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Questa mattina a Jenin

Post n°301 pubblicato il 17 Marzo 2013 da liufty

Iniziò tutto una mattina il 12 dicembre 1945. Era una mattina triste, faceva freddo e non si riusciva a vedere nulla a causa della forte nebbia che incombeva. Come ogni mattina, mi svegliavo dal mio lungo e rilassante sonno e iniziavo a preparare la colazione per i miei due figli che dovevo portare a scuola. Mio marito era già fuori a lavorare i campi come sempre, già stanco e annoiato di condurre sempre lo stesso tipo di vita, ma purtroppo non avevamo che quello, un grande campo di terra da coltivare. A volte lo aiutavo, lo facevo distrarre con delle risate, ma finita l'allegria, si riprendeva sempre la fatica. Lui aveva un sogno, trasferirsi in Francia. Aveva voglia di cambiare e di godersi, come non aveva mai fatto, la vita. Alle 12:32 tutto svanì. Sentimmo un forte boato e di colpo il silenzio. I soldati Israeliani stavano invadendo la città. Volevano impossessarsi delle nostre terre e mandarci nei campi profughi. Andai a prendere subito i miei figli e io e la mia famiglia ci rinchiudemmo in casa. Dopo poche ore sentimmo dei rumori. Erano loro. Bussavano forte alla porta. Ci stavano cacciando tutti dalle nostre case. Chi era fortunato veniva mandato nei campi profughi, chi non lo era veniva ucciso. Entrarono nella nostra casa, ci presero. Ci portarono in una stradina vicino ai nostri campi e lì ci misero in fila insieme ad altre persone. Mio figlio non capiva cosa stava succedendo. Lo tenevo stretto tra le mie braccia e gli sussurravo all'orecchio che tutto presto sarebbe finito. Di colpo scese e iniziò a correre urlando che voleva tornare a casa. Mi misi a inseguirlo ma, dopo pochi secondi, dal fucile di quel soldato israeliano partì un colpo. guardai disperata mio figlio che, agitando la sua piccola manina, cadde a terra. Io ero morta con lui. Non c'è parola che può descrivere il mio immenso dolore. Aveva solo 4 anni. Vidi il corpo di mio figlio piano piano sparire nella nebbia mentre ci portarono nel campo-profughi. Ci assegnarono nelle baracche e dopo poche ore mi arrivò una notizia. Mio marito era stato ucciso nel tentativo di scappare per andare dal mio povero figlio lasciato in quella stradina. Ero rimasta sola, con un figlio da proteggere, avvolta nel mio dolore. Per anni ho vissuto in quei campi mentre quelle persone vivevano tranquille senza nessun diritto. Ero arrabbiata con loro. Riuscì a scappare. Andai in Francia, come desiderava mio marito.Ogni giorno la mia unica speranza era mio figlio. Cercai di iniziare una nuova vita, ma non c'era giorno che la mia mente non rivivesse la morte di mio figlio e di mio marito.

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