Lucieombre

...segretezza polare di un'anima al cospetto di se stessa...

 

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Post N° 8

Post n°8 pubblicato il 15 Maggio 2005 da solstiziod_inverno
Foto di solstiziod_inverno

"Se posso ti chiamo".
Non mi hai chiamata.
Non hai potuto o, più semplicemente, non hai voluto.
Sei sempre ritornato da lei.
A fare cosa?
Forse a contare i giorni che mancano al vostro matrimonio?
Quanti sono?
Neanche uno.
Stamattina hai messo il vestito grigio che hai provato almeno dieci volte e l'aspetterai all'altare.
Sara là come un casello autostradale, al di là del quale non ti sarà possibile scegliere la strada che vuoi percorrere.
Per lei saranno gli angeli a parlare, non si accorgerà di niente.
Sarà innocene, pulita e pettinata, com'ero io il giorno in cui ci siamo conosciuti.
Come quando ti chiesi di fare con me il giro di Milano e tu mi rispondesti: "Bisogna che rientri, deve chiamarmi la mia ragazza".
Quella ragazza, oggi a mezzogiorno e mezza, sarà tua moglie.
Tu gli giurerai fedeltà, amore, rispetto e lei crederà nel tuo giuramento e non si scomporrà neanche quando qualcuno dal fondo della chiesa, urlerà: "Fermate tutto".
Quel qualcuno sarò io.
Avrò l'aria di una pazza.
Come nei film, tutti si volteranno e chiederanno: "Ma chi è?".
Chi sono io?
Chi siete voi!
Stai tranquillo.
Una cosa è certa.
Non sono il tipo che fa questo genere di cose.
Sono ancora qui, dov'ero ieri sera e stanotte con il preciso intento di essere qui proprio nel momento in cui, dicendo "si" a lei, dirai "no" a me.
In albergo ho preso una stanza che conosci.
La stanza dove abbiamo passato un'intera notte a parlare, senza accorgerci che si era fatta l'alba.
E tu, confuso, stupito, frettoloso, mi avevi lasciato con un bacio sulla guancia che non mi aveva fatta più dormire.
Sono qui, dove mi lasciasti il tuo numero di telefono dicendo: "Se risponde lei, riattacca".
"Lasciala" mi è scappato una sera.
Mi sarei dovuta mordere la lingua, ma ormai era tardi.
Non rispondesti, facesti finta di niente.
Non mi chiamasti per tre giorni.
Io rimasi lì, come mi avevi lasciato.
Poi mi richiamasti, come se niente fosse, e io, come se niente fosse, ti rividi subito, di corsa.
Ripresi a respirare, a vivere.
Ieri sera ho cenato da sola.
Non c'è niente di più triste.
Un cameriere stanco mi ha recitato a memoria il menù, come se fosse una poesia.
Non l'ho lasciato finire, l'ho stoppato sulla cotoletta alla milanese.
Quando me ne sono andata, ho visto la sua silhouette incorniciata nel vano di una porta.
Tornava in cucina, dove forse vive un cuoco ancora più triste di lui.
In Piazza Duomo sono rimasta almeno un quarto d'ora col naso all'insù, nello sforzo di distinguere una stella.
Non ne ho vista nessuna.
Sono rientrata.
Salendo le scale, gli occhi mi si sono riempiti di lacrime.
Mi sono fermata perchè non riuscivo più a vedere.
Ho tirato su col naso, come i bambini.
Come i bambini ho pensato che l'unico a volermi bene veramente era il mio papà.
Con la manica della giacca mi sono asciugata il viso.
Mi sono vista in uno specchio e mi sono fatta pena.
Mi sono messa a piangere ancora più forte.
Credevo che le lacrime non sarebbero mai finite.
Invece, appena seduta sul letto, mi sono distratta con il modulo della colazione.
A fianco del modulo, era appoggiata una matita sottile con il nome dell'hotel.
Come i bambini che smettono di piangere se qualcuno mostra loro un nuovo giocattolo, mi sono asciugata gli occhi e mi sono messa a far crocette.
Ero indecisa fra cappuccino e caffelatte.
Ho messo una crocetta sul cappuccino e ho ordinato due croissant.
Avevo cenato da poco, ma chissà perchè il pensiero della colazione mi piaceva.
Mi sono sdraiata sul letto.
Dal climatizzatore usciva un getto d'aria troppo fredda.
Ho fatto lo sforzo di alzarmi per spegnerlo.
Ho guardato fuori dalla finestra e mi sono fatta una domanda banale: "Che cosa farai in questo momento?".
Chissà se hai più pensato alla volta che ti chiesi di sposarmi.
Credevi che scherzassi.
Abbassasti gli occhi e dicesti: "Non posso".
"Perchè?".
Non hai risposto.
Il giorno dopo trovai sotto la porta di casa un tuo biglietto: "Il nostro incontro è stato uno sbaglio. Facciamo finta di non esserci mai conosciuti. Non capisco cosa voglio. Forse ti amo, ma so che non è gisuto".
Lo strappai subito, archiviandolo nella memoria.
Cosa volevi dire?
Che cosa è giusto?
Che cosa non è giusto?
E' forse giusto piangere a trent'anni sulle scale di un vecchio albergo?
E' forse giusto tagliare torte e farsi fare foto con i parenti di quella donna che per quasi due anni hai tradito?
Mi vengono in mente i film che abbiamo visto, stesso canale, tu a casa di lei, io a casa sola.
Ti auguro di essere felice come lo sono io in questo momento.
Proprio ora che le stai dicendo "SI".
E' accaduto quello che doveva accadere
Il destino ha deciso così.

Non ti cercherò più.

Non sono ancora le dodici e mezza, ancora qualche minuto.

 
 
 
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Un blog di: solstiziod_inverno
Data di creazione: 29/04/2005
 

 

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