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« IL SINDACATO VUOLE GIOCA...

"A LA LANTERNE": UNA SUGGESTIONE PER L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA?

Post n°117 pubblicato il 02 Giugno 2021 da claudionegro50
 

Sta accadendo tutto nello stesso ristretto spazio di tempo: Palamara vuota il sacco; si spacciano tra uffici delle Procure e del CSM dossier coperti da segreto; la funivia provoca una strage e in due giorni il PM ha già incarcerato i colpevoli nel pubblico tripudio, salvo venire smentito dal GIP, nel pubblico avvilimento; un'elefantiaca quanto criticata sentenza di primo grado sull'ILVA colpisce ad alzo zero (perfino il povero Vendola, colpito da fuoco amico) e dispone la chiusura dello stabilimento, in un'apoteosi di giubilo e retorica, e nello sconforto di chi sperava in una Giustizia e non un'esecuzione sommaria; Brusca (collaboratore di giustizia, non "pentito" come giustamente lo definisce Ayala) sconta i suoi 25 anni di pena, determinati dalla legge sui collaboratori voluta da Falcone (cui non sfuggiva che combattere la mafia era diverso da "fare l'antimafia"), e le turbe si indignano e lanciano lai altissimi per l'ingiustizia intollerabile (tollerabile era quella contro Uggeri...).

In fisica una simile concentrazione di fatti potrebbe addirittura portare vicino alla massa critica, che innesca una distruttiva fissione nucleare. Sarebbe troppo bello: il sistema giudiziario non salterà per aria per fenomeni naturali ma quando qualcuno avrà la volontà e la forza politica di farlo.

Ma quel che mi interessa mettere a fuoco è piuttosto il retroterra culturale che fa sì che l'approccio "di popolo" alle vicende giudiziarie sia quello visto sopra. Il sistema giudiziario, già noto al pubblico per inefficienza, lentezza, cavillosità ora mostra anche il suo "dark side" che mette in piazza il fatto che l'ottenere "giustizia" dipenda esclusivamente dall'incocciare un magistrato onesto in un contesto in cui troppi protagonisti perseguono scopi propri, che nulla hanno a che fare con la giustizia.

Eppure la preoccupazione popolare non si appunta su questo aspetto, ma sulla possibilità che vi sia un gap tra attese e sentenze. Il sentimento generalmente rintracciabile non è la ricerca della giustizia, ma della condanna. Del resto la locuzione fare giustizia corrisponde a "Sentenza di condanna, pena, supplizio capitale" (Enciclopedia Treccani). Tanto per constatare quanto radicato sia, perfino a livello linguistico, questo atteggiamento. Che naturalmente porta con sé una ben precisa gamma di effetti collaterali: innanzitutto che il colpevole deve essere subito conosciuto, per vox populi o per vox Publici Magistri (PM); che contro di lui la piazza (anche se solo virtuale) pronunci la condanna; che qualunque ostacolo si frapponga tra la sentenza già emessa e la sua esecuzione, tipo il processo, venga riconosciuta per quella furbesca perdita di tempo che è (© Piercamillo Davigo); infine che la sentenza formale debba essere conforme a quella popolare, senza tanti cavilli..! E' facilissimo riscontrare questa sequenza in praticamente tutti gli eventi giudiziari che hanno avuto risonanza pubblica. Qualche volta sono parenti e amici delle vittime a illustrare la propria verità e a pretendere che la Magistratura si adegui. Più spesso è una pubblica opinione cui è stato consentito, al di là delle naturali propensioni in quel senso, di sentirsi legittimata nel doppio ruolo di vittima e di giudice. La vicenda di Mani Pulite, con la reciproca solidarietà e appoggio militante tra Procure e Girotondi, Popolo dei Fax e quant'altro, ha creato un corto circuito tra quella pubblica opinione e una Magistratura che, stante all'evidenza dei fatti, si riconosce nelle stesse convinzioni.

E' chiaro che l'assetto del sistema giudiziario definito dalla Costituzione più Bella del Mondo si presta egregiamente ad amplificare queste caratteristiche: a partire dalla non separazione tra le carriere della magistratura inquirente e di quella giudicante, dall'Organo di Autogoverno e al principio stesso dell'autogoverno, e infine alla definizione della Giustizia come un "potere" dello Stato, con pari potestà rispetto agli altri due ma col beneficio dell'irresponsabilità, ossia del dover rispondere solo a se stesso. Altro che potere dello Stato: un potere che si legittima da solo è sovraordinato allo Stato, come infatti si può riscontrare...

In questo quadro per le turbe ghiotte di sangue, a torto o a ragione (perché spesso i torti subiti sono di fantasia o non sono torti) "giustizia" è soltanto avere la vendetta cui son convinte di aver diritto. Questa non è né una prerogativa italiana né una novità nella Storia. Tuttavia non è normale che in una democrazia liberale, per la quale i principi di Giustizia e i Diritti Civili dovrebbero essere ovvi, le turbe siano tanto numerose, che il loro punto di vista sia sostenuto da nutrito gruppo di media e di intellettuali che in un paese "normale" dovrebbero fare parte di quelle detestabili elites che solitamente sono le più organiche al pensiero liberale, sensibili ai diritti e consapevoli del significato delle procedure legali. Meno ancora che sia ben radicato nella Magistratura stessa.

E' evidente che questa strana realtà produce un fenomeno abbastanza insolito nell'Occidente democratico: la Giustizia come prosecuzione della Politica con altri mezzi! Il che è evidentemente un pericolo mortale per un sistema democratico, tanto quanto l'influenza dell'Esercito per gli Stati Latino Americani. Ma in aggiunta a questi rischi come dire, di percorso, temo ancor di più una prospettiva in cui, nella prassi se non nella teoria, nelle Istituzioni, a causa di una Politica pavida e opportunista, e nell'amministrazione della Giustizia si affermi di fatto il principio popolare e giustizialista del Processo di Piazza.

Credo che la questione della Giustizia sia il più cupo e spaventoso indicatore della possibilità che il Paese finisca per uscire dal gruppo delle democrazie moderne, più ancora che per ragioni economiche, e sprofondi negli scantinati della civiltà.

 

 

 

 

 
 
 
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