Creato da aliantelibero il 15/08/2008
ovvero il fratello dello scemo del villaggio

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L'intento di questo blog è di far conoscere da un punto di vista "altro" il mondo della malattia mentale e del disagio psichico. I contenuti del blog, in bilico fra cronaca quotidiana, letteratura scientifica e presunzione letteraria affronteranno con ironia e creatività, ma pur sempre con serietà e correttezza i temi più vari che attengono alla vita delle persone con disagio psichico e i loro familiari.

I contenuti e le immagini non intendono offendere nè stigmatizzare persone con disagio psichico o loro familiari. Termini crudi e forti sono usati, e talvolta abusati, non per connotare le persone in condizione di disagio psichico, ma per sottolineare e stigmatizzare precisi luoghi comuni e stereotipi sociali di cui è spesso intriso il linguaggio e il pensiero corrente

Il blog non pretende di far divulgazione nè scientifica nè di altra natura, ma offre solo le riflessioni e gli sfoghi di una persona che nel mondo della malattia mentale, per professione e per affetti familiari, ci vive ogni giorno.

Il personaggio narrante è frutto di pura fantasia e tutte le vicende narrate, devono intendersi fortemente romanzate, senza alcun riferimento intenzionale a persone reali... in quanto ai fatti, quando sarà necessario i riferimenti saranno seri e circostanziati e sotto stretta responsabilità dell'autore.

 

Foto e video pubblicati su questo blog, laddove reperiti sulla rete, sono utilizzati in perfetta buonafede e con l'intento di divulgare un messaggio sociale di promozione dell'integrazione.

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« Il Corpo delle Paroleè sempre troppo tardi »

strade parallele

Post n°100 pubblicato il 28 Luglio 2012 da aliantelibero
 

Li incontro quasi ogni giorno mentre vado in città

Lei è una donna minuta. Esile nel suo aspetto, dai canuti capelli bianchi tagliati corti, così corti da non aver bisogno di essere pettinati mai.
Un segno di praticità, come tutto, nel suo incedere, fra l'altro, conferma. Si muove con passi misurati. Si guarda intorno con movimenti millimetrici. Potrebbe avere 70 anni. Forse qualcuno in più, ma portati bene. Indossa sempre una gonna al ginocchio, nera o comunque scura e, in questi mesi estivi, camicette chiare sempre molto sobrie. Le scarpe sono curate e con un accenno di tacco.

Lui è un ragazzone goffo. Capelli arruffati, con un perenne accenno di barba mal curata. Indossa occhiali spessi e cammina ingobbito. Ha una piccola protuberanza sulla schiena e una curvatura pronunciata. Pantaloni e magliette, o camicie talvolta, sono sempre molto sgargianti. L'aspetto, nel complesso, è trasandato. Regge sempre delle buste che sembrano contenere della spesa.

Camminano sempre accanto. Il passo misurato di lei sembra essere simbiotico all'andamento strascicato di lui. Non mi è mai capitato di vederli sfalsati. Mai uno dietro l'altro. Sarà il frutto di un'allenamento di molti anni.

Di solito li costeggio mentre camminano lungo il marciapiede di una strada stretta. Sfilo piano accanto a loro, per non turbarli con la sensazione di un incedere troppo veloce in uno spazio troppo stretto, ma soprattutto per guardarli con attenzione, per cogliere qualche particolare che possa spezzare quel senso di fatalismo in questo nostro incontrarci.

Lei non mi ha mai guardato, quantomeno, non ha mai voluto concedermi un gesto che potesse farmi avere certezza di un suo interesse.

Lui ha cominciato a salutarmi con un cenno del capo dopo un paio d'incontri. Di più non poteva fare d'altronde, visto il perenne fardello che sembra destinato a condurre.

Qualche volta Amerigo è in macchina con me. Non so se li abbia mai notati.

Amerigo c'era anche qualche settimana fa. Discutevamo un po' animatamente, per un suo capriccio che non riusciva a ridimensionare nonostante avesse compreso una certa difficoltà ad accontentarlo. Capitò quindi di passare accanto a quella strana coppia senza ricambiare il saluto di lui. Appena realizzato d'averli superare li cercai nello specchietto. Ebbi la sensazione netta di aver colto un velo di delusione nello sguardo di lui e come una accenno di durezza in quello di lei.

Quella sera sarei partito per un viaggio di lavoro e sarei stato assente per diverso tempo. Proseguii verso la mia meta con uno strano senso di disagio.

Al mio ritorno, ripresa la routine verso la città, li incontrai puntualmente. Tutto era come sempre. Nulla era cambiato ma lui... lui non mi porse il consueto cenno del capo per salutarmi.

Accadde la stessa cosa il giorno dopo.

Ero stranito, mi spiaceva averlo ferito. Mi erano due sconosciuti, ma stranamente erano nei miei affetti. Soprattutto lui. Pur senza conoscer nulla della sua storia, avevo pensato che quel ragazzone fosse un altro Amerigo e questo me lo rendeva naturalmente e geneticamente simpatico e vicino

Poi ieri...

Li incontrai mentre scrosciava un temporale. Stranamente non erano premuniti. Non avevano ombrelli o altro che potesse ripararli.

Lei camminava imperterrita sotto l'acqua, solo più attenta a dove posare i piedi. Lui era più agitato. Frignava un po'.

Mi chiedevo come fosse possibile, che quella donna così pragmatica avesse potuto uscir di casa senza prevedere quello scroscio che pure era annunciato fin dalla notte prima, da cupi nuvoloni e fragorosi tuoni.

Senza pensarci più del necessario fermai al loro fianco e abbassato il finestrino mi offrii di accompagnarli.

Ci fu un attimo d'empasse. La donna sembrava non aver compreso. Per un attimo la sicurezza dei suoi modi aveva mostrato un'incrinatura. La incalzai di nuovo. Dietro, alcuni automobilisti impaziente strombazzavano feroci. Fu lui a rompere l'indugio e aperto lo sportello posteriore si infilò dentro con un sorriso finalmente rassicurato.

Sorpresa e forse un po' stizzita da ques'iniziativa s'arrese e salì. Prima ancora che potessi dire qualcosa mi diede delle indicazioni sulla strada da fare.

Non era distante. Mi incamminai lento pensando a qualcosa da dire per rompere il ghiaccio. In un qualche modo, quella donna era riuscita a creare un'atmosfera tale per cui sentivo quasi di dovermi scusare d'aver avuto quel moto di solidarietà e gentilezza. Ma ancora una volta, fu lei a rubare il tempo e parlare prima di me.

Mi disse il suo nome... Lena... Pensai a mia madre, Maddalena... chissà se era il diminutivo dello stesso nome. Prese coraggio e parola anche lui da dietro, annunciando il suo nome... Francesco...

Poi arrivammo alla loro casa. Lei disse che ero stato gentilissimo ad aver così premura per loro, con un tono che mi fece comprendere che la gentilezza dovesse esser qualcosa a cui non erano più abituati. Riuscii finalmente a incontrare il suo sguardo. Il suo viso. Capii che doveva esser stata una donna bellissima in gioventù. I suoi occhi erano velati di stanchezza e solitudine. Ci salutammo.

Chissà come sarà reincontrarli la prossima volta...

 
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Commenti al Post:
fioredimaggio73
fioredimaggio73 il 28/07/12 alle 22:56 via WEB
Quando la gente non è più abituata a queste antiche gentilezze, poi un piccolo gesto come questo tuo spalanca le prte a qualcosa di più grande e profondo, magari una bella amicizia... Un bacio e un abbraccio, l'ho detto io che tu sei oltre!
(Rispondi)
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LA FAMIGLIA BUONOFIGLIO

Amerigo Santacroce… mio fratello.

Uno dei tanti nati verso la fine degli anni 60, quando i parti si facevano in casa e il nascituro doveva affidare la sua sorte nelle mani di qualche buona praticona...

Lui non ebbe culo: una banale complicazione, una levatrice leggermente impreparata, un principio di embolia che blocca l’afflusso d’ossigeno al cervello e… buona notte al secchio…

Ecco dunque a voi, signore e signori l’iperbolica genesi dell’attuale detentore del titolo di “scemo del villaggio” di questo ameno borgo del sud Italia.


Io.. io sono Adalberto.

Adalberto Buonofiglio per la precisione. Figlio di secondo letto di mia madre. Potete tranquillamente risparmiarvi l’ironia a buon mercato sul mio nome: la conosco da quando sono nato. Per l’esattezza 7 anni dopo. In ospedale questa volta, a scanso di equivoci…


PierManfredo Santacroce, padre d’Amerigo era un artista di quelli che la critica colta ama chiamare “eclettico”. La gente comune, più grossolanamente, “svitato”. Di origine geografica ignota, girovago fin dall’adolescenza, la leggenda narra che non abbia soggiornato in un luogo mai più a lungo di 3 anni consecutivi.

Il matrimonio e la convivenza con mamma non contraddissero questa regola. Si racconta infatti che all’alba del mille e dodicesimo giorno di stanzialità nel nostro paese raccolse i suoi vestiti ed i suoi silenzi lasciando come ricordo di se un letto vuoto, un amore interrotto ed un figlio che era il giusto frutto di cotanto genitore.


Di Antonio Buonofiglio, mio padre c’è poca storia da raccontare… Buon uomo senza arte e senza dote. Semplicemente l’unico partito per rimediare alla “bianca vedovanza” di mia madre


Su Maddalena Santacroce Buonofiglio, angelo del focolare di questa nostra laconica famiglia, concedetemidi conservare un devoto silenzio, ché gia troppe son le parole spese su di lei…

 

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