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Post N° 112

Post n°112 pubblicato il 26 Giugno 2006 da circololenci
 

Pubblicare le intercettazioni è giusto?

di Ritanna Armeni

Ci sono molti motivi per provare indignazione di fronte agli ultimi scandali. Ci si può indignare per la corruzione, per la violazione delle leggi, per il rapporto con le donne, per il linguaggio usato, per l’uso e l’abuso delle intercettazioni. E per molte altre ragioni.

Del resto viviamo in un paese periodicamente scosso da scandali, politici ed economici e di costume. In meno di un anno abbiamo avuto Bancopoli, Unipol, lo scandalo del calcio, ora l’arresto del principe Emanuele di Savoia per i suoi traffici illeciti, la scoperta degli scambi sessuali in Rai e, infine, le tangenti versate da un industriale della famaceutica, nonché editore, all’ex governatore della Puglia. E sicuramente non si finirà qui.

Molto sommessamente va detto che oltre a quelli enunciati c’è un altro e più profondo motivo per cui indignarsi in questi giorni. Riguarda il moralismo e l’ipocrisia che emergono sui giornali e in molte opinioni e che sembrano dominare nelle reazioni di gran parte del nostro establishment.

Come rispondono infatti l’opinione pubblica, i maggiori giornali, molti politici, insomma una parte consistente dell’establishment a quegli scandali? Ostentano sorpresa, creano mostri, indicano in loro i corrotti, sollevano per gli “altri” la necessità di una questione “morale”, instaurano nei discorsi una distinzione fra “noi” (noi sono tutti i censori, i catoni, i moralisti, di qualunque schieramento politico) e “loro”, gli altri, quelli che hanno commesso il reato, che sono stati scoperti o sui quali, comunque, si sta indagando.

Abbiamo l’impressione che gli urli di indignazione siano di facciata e che il moralismo per i gruppi dirigenti di questo paese e per i loro giornali sia molto comodo. Consente di non indagare su quanto di quei metodi e quei costumi che, variamente declinati, sono sempre gli stessi, possano riguardare anche chi critica e moraleggia. Consente di perdonare le proprie personali o collettive mancanze pensando che altri ne hanno fatte di maggiori. Consente di non andare a fondo su quanto di marcio c’è in un sistema che si vuole comunque mantenere intatto. In questa gara di ipocrisia in questi giorni si stanno raggiungendo vette supreme. Prendiamo alcuni giornali anzi prendiamo il principale giornale nazionale il Corriere della sera: pubblica a proposito delle intercettazioni editoriali indignati per la privacy violata e poi per pagine e pagine riferisce minuziosamente quelle intercettazioni, insiste su quelle a sfondo sessuale, tira fuori volti e nomi, incuranti del danno e dell’imbarazzo che procurano, fregandosene tranquillamente di tanta privacy violata.

Volete ancora una prova della enormità di questa ipocrisia? Si trova nel fatto che chi si scandalizza e moraleggia aggiunge sempre che di quelle nefandezze già si sapeva, che anzi tutti sapevano già tutto.

La Rai? Si sa che i sistemi adottati sono quelli ora denunciati, dicono i nostri moralisti. Il calcio corrotto? E chi non era a conoscenza dei metodi usati da Moggi e compagni? E allora?

Allora credo che sia giusto, a 14 anni da Tangentopoli e nel mezzo di tanto clamore e scandalo cominciare a dire che accanto ai danni della corruzione e della immoralità - che sicuramente c’è ed è tanta - ci sono i danni dell’ipocrisia e del moralismo. Che anzi gli uni sono dipendenti e funzionali agli altri. Entrambi non mettono i discussione i meccanismi profondi che portano un paese ad essere sempre al centro di uno scandalo.

Il moralismo che il nostro establishment mostra davanti agli scandali produce, infatti, almeno tre tipi di danni.

Il primo riguarda la coscienza del singolo, del cittadino che si sente giustificato nei propri piccoli o grandi peccati, e, quindi, si consente di rimuovere e dimenticare. Produce insomma una piccola e grande operazione di autoassolvimento privato. Che cosa è una piccola evasione fiscale quando c’è chi ne ha fatte di tanto grandi? Che cosa è la lottizzazione della Rai di cui tutti hanno fatto uso, oppure la raccomandazione di un amico quando c’è chi ha barattato una comparsa in televisione con una prestazione sessuale? E c’è chi ha preteso quella prestazione sessuale in cambio di una comparsata televisiva? Che cosa è la piccola tangente pagata per un piccolo favore quando c’è chi di tangenti ne paga e ne riceve per decine di migliaia di euro?

Il secondo è un danno collettivo. Riguarda l’aspetto pedagogico ed educativo di chi ha funzioni di responsabilità nei confronti del paese. Il moralismo abitua i cittadini ad accontentarsi dell’urlo di indignazione, o ad acquietarsi nel qualunquismo, o, in alcuni casi all’odio e alla vendetta.

Il terzo danno - persino più grave - riguarda la possibilità di agire contro la corruzione e il malaffare per eliminarlo; riguarda la possibilità di cambiamento reale di una società che pare nutrirsi della corruzione, riguarda gli strumenti che si devono trovare per eliminare il “male”. Se questo è dei singoli, o dei singoli gruppi o schieramenti, se non riguarda un sistema, un modo di funzionare collettivo, se non riguarda “noi”, ma solo “loro” che sono i devianti allora non c’è neppure uno sforzo di fantasia per cercare di cambiare le cose, non c’è neppure il tentativo di modificare (come si diceva una volta) la struttura di funzionamento della società. E alla fine - inevitabilmente - il moralismo seppellisce la politica e distrugge ogni voglia di cambiare le cose. 23 giugno 2006 articolo tratto dal sito di
LIBERAZIONE quotidiano Comunista

 
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