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QUESTO NON POTEVO PERDERLO!!! VITA VERA

Post n°107 pubblicato il 01 Giugno 2011 da agsardo

RACCONTO: UNA BRAVE VACANZA

 

Per chi ha vissuto l’esperienza del “Carle” sa di cosa parlo oggi.

Una breve vacanza!

Così è stata rappresentata in un film molti anni fa. Sono andata a vederlo e mi ha fatto sorridere con amarezza.

Nella realtà non si è trattato affatto di una vacanza, semmai di una rivoluzione vissuta sulla propria pelle e in ogni cellula del proprio corpo.

Per anni è stato per me un argomento “tabù”, una parte della mia vita da tenere celata nel profondo.

Oggi lo voglio raccontare perché credo che se anche una sola persona lo interpreta correttamente  possa servire da insegnamento, o almeno da riflessione.

Era il 19 febbraio, il giorno del mio quindicesimo compleanno.

Alle quattro del mattino la dolce sveglia di mia madre, la valigia e gli abiti pronti ai piedi del letto mi si presentarono in quella giornata particolare.

Il treno partiva alle cinque ed era la prima volta che mi allontanavo da casa. Una tristezza profonda, pesante come una cappa opprimeva il mio cuore, ero letteralmente terrorizzata!

Sapevo di dover abbandonare le mie certezze, la scuola, le poche amiche mie coetanee si erano già allontanate, soffrivo di dovermi allontanare dalla mia famiglia. Ma dopo mesi di malattia non vi erano altre soluzioni. Quel 19 febbraio era il giorno del mio ricovero al “ Carle “ un sanatorio, unico rimedio per sperare di guarire. Guarire da una malattia subdola, terrorizzante , discriminante come una grave colpa.

Ho un vago ricordo del viaggio, mentre è ancora vivido il dolore che provai quando, dopo l’accettazione, la conoscenza con Sr. Maria la caposala, il distacco dalla mamma, entrai per la prima volta nella camera che da quel momento e per i due anni successivi fu tutto o quasi, il mio mondo.

Era una camera piccola, a tre letti, guardava sul parco, a destra si intravedeva in lontananza il ponte, che scoprii in seguito veniva chiamato il ponte dei suicidi, a sinistra le montagne così vicine che sembrava di poterle accarezzare, orizzontalmente oltre alle cime dei pini si intravedeva la città di Cuneo.

Dividevo la camera con altre due ragazze, Luisella di sedici anni e Renata di ventidue, tutte e due di Torino. Non si creò mai una vera amicizia, non lo so il motivo tanto è che non ci siamo mai più riviste, so solo che io ero chiusa completamente al resto del mondo e poco mi importava se venivo presa i giro perché le mie notti erano notti di pianto.

La terapia non era particolarmente pesante, una flebo al mattino e un’iniezione al pomeriggio per il resto della giornata riposo, passeggiate nel parco e null’altro da fare; giornate interminabili.

In quel periodo mia madre, con grande saggezza, mi abbonò al club del libro e grazie all’aiuto del Dott. Manca , riuscimmo a creare tra di noi una specie di biblioteca, fu la mia salvezza mentale.

I miei sogni precedenti alla malattia, erano come tutti i sogni delle ragazze della mia età, io speravo di poter continuare gli studi. Se guardavo al futuro mi vedevo come insegnante elementare, come moglie, come madre.

Mentre al contrario tutto era cambiato pensavo. Vedevo la mia vita chiusa, senza alcuna speranza.

Passarono così quei due interminabili anni, quando finalmente il Prof. Mazzini  un giorno ,dopo l’ennesima lastra, durante la visita medica, sorridendo mi comunicò che potevo tornare alla vita normale poiché ero guarita, mi ritrovai ad affrontare la realtà.

Vivendo in un piccolo centro, a Vaglieranno, scoprii  presto e bene cosa volesse veramente dire essere emarginati, considerati diversi, da evitare.

Scoprii però anche quale fosse il mio più grande desiderio. Oltre ad andarmene il più in fretta possibile, volevo passare il resto della mia vita a curare gli ammalati.

Fu una dura lotta, mentre mio padre non poneva divieti, mia madre al contrario era categorica. Pensava di proteggermi e non capiva quanto ormai io ero cresciuta e quanto fossi ferma nelle mie decisioni.

Mi rimisi a studiare privatamente, raggiunsi il diploma. A diciannove anni presentai domanda in Ospedale, venni assunta e collocata grazie al mio vissuto in Ambulatorio Neurologico. Continuai gli studi per specializzarmi, fino al raggiungimento del Diploma Universitario, oggi chiamata Laurea Breve.

Ho svolto il mio lavoro con sentimento e orgogliosamente credo anche bene.

 Io sapevo e so come ci si sente dall’altra parte, quanto si sia indifesi e impauriti , quanto bisogno di aiuto si ha quando si deve affrontare una diagnosi. A volte basta un sorriso.

Ho iniziato dicendo che penso possa essere di aiuto questo mio racconto, aiuto a chi per un qualsiasi caso negativo della vita smette di sperare, perché ancora oggi a distanza di così tanti anni io sono convinta che per la mia persona sia stata una fortuna dover affrontare il dolore e la malattia.

 Dopo aver elaborato il lutto di me stessa sono rinata e sono diventata la persona che sono. Sono riuscita a capire quale fosse la mia vera essenza, cosa volevo fare della mia vita, cosa più importante come volevo la mia vita.

 
 
 
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