Creato da purceddduzzzi il 09/10/2009
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« Innamorarsi e il creato ...LE PIU' BELLE PAROLE PER LEI »

Chi ci imparņ il dialetto della luna?

Post n°9 pubblicato il 19 Dicembre 2009 da purceddduzzzi
 

NELLA PLACENTA LA BUSSOLA DELL’IMMENSO

 

Oasi d’empireo sparse nelle nostre fughe,

limpido il limbo in cui ci troviamo,

ancora più chiara la scala per il paradiso,

chiedersi cosa? Oh martirio di fumo!

Avrà mai la balena il silenzio per saltare dall’acqua?

L’arcobaleno udirà parole più meravigliose di lui?

Avremo l’ardore di consegnare il paradiso nelle mani del cielo?

L’ho fatto amico nelle notti che lei ambiva conversare

col crepitio del fuoco,

l’ho fatto quando il nettare cadeva dalle stelle,

seguendo meramente il piegarsi di un giglio.

Seminavamo le leggende in volo

e sui miraggi ci pioveva una burrasca,

un temporale più incantato che aveva le ossa,

le comete chiedevano di poter riprender fiato,

solo puntammo il sentiero dove sospettavamo da sempre

si nascondesse l’immenso, senza voler regali dai numi.

Balene zaffiro potevano saltare l’arcobaleno,

io e lei nel  gorgo di un prodigio che solo il cielo sa compiere,

per vedere nei nostri occhi il paradiso indicato

da fonti che ognuno conosce, da angeli celebri e

brillare, brillare, brillare e brillare fra di noi.

 

ALESSANDRO IDISIUM

 

 

Sera storica

 

   In qualunque sera, per esempio, si trovi il turista ingenuo, lontano dai nostri orrori economici, la mano di un maestro anima il clavicembalo dei prati; si gioca a carte in fondo allo stagno, specchio evocatore di regine e favorite, abbiamo le sante, i veli, e i fili d'armonia, e i cromatismi leggendari, sul tramonto.
   Lui rabbrividisce al passaggio delle cacce e delle orde.  La commedia gocciola sui palchi d'erba.  E l'im- barazzo di poveri e deboli sopra questi stupidi piani!
   Schiava della sua visione, la Germania innalza impalcature verso le lune; i deserti tartari s'illuminano - le antiche rivolte brulicano al centro del Celeste Impero; lungo le scalinate e le poltrone dei re, un piccolo mondo livido e piatto,  Africa e Occidenti, si sta edificando.  Poi un balletto di mari e notti conosciute, u- na chimica senza valore, e impossibili melodie.
   La stessa magia borghese in tutti i punti in cui ci deporrà la diligenza! Il fisico più elementare sente che non è  più possibile sottomettersi  a  questa atmosfera personale,  nebbia di rimorsi fisici,  la cui constata- zione è già un'afflizione.
   No!  Il  momento della  caldana, dei mari in burrasca,  degli incendi sotterranei,  del pianeta travolto,  e degli stermini conseguenti, certezze così poco malignamente indicate nella Bibbia e dalle Norne e che sa- rà dato all'essere serio di sorvegliare. - Tuttavia non sarà un effetto di leggenda. 

 

ARTHUR RIMBAUD

 

 

morte.jpg image by katyna

 

 

 

 

 

I FARI


Rubens, fiume d'oblìo, giardino della pigrizia, cuscino di carne fresca su cui non si può amare, ma in cui la vita fluisce e di continuo s'agita, come l'aria nel cielo e il mare dentro il mare;

Leonardo da Vinci, specchio oscuro e profondo, in cui angeli incantevoli, con un dolce sorriso pieno di mistero, appaiono all'ombra dei ghiacciai e dei pini che ne chiudono il paesaggio;

Rembrandt, triste ospedale tutto pieno di murmuri, decorato soltanto da un grande crocifisso, ove la preghiera in lagrime esala dalle lordure e il sole d'inverno appare con un raggio improvviso;

Michelangelo, luogo indefinito in cui si vedono Ercoli mescolarsi a Cristi, elevarsi dritti dei fantasmi possenti che nei crepuscoli si stracciano di dosso il sudario stirando le dita;

e tu, che la collera dei pugili, la bellezza dei ribaldi, l'impudenza dei fauni hai saputo raccogliere, Puget, uomo debole e giallastro, grande cuore gonfio d'orgoglio - malinconico imperatore dei forzati;

Watteau, carnevale in cui tanti cuori illustri errano come farfalle di fuoco, scenari freschi e leggeri rischiarati da lumi che, versano la follia su un ballo vertiginoso;

Goya, incubo pieno di cose misteriose, di feti fatti cuocere in pratiche stregonesche, di vecchie che si specchiano e di fanciulle nude che si aggiustano le calze per tentare i demòni;

Delacroix, lago di sangue abitato da angeli maledetti, ombreggiato da un bosco di pini sempre verdi ove, sotto un cielo malinconico, strane fanfare passano come un sospiro smorzato di Weber;

queste maledizioni e bestemmie, questi lamenti, queste estasi, e gridi e pianti, questi Te Deum sono un'eco ripetuta da mille labirinti: per un cuore mortale sono un oppio divino.

È un grido ripetuto da mille sentinelle, un ordine ritrasmesso da mille portavoci, un faro acceso su mille fortezze, un suono di cacciatori perduti in grandi boschi!

Perché, veramente, o Signore, è la migliore testimonianza che noi si possa dare della nostra dignità questo singhiozzo ardente che passa di secolo in secolo per morire ai piedi della tua eternità.

CHARLES BAUDELAIRE

 

 
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