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La vita dei miei nonni raccontata da me in base a ricordi passati a me da mia madre

Post n°109 pubblicato il 01 Giugno 2011 da agsardo
Foto di agsardo

 

 

RACCONTO.

 

Aveva iniziato a nevicare già dal mattino presto  quel 12 febbraio del 1898, veniva giù fittamente , fiocchi grandi e leggeri.

 Nella casa Caterina, l’unica levatrice, che esercitava nella zona di Revigliasco, Celle  Enemondo e Vaglierano era in ansia, continuamente guardava dalla finestrella, attraverso i vetri arabescati dal freddo gelido di quell’inverno interminabile la strada, che già si era fatta bianca, preoccupata per come avrebbe potuto fare a tornare a casa con la bicicletta fino a Revigliasco.

Si trovava a  Celle, in una povera casa, due camere sul retro della chiesa, c’era silenzio, Caterina sentì il lamento provenire dal letto dove una donna, chiaramente al termine della gravidanza la fissava con rassegnazione, dimostrava 40 anni, lei però sapeva che non raggiungeva i 30, ed era già al suo sesto parto, tutte femmine.

Era tutto pronto, acqua calda, tavolo pulito e sgombro, biancheria piegata e pulita, non aveva nulla da fare se non aspettare l’inizio del parto.

Nella camera sul retro, il marito teneva occupate le cinque bambine leggendo loro un libro di profezie, l’unico che possedeva, strano per il periodo, poiché quasi nessuno del popolo era alfabetizzato. La sua unica passione oltre a volere il figlio maschio.

 Era stato il vecchio parroco a capire che quel ragazzo aveva la curiosità e la voglia di imparare, trovandolo un giorno in canonica con il Vangelo tra le mani. Da allora non aveva più smesso, leggeva e rileggeva i pochi libri che riusciva a trovare e cercava di trasmettere la stessa passione alle figlie.

La più grande di dieci anni, teneva abbracciate le due sorelline piccole spaventate sentendo i lamenti della madre, le altre due stavano sedute sullo sgabello ai piedi del padre, immobili.

Dopo ore ecco che subito dopo un urlo più forte degli altri attraversò la parete, si sentì nitido un vagito e poi un altro e un altro, il padre si affacciò sull’uscio,  - un’altra bambina, – disse Caterina,  “ la chiameremo Angela”, pronunciò con voce roca il marito rivolto  alla moglie, uscì e si incamminò nella neve verso l’osteria per comunicare al paese il nuovo arrivo.

Passarono gli anni velocemente, normali per i tempi, la madre oltre ad accudire i pochi animali domestici, la casa e le figlie, ricamava corredi per le suore, il padre sacrestano, per poter nutrire la numerosa famiglia andava in campagna come bracciante di giornata .

La sera, al lume di un’unica candela la cucina diventava il fulcro della famiglia, il camino acceso riscaldava e serviva anche per cucinare le solite zuppe semplici e povere  nel paiolo perennemente brontolante.

Una sera di queste, la famiglia riunita nella piccola stanza ascoltava silenziosa il padre che con fare burbero annunciava il prossimo matrimonio di Enrichetta, la figlia maggiore. Matrimonio organizzato e auspicato da lui. Le sue figlie non avevano dote ed era quindi una fortuna , questo stava dicendo, non facendo caso alle lacrime che rigavano le gote di Enrichetta.

A distanza di pochi anni quattro figlie furono date in sposa a ragazzi dei dintorni, non avevano dote  ma erano belle, sane e sagge. Poi venne il turno di Amalia e fu così che Angiolina rimase sola, improvvisamente la casa diventò silenziosa, non più canzonette intonate a più voci, non più risate e scherzi.

Una malinconia piano, piano si impossessò di Angiolina, le lunghe giornate accanto alla madre la facevano diventare selvatica, scontrosa, e quando la madre si ammalò  lei diventò la sua ombra, accudiva  la casa  e  il padre,  non avendo la possibilità di chiamare un medico si prodigava lei, anche grazie agli insegnamenti della madre, la quale conosceva bene le erbe medicinali, conoscenza tramandata da generazioni di donne della famiglia, la sera preparava decotti con fiori di malva essiccati,  con violette, verbasco,fargara e fiori di papavero, raccolti da lei  in campagna e lo faceva bere caldissimo alla madre cercando di calmare la tosse che squassava la donna, la curava con impacchi caldi di farina di semi di lino, e, appena freddi li sostituiva, ma non servì a far guarire la madre, e, quando  si spense lei si ritrovò appena ragazzina  con una casa da gestire.

 Per giorni non rivolse la parola ad alcuno, non trovava sollievo neppure dalle sorelle che erano lontane e molto fredde,  né dal padre chiuso nel suo dolore, solo gli animali domestici erano di consolazione.

Intanto gli anni erano trascorsi e Angiolina si era fatta una splendida ragazza,  era passata una guerra lasciando dietro di sé  un’infinità di cadaveri, una moltitudine di vedove e  molta miseria, si era nel 1918 , lei aveva appena compiuto 20 anni.

Una domenica mattina durante la funzione della messa grande Angiolina sentì su di sé uno sguardo insistente, guardandosi attorno incrociò gli occhi miti di un giovanotto che non aveva mai visto, imbarazzata chinò il capo ma il pensiero era fisso dentro di lei, chi era? Non si dava pace e cercò di scoprire chi mai era quel giovane.

 La prima persona che forse poteva aiutarla era il padre.

L’occasione si presentò all’ora di pranzo, quando proprio il padre disse.: “ho visto stamattina a messa che il figlio più piccolo dei Borio, sai quella famiglia che si è trasferita  qui da poco ? Non è un miscredente come gli altri  familiari che non hanno mai messo piede in chiesa” – li conosci?  chiese  lei- “ poco, rispose il padre.”

La domenica successiva la stessa scena, ma alla fine della funzione sul sagrato si incontrarono e posando gli occhi azzurro cielo sul volto del ragazzo lei gli sorrise ricevendo lo stesso sguardo incantato e dolce che tanto l’aveva colpita la prima volta.

Per alcune domeniche si ripeté  la stessa scena, fino al giorno in cui iniziarono a parlare, scoprì che si chiamava Mario, e quando lui le propose di accompagnarla a casa lei accettò felice.

Ormai Angiolina aspettava con ansia  le domeniche,per poter vivere le brevi passeggiate.

Un giorno però entrando in casa si trovò il padre ad attenderla : “ siediti che noi due dobbiamo parlare” le disse, “ mi hanno informato che tu e il figlio minore dei Borio vi comportate come promessi, nessuno ha chiesto il mio consenso che tra l’altro non ho alcuna intenzione di accordare”.-  “ ho accasato le tue sorelle a giovanotti con buona famiglia alle spalle, tutte hanno una casa loro. Il Borio, non ha nulla da offrirti, la famiglia è a mezzadria e il padre non è un grande lavoratore, andresti a fare la fame ed io non posso permetterlo. Non gli devi più parlare.”

Angiolina abituata a decidere, era diventata una donna con un suo carattere, era incurante delle convenzioni che volevano i figli, specie se femmine, docili e accomodanti, ormai teneva testa a quel padre burbero, che in fondo apprezzava questa figlia così diversa;  si eresse in tutta la persona e rispose. “ Ho rispetto per Voi, davvero molto rispetto, ma non ho alcuna intenzione di ubbidirvi” –  si avviò e iniziò a preparare il pranzo.

 Fu forse in quel momento che decise il suo destino.

Un periodo burrascoso ebbe inizio nella casa, per parlare al padre si rivolgeva alle galline, oppure rispondeva rivolgendosi ai conigli, fino a che il padre accettò la sconfitta.

Mario fu finalmente accettato e si decise che dopo il matrimonio gli sposi avrebbero vissuto nella casa. Angiolina era felice, Mario si rivelò un marito dolce, generoso, attento, per lui era importante solo che lei fosse contenta, mise la sua vita nelle mani della moglie, accettava ogni tipo di lavoro che riusciva a trovare e poco importava se dormivano in cucina.

Quando improvvisamente il padre morì, si presentò il problema di trovare casa poiché le sorelle reclamarono la loro parte di eredità e loro non avevano una lira da parte.

Venne loro offerta grazie all’interessamento del parroco,la mezzadria al Castellero che accettarono subito.

 Angiolina preparò le poche cose chiudendole in fagotti, gli animali domestici in ceste e  caricò il tutto su di una carretta.

 Partirono il mattino presto dell’11 novembre  del 1922.

 Mario trainava la carretta, Angiolina lo seguiva controllando che nulla cadesse, percorsero i pochi chilometri che dividevano Celle dalla cascina che  si trovava sotto il Comune di Revigliasco .

Con la piccola parte ricavata dalla vendita delle due camere, comperarono in primavera la loro prima mucca e iniziarono a lavorare la terra dall’alba al tramonto ogni giorno, tutti i giorni dell’anno.

I padroni, famiglia benestante di Torino, erano buoni padroni, loro bravi mezzadri.

In estate, quando la famiglia si trasferiva nella villa patronale , Angiolina si assumeva l’onere di quasi tutti i lavori pesanti ma non la cucina, avevano una cuoca, che le insegnò molte ricette .

Il 6 agosto del 1923 venne alla luce la loro prima figlia a cui misero il nome di Maria Teresa, la quale prese i colori del padre, dopo due anni venne al mondo Piera che ereditò gli occhi azzurri e i capelli biondi della madre.

Moltissimo lavoro ma tanta armonia aleggiava nella famiglia, erano completamente soli se si escludevano i padroni che rimanevano a Torino per sette o otto mesi all’anno, erano riusciti a farsi voler bene con il loro comportamento e la loro onestà.

Quando dopo cinque anni finalmente arrivò il figlio maschio che chiamarono Agostino,  Mario si illuse di aver raggiunto tutto quanto si poteva desiderare, convinto di non dover far altro verso la famiglia.

Era tranquillo, tra semine e raccolti, vendemmie e mietiture, non si accorse dei desideri della moglie, rimase quindi sbalordito il giorno in cui Angiolina,  dopo aver messo a letto i figlioli poco prima di coricarsi gli disse – “ Maju, cosa ne dici se coi pochi soldi che siamo riusciti a risparmiare comperiamo quella piccola cascina del Bricco Manina? C’è una giornata  di vigna solatia proprio sul davanti, un’altra giornata di prato qui vicino alla Cappella di S.Agostino e una giornata in piano nella valle che noi potremmo lavorarla  a semina, mi sono informata, chiedono poco e hanno bisogno di venderla subito.

 Ho pensato che la parte che ci manca potremmo chiederla in prestito ai Signori  -  “ come pensi di fare a restituirla? “ rispose lui, con il cuore che sembrava spaccarsi.

 Aveva imparato con il tempo che sua moglie, quando si metteva qualcosa in testa era quasi impossibile contrastarla.

“ Non ti devi preoccupare, ho già deciso, io ricamerò la notte, sono già d’accordo con le suore , sia di Celle che di Revigliasco, al mercoledì e al sabato andrò a piedi ad Asti per fare mercato, metterò in vendita il latte di Bianchina, le uova delle galline, ogni tanto qualche coniglio  e le mie erbe medicinali; tu devi solo stare bene , andrai di nuovo a giornata, e continuerai a lavorare per la villa e poi faremo tanta economia”.

Nel buio della camera aggiunse- “ ce la faremo! “

Ebbe ragione Angiolina, ce la fecero, con tanta fatica  ma ce la fecero!

La loro storia terminò nel 1980 in primavera, quando Mario si addormentò una notte senza più svegliarsi; Angiolina lo vegliò attorniata dai suoi tre figli, da generi e nuora e dai suoi sette nipoti.

Lo salutò per l’ultima volta chiedendogli di tornare a prenderla presto.  Lo raggiunse esattamente quaranta giorni dopo. Ora sono uno di fianco all’altro nel cimitero di Revigliasco per sempre.

 
 
 
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