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Post n°176 pubblicato il 11 Aprile 2007 da circololenci
di Mariuccia Ciotta
Il volto di Adjmal ci guarda ancora, familiare, dalle strade di Roma, issato sul Campidoglio e sospeso alle finestre di via Tomacelli, accanto a quello di Rahmatullah Hanefi. Non era più «l'interprete afghano» di Daniele Mastrogiacono, ma l'interprete dell'Italia che non crede alle soluzioni militari, il testimonial di una nuova via politica di pace.
Adjmal non c'è più, strappato al nostro sguardo, ucciso dai talebani nel giorno di Pasqua, ventiquattro ore prima dello scadere dell'ultimatum. I boia hanno violato la trattativa in anticipo e in sintonia con la «linea della fermezza» rimbalzata dagli Usa sulle prime pagine dei giornali italiani, tra le file del parlamento e non solo tra i banchi della destra. Che sia l'ultima volta, che sia la Nato a decidere, basta negoziare con i tagliagole... Ecco il risultato. E adesso dietro il vuoto lasciato da Adjmal si apre l'abisso nero delle polemiche e dei sospetti e si arriva al paradosso di un'opposizione che chiede l'impeachment di Prodi perché avrebbe condotto una «singola trattativa». Ma come, il governo non era sotto accusa per aver negoziato la liberazione dei cinque talebani in cambio della vita di Mastrogiacomo?
La debole risposta della maggioranza agli attacchi del centro-destra - «istigazione all'odio», «aberrante strumentalizzazione» - sta nel rimosso di questa guerra, di un Afghanistan sotto scacco americano, e del suo presidente, Karzai, che accusa l'intermediario di Emergency di collusione con i talebani, e lo tiene in ostaggio per ritorsione contro un paese «trattativista», di cui avrebbe salvato il governo liberando i cinque guerriglieri.
L'ira di Gino Strada contro Prodi, accomunato a Karzai per la detenzione di Hanefi, torturato dalla polizia speciale, si giustifica con il suo mancato, tempestivo intervento a difesa dell'uomo che trattò anche per il rilascio di Torsello. «Abbiamo fatto tutto il possibile - si difende Prodi - il destino di Hanefi ora è nelle mani di Karzai». Ma «tutto il possibile» sarebbe uscire dall'ambiguità della missione italiana in Afghanistan, dal balbettio con il quale il governo italiano si difende dalle accuse di aver praticato un «canale pseudo-umanitario», Emergency, lasciata sola in mezzo al sangue, e che sta decidendo di lasciare il paese.
Che Prodi dica chiaramente che la trattativa con il nemico è l'unica arma vincente. A partire dai due milioni di dollari e dai cinque talebani fino alla rottura del fronte di guerra con gli alleati. Non c'è altra strada, e non solo per salvare Hanefi e gli altri ostaggi, ma per ridare un senso alla politica di questo governo, che non può misurare la discontinuità con il precedente solo confrontando l'entità della taglia versata. Se ne è accorto anche Berlusconi, che ora «frena» l'aggressione dei suoi e dice «prima l'Italia». L'Italia prima, sì, ma nella distanza con chi disprezza la vita di uno e di centomila.
Adjmal non c'è più, strappato al nostro sguardo, ucciso dai talebani nel giorno di Pasqua, ventiquattro ore prima dello scadere dell'ultimatum. I boia hanno violato la trattativa in anticipo e in sintonia con la «linea della fermezza» rimbalzata dagli Usa sulle prime pagine dei giornali italiani, tra le file del parlamento e non solo tra i banchi della destra. Che sia l'ultima volta, che sia la Nato a decidere, basta negoziare con i tagliagole... Ecco il risultato. E adesso dietro il vuoto lasciato da Adjmal si apre l'abisso nero delle polemiche e dei sospetti e si arriva al paradosso di un'opposizione che chiede l'impeachment di Prodi perché avrebbe condotto una «singola trattativa». Ma come, il governo non era sotto accusa per aver negoziato la liberazione dei cinque talebani in cambio della vita di Mastrogiacomo?
La debole risposta della maggioranza agli attacchi del centro-destra - «istigazione all'odio», «aberrante strumentalizzazione» - sta nel rimosso di questa guerra, di un Afghanistan sotto scacco americano, e del suo presidente, Karzai, che accusa l'intermediario di Emergency di collusione con i talebani, e lo tiene in ostaggio per ritorsione contro un paese «trattativista», di cui avrebbe salvato il governo liberando i cinque guerriglieri.
L'ira di Gino Strada contro Prodi, accomunato a Karzai per la detenzione di Hanefi, torturato dalla polizia speciale, si giustifica con il suo mancato, tempestivo intervento a difesa dell'uomo che trattò anche per il rilascio di Torsello. «Abbiamo fatto tutto il possibile - si difende Prodi - il destino di Hanefi ora è nelle mani di Karzai». Ma «tutto il possibile» sarebbe uscire dall'ambiguità della missione italiana in Afghanistan, dal balbettio con il quale il governo italiano si difende dalle accuse di aver praticato un «canale pseudo-umanitario», Emergency, lasciata sola in mezzo al sangue, e che sta decidendo di lasciare il paese.
Che Prodi dica chiaramente che la trattativa con il nemico è l'unica arma vincente. A partire dai due milioni di dollari e dai cinque talebani fino alla rottura del fronte di guerra con gli alleati. Non c'è altra strada, e non solo per salvare Hanefi e gli altri ostaggi, ma per ridare un senso alla politica di questo governo, che non può misurare la discontinuità con il precedente solo confrontando l'entità della taglia versata. Se ne è accorto anche Berlusconi, che ora «frena» l'aggressione dei suoi e dice «prima l'Italia». L'Italia prima, sì, ma nella distanza con chi disprezza la vita di uno e di centomila.
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