sogni incurabilialto tasso d'inchiostro nel sangue |
DA "IL CIELO TRA LE DITA":
ANCORA DA "IL CIELO TRA LE DITA":
"Questa mattina mi sono svegliata ed ho pensato che la vita è bella. E' bella qui, alle sei del mattino, tra tazzine, pacchetti di sigarette e scartoffie sparse alla luce tenue dell'alogeno, con l'aroma internso del caffè appena fatto che avvolge beneficamente le narici e scalfisce il freddo. Il chiarore lillaceo di una mattina di fine febbraio filtra dalle tapparelle abbassate, mancano ventdue giorni alla fine dell'inverno, che sembra essere un po' incazzato, ha deciso di dare pieno sfogo alle sue ultime chances di farci tremare, dopo aver flirtato per qualche giorno con la primavera ed aver illuso tutta la città. Tutti siamo innamorati, se non di qualcuno, di qualcosa almeno, di un sogno, un progetto, un ideale, l'idea stessa dell'amore forse, e chi asserisc di non esserlo loè della propria superiorità. Tutti siamo sempre incinti d'idee e in procinto di partorirle, tutti abbiamo abortito e continuiamo a farlo, con più o meno dolore, per diverse motivazioni, hain o no la possibilitàe i mezzi per far crescere il frutto di cui sei gravido o semplicemente devi scegliere in un plurigemellare."
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TRATTI SULLE DONNE DA "IL CIELO FRA LE DITA":
...La donna affascinante e misteriosa, desiderata e temuta, depositaria delle chiavi di un universo a sè stante, incomprensibile eppure fonte di irresistibile attrazione, non esiste quasi più. E poi dicono che gli uomini scappano, che sono diventati eterni bambini che rifiutani d'impegnarsi, timidi e pavidi come educande o sfuggenti Peter Pan. Per forza, a furia di cercare l'isola che non c'è.
Oggi le donne ti fanno comprendere tutto fin troppo bene, ti urlano contro forsennatamente il loro diritto a fare il magistrato o il pompiere perchè sanno farlo meglio degli uomini, questi ultimi li costringono a passare l'aspirapolvere o cambiare il pannolino al pupo e poi non mancano di sbraitare che loro sanno farlo meglio, e alla fine di una simile giornata un uomo entra in camera da letto con l'ansia di uno studente alla vigilia degli esami: e se non fosse capace di farle avere un orgasmo multiplo?
....o forse sarebbe meglio, piuttosto che continuare a chiederci che cosa abbiamo conquistato e se è sufficiente, fermarci ogni tanto, e domandarci che cosa abbiamo perso di noi stesse, se c'è qualcosa che abbiamo smarrito, abbandonato, dimenticato per strada, accantonato in un cassetto polveroso, qualcosa che avremmo voluto solo per noi stesse, nè per coloro che amiamo, nè per quelli a cui dobbiamo dar conto e neanche per dimostrare qualcosa a qualcuno. Andiamo a cercarlo questo qualcosa, facciamoci questo regalo, l'essenza più vera della nostra femminilità ancestrale ci ringrazierà dal profondo....
Riflettete bene su quanto sto per rivelare: la donna-oggetto non esiste e non è mai esistita. Esiste la donna-zerbino e ne abbiamo già trattato, tuttavia a questa categoria appartengono donne dotate di particolari insicurezze emotive che raramente somigliano a quelle che sono considerate donne-oggetto. Queste ultime sono sempre donne belle e appariscenti che usano il proprio potere seduttivo per ottenere quello che vogliono o per divertirsi a creare scompiglio. Ho detto "usano" e state pur certe che lo fanno. Va da sè che un oggetto può essere usato ma non usa.
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Post n°26 pubblicato il 01 Dicembre 2008 da carmendimaria
Guardo la carta d’identità scaduta. Ecco ne ho consumata un’altra, ovvero ho consumato altri cinque anni della mia vita. Non nego di essermi preoccupata per un attimo della foto per il rinnovo. Ma perché lo Stato Italiano deve romperci le scatole scandendoci la vita con l’obbligo di portare in tasca ogni cinque anni una faccia diversa e ben precisa, ovvero quella che ti capita un giorno su una fototessera? Il passare del tempo non rende l’impresa clemente, mano a mano che si va avanti, certo, ma non è detto, fino a un certo punto almeno, che si debba peggiorare. In ogni caso i cinque anni che non sono in realtà sufficienti a determinare un cambiamento notevole, prova ne sia che la patente invece la si rinnova ogni dieci, sono però sufficienti a farti prendere un colpo. A maggior ragione può non essere la giornata giusta, quella della famosa foto quinquennale, che facilmente riesce a farsi detestare. A me l’ultima volta è andata bene, sinceramente. Anche perché se non mi va bene io non mi accontento, sono capace di farla rifare più volte, finchè non mi soddisfa. Narciso mi fa un baffo, anche perché era così stupido da non aver capito di essere lui la creatura meravigliosa di cui si era innamorato, così stupido da rimetterci la pelle( che poi - mi chiedo – ma come diavolo avrà fatto a riuscire ad annegare a riva?) . Io la pelle invece preferisco curarla. Doppia dose di maschera alle bucce di papaya, in vista della fatidica foto. Idrata, rinfresca, illumina. A distendere i lineamenti invece ci pensa la meditazione. Eh sì, sono proprio fortunata. Oggi. Che accadrà la mattina in cui andando di corsa giusto a prendere il pane, struccata e con la faccia sbattuta come un uovo in padella, coi capelli sparati e appinzati alla bell’e meglio sulla testa, mi imbatterò nel caratteristico posto di blocco e consegnerò i documenti allo sparuto poliziotto che continuerà a guardare perplesso me e la carta come a chiedere: “E’sicura che questa qui sia proprio lei?”? Niente per fortuna, perché ai posti di blocco ti chiedono la patente. Già. E su quella ho ancora la foto di quando avevo diciotto anni. Mi fa piacere che nessuno abbia avuto ancora difficoltà a riconoscermi. Nessuno tranne me. Io con quella ragazzetta spocchiosa e saccente che non ho sbattuto via dalla mia patente per pura inedia non ho più nulla a che vedere, e lo dico contenta. Non è infatti una questione di età o di bella faccia. E’ questione di sentirsi rappresentati da quell’immagine che ha la pretesa di doverti identificare. Sì: un nome, un cognome, dei numeri, una foto e abbiamo fatto un cittadino. Ma per fare una persona non solo tutto questo non basta, è pure superfluo e spesso fuorviante. C’è scritto sopra che di mestiere fai l’operaio e anche se nel tempo libero ti diletti di astrofisica da far le scarpe a Margherita Hack stando a quella carta saresti buono solo ad avvitar bulloni. E poi … ah, sì … segni particolari. Io c’è l’ho, il segno particolare. Ho una piccola cicatrice a forma di mezzaluna sotto la tempia sinistra, dovuta ad una caduta da bambina. Fa parte di me e della mia storia, e io la guardo indulgentemente, poiché certo non mi sfregia ma mi ricorda piuttosto un’esuberanza infantile irrimediabilmente appiatitasi. Ma sulla carta d’identità la mia mezza lunetta non è mai comparsa. Evidentemente non è abbastanza particolare. Non si nota molto, è vero, ma qualcosa di molto notevole avrebbe bisogno di ulteriori indicazioni? La carta d’identità non dice niente di te ed è per questo che non bisogna lasciarle altri diritti che quello per il quale è nata, identificare il cittadino. Non permettetele di dirvi che non avete più l’età per fare quello che sentite di volere o che il vostro posto è in fabbrica e non al diritto di esprimere altre opinioni o coltivare passioni insospettabili. So che non è superfluo quel che dico, ci sono molte persone che ancora oggi si sentono schiave del cittadino a costo di mortificare la persona. Ricordate però una cosa, almeno sulla foto avete una possibile variante, una rivincita plausibile. Quanti di voi l’hanno guardata e si son detti spesso: “guarda qui, sembro questo o quello, non sembro nemmeno io, che espressione ebete, sembro uscito adesso da un film dell’orrore, da un tribunale, da una sauna”. Ebbene questo no, non permettetelo. Non conta essere belli o brutti, più o meno giovani. Conta però quando, senza remore, potete guardarvi e, al di là del rammarico verso una natura che volevate più generosa o verso il tempo tiranno, dire: “sì, questo sono proprio io". |
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