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Eutanasia, si riapre il dibattito.
Ma il Vaticano tenta di frenare
L’Italia discute della possibilità dei malati gravissimi di scegliere il proprio destino, e puntuale come un orologio arriva il dictat vaticano. La Santa Sede, per bocca del suo “ministro della salute”, il cardinal Javier Lozano Barragan - in nome della cosiddetta difesa della vita «che è il centro di tutto» - ammonisce con durezza: «L’eutanasia resta un percorso di morte. I parlamentari cattolici siano coerenti».Dopo l’appello video al presidente della Repubblica del copresidente dell’associazione Luca Coscioni, Piergiorgio Welby, costretto dalla distrofia muscolare a quella che definisce una «non vita» e la risposta di Napolitano, che aveva esortato le forze politiche al confronto (subito ripreso dal presidente della Camera Bertinotti), era stata netta la frenata da parte cattolica. Ma oltretevere si è sentito il bisogno di rincarare la dose.
Di tutt’altro segno l’iniziativa di Rifondazione comunista. Il capogruppo alla Camera Gennaro Migliore rilancia la necessità del dibattito in Parlamento «nel rispetto dei diritti sanciti dall’articolo 32 della Costituzione, dal codice di deontologia medica e dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo» e annuncia una proposta di legge, già predisposta dal Prc, che riconosce al singolo la facoltà di autodeterminazione rispetto a scelte fondamentali come quelle che riguardano la vita e la morte.
Mentre la Rosa nel pugno e, ovviamente, l’associazione Coscioni ribadiscono l’importanza di una legge sull’eutanasia, Francesco Rutelli fa sapere di essere disposto al dibattito, ma solo sul testamento biologico.
Ma che fine ha fatto il Comitato nazionale di bioetica? Di nomina governativa, è scaduto lo scorso 12 giugno, ma non è ancora stato rinnovato e non può certo essere sostituito dalla commissione interministeriale presieduta da Giuliano Amato, che ha tutt’altri compiti e tutt’altra valenza. Un vuoto grave, l’assenza di questo interfaccia tra società civile e Parlamento, da colmare al più presto se si vuole affrontare questioni di enorme rilevanza in maniera seria e davvero democratica.
tratto da www.liberazione.it
Filippo Gentiloni
Ma perché, secondo alcuni, di eutanasia non si dovrebbe neppure parlare? Così, infatti, stanno reagendo non pochi - politici e non - dopo l'appello lanciato dal presidente della repubblica Napolitano in risposta alla lettera di Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare.
Vale pena di riflettere sulle loro «ragioni». In primo piano c'è una radicata convinzione cattolica: la fascia di terreno - di tempo - fra la vita e la non vita sarebbe di esclusiva proprietà cattolica. Così per la nascita, così per la morte. Una fascia di tempo che è stretta e corta dal punto di vista della sua durata, ma essenziale: vi si gioca davvero tutto. La chiesa ne vuole mantenere una sorta di proprietà esclusiva, sapendo bene che chi domina quelle strette fasce di tempo, domina tutta la vita. Perciò la condanna assoluta dell'eutanasia: considerata una sorta di «ingerenza laica» su quella che sarebbe la soglia della vita, la porta dell'al di là.
Ma anche una certa cultura laica si unisce a quella cattolica. La cultura per la quale la vita è qualche cosa di meccanico, per non dire di materiale. Un movimento di qualche arto, un respiro. Un «io» isolato da tutto e da tutti. La vita prescinderebbe da tutto ciò che, invece, non soltanto la arricchisce ma la fa essere davvero tale: relazioni, rapporti, affetti, parole, sguardi. La vita sarebbe così affidata a qualche macchina, chiamata a farla continuare. Sopravvivere: vivere al di là, cioè, della vita vera.
Per tutti costoro, laici e cattolici, niente eutanasia: sarebbe sufficiente a ogni bisogno l'ormai famoso «testamento biologico» di cui si parla tanto, una dichiarazione destinata ad evitare quell'accanimento terapeutico che tutti detestano e che vorrebbero escludere per sé e per gli altri, ma i cui confini sono difficili da definire da lontano, quando si è ancora sani.
E' vero che anche l'eutanasia non ha confini facili. E' ben vero che chi vuol escludere vecchi e malati dalle cure e così liberare più in fretta qualche letto di ospedale potrebbe domani servirsi di una legge permissiva. Perciò è necessario discutere ogni aspetto di una situazione che ci riguarda tutti, da vicino o da lontano: non si può né ignorarla né delegarla a qualche autorità competente.
Della riflessione sulla vita fa parte essenziale anche quella sulla morte. Mia e degli altri. I più direttamente interessati sono i medici, ma non è giusto lasciare la morte - meglio: il morire - esclusivamente nelle loro mani. La morte si prepara contribuendo, giorno per giorno, alla bellezza e ricchezza della vita, quella vita vera che la malattia, quando è inguaribile, porta via.
Con la minore sofferenza possibile: anche la lotta al dolore fa parte essenziale della vita. E alla lotta contro il dolore il dibattito sull'eutanasia può dare un contributo essenziale, positivo. Forse insostituibile.
tratto da www.ilmanifesto.it
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