Creato da aliantelibero il 15/08/2008
ovvero il fratello dello scemo del villaggio

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L'intento di questo blog è di far conoscere da un punto di vista "altro" il mondo della malattia mentale e del disagio psichico. I contenuti del blog, in bilico fra cronaca quotidiana, letteratura scientifica e presunzione letteraria affronteranno con ironia e creatività, ma pur sempre con serietà e correttezza i temi più vari che attengono alla vita delle persone con disagio psichico e i loro familiari.

I contenuti e le immagini non intendono offendere nè stigmatizzare persone con disagio psichico o loro familiari. Termini crudi e forti sono usati, e talvolta abusati, non per connotare le persone in condizione di disagio psichico, ma per sottolineare e stigmatizzare precisi luoghi comuni e stereotipi sociali di cui è spesso intriso il linguaggio e il pensiero corrente

Il blog non pretende di far divulgazione nè scientifica nè di altra natura, ma offre solo le riflessioni e gli sfoghi di una persona che nel mondo della malattia mentale, per professione e per affetti familiari, ci vive ogni giorno.

Il personaggio narrante è frutto di pura fantasia e tutte le vicende narrate, devono intendersi fortemente romanzate, senza alcun riferimento intenzionale a persone reali... in quanto ai fatti, quando sarà necessario i riferimenti saranno seri e circostanziati e sotto stretta responsabilità dell'autore.

 

Foto e video pubblicati su questo blog, laddove reperiti sulla rete, sono utilizzati in perfetta buonafede e con l'intento di divulgare un messaggio sociale di promozione dell'integrazione.

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don Michele o il dottor Rosenham?

Post n°4 pubblicato il 17 Agosto 2008 da aliantelibero
 

Dopo don Michele ci hanno provato in tanti a spiegarmi cos’è la malattia mentale… e ognuno aveva la sua teoria. Fino ad oggi quello che ho capito è che esistono persone che hanno una “malattia al cervello” e persone che invece hanno una “malattia al pensiero”.

Le prime, sono quelle come Amerigo, e la cosa è abbastanza semplice. Il cervello è visibilmente danneggiato (chiaramente visibile agli appositi test strumentali) e quindi la sua funzionalità è limitata.

Il casino vero nasce nelle altre persone… quelle che hanno la malattia al pensiero. In questo caso il cervello è fisicamente sanissimo. Sono i pensieri prodotti dal cervello che han qualche problema. La prova “scientifica” che ci sia malattia è data dal fatto che un ragionamento non sia condiviso o che abbia un effetto ritenuto negativo dal senso comune.

Nei libri ho trovato questa storia:

Nel 1970 David Rosenham, psichiatra, per dimostrare quanto sia difficile diagnosticare uno stato di “malattia del pensiero” riunisce otto persone: Un neo laureato in psicologia, tre psicologi di vecchia data, un pediatra, uno psichiatra, un pittore e una casalinga. Tre erano donne e cinque uomini.

Il compito di queste persone era di farsi ammettere in vari ospedali della costa atlantica e di quella pacifica degli USA. Alcuni erano vecchi e squallidi, altri erano nuovissimi. Alcuni avevano un orientamento sperimentale, altri no. Alcuni avevano uno staff numeroso, altri uno staff insufficiente. Solo un ospedale era privato: tutti gli altri ricevevano sovvenzioni da fondi statali e federali o, in un caso, universitari.

Lo pseudopaziente arrivava all'ufficio ammissioni lamentandosi di aver sentito delle voci. Alla domanda di cosa dicessero le voci, rispondeva che erano per lo più poco chiare, ma per quel che poteva intendere gli dicevano "vuoto", "cavo" e "inconsistente". Le voci non gli erano familiari ed erano dello stesso sesso dello pseudopaziente. La scelta di questi sintomi fu fatta per la loro apparente somiglianza con certi sintomi di tipo esistenziale. Si ritiene solitamente che tali sintomi abbiano origine da uno stato di dolorosa ansietà che deriva dal prendere coscienza che la propria vita è priva di significato. Oltre ad inventare i sintomi e a falsificare il nome e l'impiego, non furono compiute altre alterazioni della storia personale o delle circostanze specifiche. Gli eventi significativi della vita dello pseudopaziente furono quelli vissuti realmente dal soggetto.

Immediatamente dopo l'ammissione nel reparto psichiatrico, lo pseudopaziente cessava di simulare ogni sintomo di anormalità. Lo pseudopaziente si comportò in reparto così come si comportava "normalmente", parlando con i pazienti e con lo staff così come avrebbe fatto abitualmente. Si atteneva alle istruzioni che gli davano gli inservienti e consentiva alla somministrazione di farmaci (che però non venivano ingeriti), seguendo le indicazioni che gli venivano date. Che il loro comportamento non sia stato in alcun modo distruttivo è confermato dalle relazioni degli infermieri, secondo le quali i pazienti si comportavano in modo "amichevole", "collaboravano"e "non mostravano alcun segno della loro anormalità".

Nonostante si mostrassero pubblicamente sani di mente gli pseudopazienti non furono mai identificati come tali. Ammessi con una diagnosi di schizofrenia, con una sola eccezione, furono tutti dimessi con una diagnosi di schizofrenia "in via di remissione".

Naturalmente furono sollevati molti dubbi circa la professionalità di coloro che accettarono i ricoveri ed elaborarono quelle diagnosi. Molti sfidarono Rosenahm a ripetere l'esperimento presso la loro struttura dove sicuramente un errore del genere non poteva verificarsi. Rosenham rispose alla sfida dei suoi colleghi variando il tema del suo esperimento. Alcuni falsi pazienti avrebbero tentato, nei tre mesi successivi, di farsi ricoverare in una di queste cliniche che dichiaravano di usare una diagnostica scientifica e certa. La sfida, rilanciata loro da Rosenham, era di provare se erano capaci di riconoscere gli sperimentatori quando si sarebbero presentati. Nel periodo dell'esperimento furono rifiutati dalla struttura un gran numero di ricoveri e, in molti casi, uno o più degli operatori segnalava dubbi circa l'identità dei pazienti. In realtà nessun falso paziente si presentò in quel periodo presso quella struttura.

 
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LA FAMIGLIA BUONOFIGLIO

Amerigo Santacroce… mio fratello.

Uno dei tanti nati verso la fine degli anni 60, quando i parti si facevano in casa e il nascituro doveva affidare la sua sorte nelle mani di qualche buona praticona...

Lui non ebbe culo: una banale complicazione, una levatrice leggermente impreparata, un principio di embolia che blocca l’afflusso d’ossigeno al cervello e… buona notte al secchio…

Ecco dunque a voi, signore e signori l’iperbolica genesi dell’attuale detentore del titolo di “scemo del villaggio” di questo ameno borgo del sud Italia.


Io.. io sono Adalberto.

Adalberto Buonofiglio per la precisione. Figlio di secondo letto di mia madre. Potete tranquillamente risparmiarvi l’ironia a buon mercato sul mio nome: la conosco da quando sono nato. Per l’esattezza 7 anni dopo. In ospedale questa volta, a scanso di equivoci…


PierManfredo Santacroce, padre d’Amerigo era un artista di quelli che la critica colta ama chiamare “eclettico”. La gente comune, più grossolanamente, “svitato”. Di origine geografica ignota, girovago fin dall’adolescenza, la leggenda narra che non abbia soggiornato in un luogo mai più a lungo di 3 anni consecutivi.

Il matrimonio e la convivenza con mamma non contraddissero questa regola. Si racconta infatti che all’alba del mille e dodicesimo giorno di stanzialità nel nostro paese raccolse i suoi vestiti ed i suoi silenzi lasciando come ricordo di se un letto vuoto, un amore interrotto ed un figlio che era il giusto frutto di cotanto genitore.


Di Antonio Buonofiglio, mio padre c’è poca storia da raccontare… Buon uomo senza arte e senza dote. Semplicemente l’unico partito per rimediare alla “bianca vedovanza” di mia madre


Su Maddalena Santacroce Buonofiglio, angelo del focolare di questa nostra laconica famiglia, concedetemidi conservare un devoto silenzio, ché gia troppe son le parole spese su di lei…

 

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