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Post N° 642

Post n°642 pubblicato il 26 Ottobre 2008 da abele.2005

Alenya Bortolotto

La madre si oppone: "Jucker le ha fatto cose indicibili

quando era ancora viva. Mia figlia non avrà mai giustizia"

Milano, l'assassino di Alenya

chiede uno sconto di pena


"Si può anche morire, ma non in quel modo

Per me resta solo un dolore che non finirà"

di MARCO MENSURATI e ANNALISA CAMORANI







Il portone del palazzo dell'omicidio
 










MILANO
- "La pena dimezzata? Le attenuanti? Cosa volete che mi interessi di
queste cose. Della giustizia non mi interessa, dei giudici non mi
interessa, nulla più mi interessa, anche perché Alenya non me l'ha solo
uccisa, Jucker. Quell'uomo le ha fatto molto di più. Mentre era ancora
viva le ha fatto cose indicibili, incredibili... Si può anche morire,
ma non in quel modo. E allora cosa volete che mi interessi, oggi? Io
credo e spero, con tutte le mie forze, nella giustizia divina".





La casa di via Bazzoni, una via milanese di tranquillo benessere, è
immersa in un silenzio profondo e irreale. Quello stesso silenzio in
cui da due anni Patrizia Rota, la mamma di Alenya Bortolotto, si è
rinchiusa per difendersi da tutto, per cercare la forza per
sopravvivere, aggrapparsi a quel po' che le resta e provare a tirare
avanti, senza l'illusione di dimenticare. Quel 20 luglio del 2002
rimarrà per sempre al centro dei suoi incubi. Sua figlia venne
assassinata con quarantuno coltellate da Ruggero Jucker, discendente di
una ricca famiglia milanese che dopo averla straziata uscì nudo in
strada gridando "Sono Osama bin Laden, sono Satana".





Patrizia Rota non ha mai voluto parlare con i giornalisti. "Ma adesso è
successo qualcosa", spiega all'ingresso del bell'appartamento al quarto
piano. Qualcosa che l'ha spinta a gridare il suo dolore: è l'accordo
raggiunto tra la pubblica accusa e la difesa di Jucker per trovare una
via di uscita morbida all'assassino e dimezzare in appello la condanna
a trent'anni di carcere inflitta in primo grado.











Martedì prossimo il giudice d'appello potrebbe già leggere la riforma
della sentenza: sedici anni. "Qualunque sarà quella sentenza - dice la
madre di Alenya - io non reagirò. Non commenterò".





Sedici anni di carcere sono troppo pochi?



"Non mi interessa, davvero, non ho alcun interesse per quello che
succederà. Tanto ormai è fatta. Alenya è stata stravolta, è stata
calpestata nella sua dignità di persona, di donna, di ragazza piena di
vita e di interessi".






In molti sostengono che la pena patteggiata tra accusa e difesa sarebbe davvero troppo lieve per un omicidio così feroce.


"Vede, il punto è che per noi non si tratta solamente di un omicidio.
Ci sono tanti modi di venire uccisi, si può morire con un colpo di
pistola in testa, ad esempio, e in quel caso un omicidio può essere
condannato dai giudici. Ma noi stiamo parlando di una cosa diversa, non
di un omicidio. Quell'uomo è stato in grado di fare molto di più. Ecco
perché la risposta della giustizia non potrà mai essere adeguata. Io
credo che sia la giustizia di per sé a non potermi dare le risposte di
cui ho bisogno".






Dal
carcere, l'assassino di sua figlia le ha scritto una lettera, ha detto
che il suo "dolore è immenso" e che prova "un senso di vuoto e di
smarrimento".



"Quella lettera non l'ho mai aperta. Non mi interessava sapere cosa
quell'uomo avesse scritto. Dirò di più: la famiglia Jucker per me non
esiste. Non esisteva prima e non esiste neanche adesso".






Cosa
ha pensato in tutto questo tempo, mentre i giornali raccontavano del
processo, delle giornate di Jucker in carcere, delle strategie
difensive...









 Alenya Bortolotto
 

"Niente. L'unica cosa che mi va di dire è che in tutto questo tempo i
giornali hanno scritto di Jucker parlandone come di un imprenditore
brillante, come di un qualcuno che si è fatto da sé come se fosse un
genio dell'impresa e come se mia figlia gli girasse intorno chissà per
quale strano motivo. E invece non è così, basta leggere le carte del
processo per capirlo. Jucker è uno che se non fosse nato con le spalle
coperte non avrebbe mai fatto niente in vita sua. Per il resto, in
tutto questo tempo non ho pensato a nulla. Mi sono limitata a
sopravvivere. Ho dovuto imparare a convivere con il dolore. E non è
facile. La mia giornata trascorre all'insegna del dolore. È
onnipresente, occupa tutti gli spazi. Mi alzo alla mattina e ancora
prima di prendere conoscenza sto già male, poi giro per casa e la sento
vuota, ogni giorno sempre più vuota. Perché il dolore e la solitudine
sono due sensazioni affini che si moltiplicano l'un l'altra".






Esiste qualcosa che potrebbe placarle?


"Non credo. Un affronto come quello subito da mia figlia provoca un
dolore che non si può assorbire né accettare. Per sempre".




 

 
 
 
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