scemo del villaggio

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PICCOLA NOTA

L'intento di questo blog è di far conoscere da un punto di vista "altro" il mondo della malattia mentale e del disagio psichico. I contenuti del blog, in bilico fra cronaca quotidiana, letteratura scientifica e presunzione letteraria affronteranno con ironia e creatività, ma pur sempre con serietà e correttezza i temi più vari che attengono alla vita delle persone con disagio psichico e i loro familiari.

I contenuti e le immagini non intendono offendere nè stigmatizzare persone con disagio psichico o loro familiari. Termini crudi e forti sono usati, e talvolta abusati, non per connotare le persone in condizione di disagio psichico, ma per sottolineare e stigmatizzare precisi luoghi comuni e stereotipi sociali di cui è spesso intriso il linguaggio e il pensiero corrente

Il blog non pretende di far divulgazione nè scientifica nè di altra natura, ma offre solo le riflessioni e gli sfoghi di una persona che nel mondo della malattia mentale, per professione e per affetti familiari, ci vive ogni giorno.

Il personaggio narrante è frutto di pura fantasia e tutte le vicende narrate, devono intendersi fortemente romanzate, senza alcun riferimento intenzionale a persone reali... in quanto ai fatti, quando sarà necessario i riferimenti saranno seri e circostanziati e sotto stretta responsabilità dell'autore.

 

Foto e video pubblicati su questo blog, laddove reperiti sulla rete, sono utilizzati in perfetta buonafede e con l'intento di divulgare un messaggio sociale di promozione dell'integrazione.

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« Ma che musica maestro - ...Lezioni d'amore »

Ma che musica maestro - parte seconda (e ultima)

Post n°81 pubblicato il 23 Luglio 2011 da aliantelibero
 

...e fu così che, armato del favoloso flauto di casa Modugno,  mi accinsi ad imparare quello che sarebbe stato il mestiere della mia futura vita.

Il programma di maestro Ciccillo era molto semplice:

- 4 ore in 2 lezioni sulla teoria musicale

- 10 ore in 5 lezioni di apprendimento diteggiatura sullo strumento ed esecuzione di scale ascendenti e discendenti

- 16 ore in 8 lezioni di esecuzione spartiti.

In sole due giornate divenni un dotto delle note: crome, semicrome, biscrome, minime, seminimime, diesis, bemolle, chiave di violino, tre quarti, quattro quarti, battere e levare, chiave di basso, pentagramma, cinque righi e quattro spazi, ottava sopra e ottava sotto... la musica non aveva più segreti per me, e ammetto che quasi quasi la cosa stava cominciando a piacermi.

Quel misterioso oggetto luccicante che occheggiava dalla nera custodia non ispirava più così tanta ostilità. Ma si sa... una rondine non fa primavera

Fu il 4 ottobre, lo ricordo bene, che per la prima volta imbracciai il mio strumento. Nei miei pensieri posso ancora scontornare con precisione geometrica, la sacralità dei gesti atti a riunire i tre pezzi adagiati nella custodia di plastica rivestita di finta pelle e imbottita di feltro rosso. Prima d'allora, per una specie di timore reverenziale non avevo osato assemblare l'ordigno riposto in quella scatola, e quando lo vidi, finalmente nella sua interezza, fui sorpreso e sgomento dalla sua lunghezza.

Con fatica le mie piccole braccia riuscirono a portare le dita sui chiavini finali.

L'esordio fu deprimente, soffiavo e chiudevo con metodica precisione i chiavini corrispondenti ad ogni singola nota, ma il risultato era ben lontano dall'armonia melodica del suono che ci si doveva aspettare da siffatto esercizio.

Fu così per tutte le altre 4 lezioni a seguire. Il maestro Ciccillo convocò papà Antonio ed, eruditolo sulla questione, convennero che il problema doveva ascriversi all'incongruenza fra la mia minuta e piccola fisionomia e la lunghezza dello strumento, e che sarebbe stato oppurtuno riprovarci quando fossi un po' cresciuto.

Come fosse stata una tumulazione, papà richiuse l'argenteo piffero nella sua custodia, l'avvolse in una coperta e lo ripose nel fondo della credenza della sala da pranzo, in attesa di tempi più idonei. Tutta la famiglia partecipò contrita all'operazione e nel mio animo, mi sentivo colpevole della mia "piccolezza".

Passarono un paio d'anni e per le vie traverse della vita, ci ritrovammo una domenica a pranzo a casa Buonofiglio, con la famiglia di Zu Rafeli e un loro figlioccio da Roma, venuto a passare le vacanze in terra di Sud.

Claudio, questo il suo nome, era quasi un musicista vero. Aveva 17 anni, studiava al conservatorio e per incredibile coincidenza suonava il flauto traverso.

Papà Antonio, colta, appunto, "l'incredibile coincidenza" non declinò l'occasione di decantare, con annesso cruccio d'amarezza verso lo snaturato corto figliolo, le magnificenze della reliquia nella credenza. Gioco forza fu riesumarla e pretendere l'onore, dal quasi maestro, di sentir almeno una volta, il cinguettìo soave dell'argenteo strumento.

Momento sublime... nell'immaginazione!

Eh già, perchè anche il preparato Claudio, malgrado il suo impegno, da quel tubo musicale non riuscì a cavare null'altro che uno sfiatato miagolìo.

Fra incredulità e mortificazione, il piccolo genio dimezzato cominciò a sezionare lo strumento alla ricerca di ragioni e fu così che avvenne la scoperta di una indicibile verità: c'era nel terminale dello strumento un buco in più!!! Buco rigorosamente e perfettamente chiavinato, ma pur sempre in eccesso rispetto alla tradizione.

Seguirono frenetiche giornate di indagini condotte da Zu Rafeli, ed alla fine luce fu: per mai chiarite ragioni, quella aberrazione fu commissionata espressamente dal Modugno fratello, che poi dimentico della cosa cedette il flauto al nostro venditore, che con chiara onestà s'impegno a procurare un secondo terminale adattabile allo strumento.

La ricerca fu lunga, ma fruttuosa e dopo 6 mesi, il mio flauto era finalmente pronto alla sua missione. La scuola del maestro Ciccillo nel frattempo era stata chiusa per esaurimento fondi, e papà Antonio muoveva alla ricerca di un nuovo mentore per il figliol musicante ritrovato.

Ma... destino volle che, nella notte della festa patronale del paese, mentre tutta la famiglia Buonofiglio era in piazza Plebiscito, ad ascoltar il Barbiere di Siviglia, pregustando il giorno in cui il piccolo Adalberto avrebbe calcato le assi di quella cassarmonica, meno poetici furfanti s'introducessero in casa, facendo razzìa d'ogni cosa, flauto compreso...

Così finì, prematuramente, la mai avviata carriera di musicante contadino del sottoscritto scrivente!!!

 

 
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LA FAMIGLIA BUONOFIGLIO

Amerigo Santacroce… mio fratello.

Uno dei tanti nati verso la fine degli anni 60, quando i parti si facevano in casa e il nascituro doveva affidare la sua sorte nelle mani di qualche buona praticona...

Lui non ebbe culo: una banale complicazione, una levatrice leggermente impreparata, un principio di embolia che blocca l’afflusso d’ossigeno al cervello e… buona notte al secchio…

Ecco dunque a voi, signore e signori l’iperbolica genesi dell’attuale detentore del titolo di “scemo del villaggio” di questo ameno borgo del sud Italia.


Io.. io sono Adalberto.

Adalberto Buonofiglio per la precisione. Figlio di secondo letto di mia madre. Potete tranquillamente risparmiarvi l’ironia a buon mercato sul mio nome: la conosco da quando sono nato. Per l’esattezza 7 anni dopo. In ospedale questa volta, a scanso di equivoci…


PierManfredo Santacroce, padre d’Amerigo era un artista di quelli che la critica colta ama chiamare “eclettico”. La gente comune, più grossolanamente, “svitato”. Di origine geografica ignota, girovago fin dall’adolescenza, la leggenda narra che non abbia soggiornato in un luogo mai più a lungo di 3 anni consecutivi.

Il matrimonio e la convivenza con mamma non contraddissero questa regola. Si racconta infatti che all’alba del mille e dodicesimo giorno di stanzialità nel nostro paese raccolse i suoi vestiti ed i suoi silenzi lasciando come ricordo di se un letto vuoto, un amore interrotto ed un figlio che era il giusto frutto di cotanto genitore.


Di Antonio Buonofiglio, mio padre c’è poca storia da raccontare… Buon uomo senza arte e senza dote. Semplicemente l’unico partito per rimediare alla “bianca vedovanza” di mia madre


Su Maddalena Santacroce Buonofiglio, angelo del focolare di questa nostra laconica famiglia, concedetemidi conservare un devoto silenzio, ché gia troppe son le parole spese su di lei…

 

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