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Vigili del fuoco in vallata

dal Sabato Sera del 24/2/2007 Fontanelice. Sono ben 18 i volontari, tra cui una ragazza, che hanno deciso di partecipare al corso organizzato dal Comando Provinciale dei vigili del fuoco e dar vita al primo nucleo dei pompieri volontari del paese. Il secondo gruppo di tutto il circondario dopo quello storico di Medicina. Le prime adesioni sono state anche raccolte durante la festa di Pompieropoli, organizzata l’ottobre scorso dall’Associazione nazionale vigili del fuoco insieme al Comune e dedicata ai bambini. Dopo una serie di incontri con la comandante del Comitato Provinciale di Bologna, durante i quali agli aspiranti pompieri è stato illustrato il loro compito futuro ed il corso di addestramento al quale verranno sottoposti, la raccolta delle adesioni definitive ha portato il numero dei ragazzi a 18. Terminati i controlli medici, l’addestramento si svolgerà in due trance, una primaverile ed una autunnale, al termine delle quali ci sarà il decreto di nomina. Una volta pronti, per tenersi in allenamento verranno chiamati periodicamente a Imola da i colleghi “professionisti”. E’ molto probabile, infatti, che i volontari siano pronti prima che in vallata sia a loro disposizione una sede tutta per loro. La sede, infatti, sarà a Fontanelice, ma sul dove collocarla c’è ancora qualche dubbio. “Per realizzarla abbiamo a disposizione 250 mila euro stanziati dalla protezione civile, in parte dalla Regione e dalla Comunità Montana – spiega il sindaco Vanna Verdelli -. Stiamo valutando alcuni spazi nella zona industriale oppure un’area dimessa vicino al centro storico. Quando saremo pronti avremo la sede della protezione civile della vallata e del corpo forestale a Castel del Rio, mentre i vigili del fuoco saranno a Fontanelice per poter intervenire tempestivamente in caso di necessità”. Necessità come quella dell’11 novembre scorso, quando un sottotetto prese fuoco a Fontanelice, a causa di una canna fumaria surriscaldata.

 

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intervento di Giancarlo Zardi nel Consiglio Comunale straordinario del 16 marzo 2011 a Fontanelice nel Museo Mengoniano

Post n°167 pubblicato il 16 Marzo 2011 da fontanelice
 

150° anniversario Unità d’Italia

 

17 marzo 1861; cosa accadde in quel giorno di 150 anni fa, che questa sera siamo qui a celebrare? Nessuna guerra, nessuna vittoria, nessuna sconfitta, ma, banalmente potremmo dire, la promulgazione della legge 4671, con cui Vittorio Emanuele II, assunse per sé e per i successori di Casa Savoia, il titolo di Re d’Italia, tappa fondamentale di un percorso già intrapreso, che porterà poi all’unità d’Italia, anche se i confini che oggi conosciamo sono molto più recenti e risalgono agli esiti ed alle conseguenze della seconda guerra mondiale.

Grandi personaggi dell’Italia risorgimentale sono entrati nello scibile popolare, contribuendo alla causa dell’Italia Unita: Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Massimo D’Azeglio, Camillo Benso Conte di Cavour, il Re Vittorio Emanuele II; ognuno di loro, diede un contributo essenziale, magari partendo da posizioni divergenti se non addirittura contrapposte.

L’Italia occidentale, il Piemonte in particolare, rappresentò l’embrione del futuro stato, e da lì proveniva la maggior parte dei protagonisti del risorgimento italiano.

Ma anche il nostro territorio, e la Romagna nel suo complesso, che viveva e subiva l’oppressione dello Stato Pontificio, contribuì fattivamente a questo particolare momento storico.

Nella ricorrenza, la stampa locale, ha opportunamente evidenziato il coinvolgimento di Imola nei moti del 1831 ed i personaggi locali che vi ebbero un ruolo significativo: Luigi Galeati, Lorenzo Selvatici, il Conte Giovan Battista Dalla Volpe.

A Fontanelice, ci pregiamo di essere concittadini di Giuseppe Mengoni, grande architetto risorgimentale, progettista della celeberrima Galleria Vittorio Emanuele di Milano; Mengoni grande architetto dunque, ma anche patriota convinto. E da Giuseppe Mengoni l’Amministrazione Comunale prende giustamente spunto per ricordare e contestualizzare questo particolare evento, celebrando il suo figlio più illustre.

Tralasciando l’aspetto ed il contesto locale, molti si chiedono: “Perché celebrare questa ricorrenza?”

E’ una domanda che io mi sono posto, e anche un dubbio sulla necessità di celebrare con una giornata festiva l’evento, con tanto di strascichi polemici, fra i partiti della maggioranza di Governo.

Per trovare riposta, ho riflettuto, partendo dalle parole di Massimo D’Azeglio: “Pur troppo s'è fatta l'Italia, ma non si fanno gli italiani!

E’ vera questa affermazione di Massimo D’Azeglio? E’ vera ancor oggi?

Io credo di no, nel senso che per secoli l’Italia è stata divisa in Regni, Ducati, Comuni, ed ha pesantemente scontato questo retaggio storico, con profonde divisioni linguistiche e culturali, che si sono poi riverberate, lo vediamo ancor oggi, anche in termini di sviluppo nelle diverse aree del Paese, con un settentrione decisamente più ricco e sviluppato di un mezzogiorno, che scontava, e sconta, una maggior arretratezza economica.

Questo stato di cose generò, soprattutto negli anni ’60, grandi flussi migratori interni, da sud verso nord, in particolare verso Piemonte e Lombardia, creando al contempo anche difficili situazioni sociali, derivanti dal confronto di culture profondamente diverse.

Ora viviamo una crisi economica pesantissima, che è una crisi di tutto l’occidente, ma che in Italia soffriamo tangibilmente, e che soprattutto le giovani generazioni soffrono più che altrove, chiediamoci: cosa sarebbe stato del miracolo economico italiano, senza l’apporto di tante persone che si sono trasferite verso le aree più industrializzate del Paese?

Alla FIAT, chi avrebbe costruito le auto alle catene di montaggio se i “cafoni” del sud, uso la terminologia di Ignazio Silone, grande letterato antifascista, non fossero arrivati a Torino con le valigie di cartone legate con lo spago?

Senza questo contributo essenziale, senza l’inurbamento di tanta popolazione rurale, il miracolo economico del dopo guerra su cui il nostro Paese ancor vive, non ci sarebbe mai stato. Il tempo ha poi portato ad una progressiva omogeneizzazione culturale del nostro Paese ed ha sicuramente rimosso i problemi più acuti, e larga parte del Paese si riconosce ora nel tricolore, nell’inno di Mameli e, soprattutto, nei suoi valori fondanti.

Ma il nostro tempo impone nuove sfide: non è più tempo di nord contro sud, ma è il tempo del confronto con nuove culture, in taluni casi anche radicalmente diverse dalla nostra; è il tempo di convivere con tunisini, albanesi, romeni, marocchini, moldavi, pakistani, dominicani, ucraini.

Non importa se a noi piaccia o no; così è, e così sarà.

La fine del comunismo, il crollo del muro di Berlino nel 1989, ha portato con sé il crollo di ben altri muri. Non ci sono più le barriere del passato; la vera rivoluzione post 1989, non è la libera circolazione delle merci nel mondo, quanto la libera circolazione delle persone; i nuovi “cafoni” non provengono più dal Nisseno, dalle valli del Veneto o dall’Appennino Tosco-Romagnolo, ma dal Maghreb piuttosto che dai Balcani o dai Carpazi.

In uno stato, una comunità nazionale, nell’Italia Unita, come possono convivere culture, religioni ed usanze così diverse fra loro? E’ chiaro che in presenza di una congiuntura economica difficile come l’attuale, le cose si complicano, ma la condivisione dei valori fondanti, è determinante, è il cemento che unisce e salda anche gli elementi più eterogenei.

Ma quali sono, dove sono, questi valori fondanti?

E’ semplice: sono scritti nella Carta Costituzionale della Repubblica Italiana, mirabile esempio di equilibrio, a sintesi delle tesi dei membri dell’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana, provenienti dalle forze politiche antifasciste: Democrazia Cristiana, Partito Socialista, Partito Comunista, Partito Repubblicano, Partito d’Azione solo per citare le più note.

La Costituzione entrò in vigore il primo gennaio del 1948, ma presenta oggi, 63 anni dopo, aspetti di straordinaria contemporaneità, a testimonianza della lungimiranza dei membri della Costituente.

Cito qualche articolo della Costituzione, quelli che ci toccano da vicino nella nostra quotidianità:

  • Art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, condizioni sociali e personali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”

  • Art. 8: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano”

Questi due articoli anticipano i tempi di molti decenni, almeno per l’Italia, perché in altri paesi il fenomeno dell’immigrazione ha radici più lontane, tante volte retaggio di un passato coloniale. A questi ragazzi che sono qui questa sera dico: riconoscetevi in questi valori, senza dimenticare le vostre origini, la vostra cultura, la vostra lingua, il vostro dialetto. Siate orgogliosamente cattolici, piuttosto che musulmani o ortodossi, ma mai contro gli altri. Il professare una religione, parlare una lingua o un dialetto, sia un vostro patrimonio personale, un elemento di ricchezza da condividere con altri, mai un elemento di divisione o, ancor peggio, di prevaricazione.

L’art. 3 poi, si configura quasi come un manifesto anticipatorio delle tesi di Martin Luther King, da lui espresse nell’epico discorso di Washington, del 28 agosto 1963, in cui, quasi come in un tormentone, ebbe a ripetere un’infinità di volte: “I have a dream”. Ma il sogno non è più tale, è qui, nello spazio temporale che sta fra Rosa Parks, donna di colore che rifiutò di cedere il posto a sedere sull’autobus ad un bianco nel 1955, e per questo fu arrestata, e Barak Obama, primo afroamericano ad essere eletto Presidente degli Stati uniti, nel 2008.

Passo all’art. 33, che coinvolge tutta la società, ma i giovani e gli studenti in prima persona:

  • “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”

Questo articolo mi evoca quanto scritto da uno dei grandi Padri Costituenti, Piero Calamandrei. Sono parole che già ho riportato in un precedente Consiglio Comunale; mi sia consentito riproporle in forza della loro straordinaria attualità:

"Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in un alloggiamento per manipoli; ma vuole istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di partito?
Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere imparziali.
C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito.
Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private.
Cure di denaro e di privilegi. Si comincia perfino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori, si dice, di quelle di stato. E magari si danno dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche, alle scuole private. A "quelle" scuole private. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo apertamente trasformare le scuole di stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tenere d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi, ve l'ho già detto:

  • Rovinare le scuole di stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni.

  • Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette.

  • Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico"

Questo non è quel che scrive un editorialista, critico nei confronti dei provvedimenti del Ministro Maria Stella Gelmini, ma è quel che scrisse Piero Calamandrei, e qui sta la straordinarietà, il 20 marzo 1950, sessantun anni fa!

Traendo ispirazione dalle inequivocabili parole di Piero Calamandrei, formulo una critica anche nei confronti del mio partito, il Partito Democratico: troppe ambiguità, troppe timidezze da parte nostra, nel sostenere la scuola pubblica, grande strumento di democrazia ed eccellente strumento pedagogico.

Basti pensare alle più prestigiose università statunitensi, Harvard, YALE, Stanford, MIT, Columbia, oggi costrette a cercare studenti in Cina, India, Europa per l’incapacità del sistema scolastico interno di formare validi studenti.

Pur rimanendo nel contesto della Costituzione, cambio argomento, passando all’art. 41, che poi citerò, in modo che possiate analizzare le parole dopo il mio preambolo. Ebbene questo articolo è stato uno degli ultimi in ordine di tempo a finire sotto attacco, perché definito illiberale, di ostacolo alla libera impresa, uno degli elementi di freno alla crescita economica del Paese.

L’art. 41 così recita:

  • “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”

Dove sono gli elementi di illiberalità nell’art. 41? E’ nell’attacco ad esso che vi sono, questo sì, elementi di propaganda, demagogia e populismo.

Chiudo il ragionamento soffermandomi sull’elemento cardine della Carta Costituzionale; l’equilibrio e l’indipendenza dei tre poteri: il potere esecutivo, esercitato dal Governo; il potere legislativo, esercitato dal Parlamento; il potere giudiziario, esercitato dalla Magistratura.

E’ fuori discussione che il giudizio che ognuno di noi può esprimere sull’operato del Governo o del Parlamento, soggiace alla soggettività, al condizionamento ideologico. Così non può essere per la Magistratura che non dovrebbe e non è, sottolineo, non è, organo politico. E’ distorsivo che chi ha incarichi politici pretenda per sé impunità incondizionata, adducendo a giustificazione che la Magistratura non deve interferire con la politica.

L’art. 3 che già abbiamo esaminato suona a condanna di questa tesi, lo ribadisco:

  • Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, condizioni sociali e personali”.

La Magistratura, che pure deve contare fra le sue fila elementi che ne hanno danneggiato l’immagine, l’operato e il profilo morale, è l’organo dell’Italia Repubblicana che nei decenni più ha dato in termini di servizio, al Paese, alla Società e in termini di vite umane.

Il primo nome che mi viene in mente non appartiene, fortunatamente, alla vasta pletora di vittime, è quello Francesco Saverio Borrelli, uomo del sud, a capo della Procura di Milano ai tempi di “Mani Pulite”, quell’insieme di indagini che portarono all’implosione di un’intera classe politica ed allo scompaginamento radicale del quadro politico, una ventina di anni orsono.

Alla Procura di Milano appartenevano pure altri magistrati, comunemente definiti come “Pool Mani Pulite” nel loro insieme, assurti all’onore delle cronache per la battaglia contro la corruzione: Gherardo Colombo; Gerardo D’Ambrosio; Pier Camillo Davigo, Antonio Di Pietro ed altri ancora.

Ma il ricordo più doloroso è quello legato ai magistrati assassinati; me lo ha recentemente rievocato Luca Palamara, Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, concedendo un’intervista davanti ad una lapide riportante i nominativi di alcuni di questi, che hanno sacrificato la propria vita in nome di un ideale, per lealtà verso la Magistratura ed il Paese.

In un elenco purtroppo lungo, per una questione anche anagrafica, mi sento personalmente molto legato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, entrambi uomini del sud, morti per mano della mafia, in due distinti attentati, ma con unica matrice, nel 1992.Uomini forse lasciati soli, o che forse erano arrivati, o stavano per arrivare, dove non dovevano, dove non era concesso, in un intreccio fra politica e mafia che ogni tanto si ipotizza, ma che nessuno riesce mai a svelare. Sapevano di rischiare per le loro azioni, per la loro lealtà, per la loro intransigenza, ma non per questo si sono astenuti da quello che il rigore morale imponeva loro. E per questo sono morti, assieme a uomini di scorta e congiunti. La retorica porterebbe a definirli come eroi.

Ma eroe è un termine che non amo; mi fa venire alla mente Bertolt Brecht e la sua opera “Vita di Galileo”, quando il maestro, dopo l’inquisizione per le sue tesi eretiche e l’abiura per sfuggire al rogo, viene accolto da un suo allievo deluso, che così lo apostrofa: “Maledetto quel popolo che non ha più eroi!”. A cui Galileo ribatte: “Sfortunato quel popolo che ha bisogno di eroi!

Ecco, in queste poche ed essenziali parole, che il grande Bertolt Brecht mise sulla bocca del grandissimo Galileo Galilei, c’è tutto quello che io auguro alla Magistratura ed all’Italia: di non avere bisogno di eroi.

Mi auguro poi, di non dover un giorno elencare nel novero degli eroi, un giovane scrittore contemporaneo, che la sua battaglia contro la criminalità organizzata, la sta combattendo sul piano culturale, pagandone un durissimo prezzo personale, fatto di solitudine e isolamento: Roberto Saviano.

Per non cadere nell’ipocrisia, odio i sepolcri imbiancati, dopo questa appassionata difesa della Carta Costituzionale, muovo una critica al mio schieramento politico, il centro-sinistra: le modifiche che esso apportò al titolo V, si sono rivelate un clamoroso errore, un boomerang, non tanto sul piano del merito, quanto del metodo. Non si può e non si deve modificare la Costituzione, che è la base di tutta la nostra legislazione, a maggioranza semplice, con un pugno di voti di vantaggio; devono essere scelte condivise.

La Costituzione quindi, e qui chiudo, come uno dei punti più alti della storia dell’Italia repubblicana e come elemento imprescindibile dall’Unità d’Italia.

 

Viva l’Italia, viva l’Italia Repubblicana, viva la Costituzione, viva l’Unità d’Italia.

 
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