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« Governo rinviatoMessaggio #164 »

Tutti i rischi del presidente

Post n°163 pubblicato il 27 Febbraio 2007 da circololenci

Gabriele Polo

Il governo Prodi ci riproverà. Il presidente della Repubblica lo ha rimandato alle Camere per vedere se la maggioranza uscita vincente dalle ultime elezioni può reggersi ancora in piedi. Giusto così, istituzionalmente ineccepibile, politicamente inevitabile: meglio di qualunque pasticcio istituzionale. Di suo Napolitano ha posto un vincolo che sembra secondario, ma in realtà pesantissimo: a palazzo Madama dovrà esserci una maggioranza autonoma dal voto dei senatori a vita. Insieme con la nuova tavola della legge (i dodici punti) di Prodi, quella condizione presidenziale dà il segno di ciò che è avvenuto e illumina su ciò che avverrà.
immagineSe l'Unione riuscirà a trovare i voti necessari per garantirsi un futuro - non si sa quanto lungo - finiremo nelle mani di Follini (e di Pallaro, più che un senatore, una metafora onomatopeica), ma gli elettori del centrosinistra potranno uscire dal panico che li ha colti e vedranno allontanarsi lo spettro di Berlusconi. Almeno per un po'. Ma a che costo?
Il dodecalogo di Prodi indica uno spostamento a destra dell'azione di governo: non è un caso che il lavoro non abbia trovato alcun spazio in quei dodici punti. La sinistra esce dalla crisi bastonata (e colpevolizzata al di là delle proprie responsabilità), l'àncora di salvezza piantata al centro ridurrà drasticamente la forza contrattuale che Rifondazione ha esercitato fino a ieri, creando non pochi problemi al Prc e al difficile equilibrio di un partito che è andato al governo cercando di far pesare i conflitti sociali sulle istituzioni. Sullo sfondo l'accelerazione in chiave sempre più moderata sulla nascita del Partito democratico indebolirà anche nominalmente il peso istituzionale di ciò che (forse con eccessiva ostinazione) continuiamo a chiamare sinistra. I movimenti saranno sempre più ricattati, rischiando l'autocensura della «riduzione del danno». E mentre si delinea un simile fosco panorama, il papa parla sempre di più spesso come fosse il presidente della Repubblica, le guerre vanno avanti e crescono i boatos di nuovi conflitti orientali, la destra estrema e le curve degli stadi si candidano a dar sfogo al disagio sociale.
immagine
Appaiono, in tutta la loro violenza, il rimosso di un vuoto di cultura politica alternativa, la sottovalutazione della «fine della sinistra per come l'abbiamo conosciuta», la vacuità di un ceto dirigente talmente concentrato sull'autonomia dei palazzi da assomigliare sempre più a una casta disosta a ogni mercimonio. Difficile pensare che possano tornare indietro. Il massimo che si può chiedere oggi all'Unione - per il tempo di governo che le resterà - è di limitare i danni accelerando il varo di una legge elettorale proporzionale che garantisca le minoranze. Sperando che quelle minoranze - di sinistra - sappiano poi cogliere e accudire i messaggi che arrivano dal mondo reale sulle quattro - decisive - cose che sono state il vero valore aggiunto del voto antiberlusconiano: pace, diritti civili, tutele sociali, centralità del lavoro subordinato. Sulle quali continuare a costruire una sinistra possibile, con rigore di merito e senza farsi troppe illusioni sulle magie della rappresentanza politica. In questo contesto non è poco, soprattutto non è la «fine della storia».
 

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