Primarie, dopo Milano il Pd rischia anche a Napoli

Post n°405 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

La vittoria del vendoliano Giuliano Pisapia, ex rifondazione comunista, contro il candidato del Pd Stefano Boeri, nelle primarie per le comunali a Milano, è uno schiaffo a Bersani. Il candidato di sinistra e libertà ha staccato di 5 punti il pdiino e sarà quindi il candidato della sinistra contro la Moratti per palazzo Marino. La cosa non è di poco conto se si pensa primo, che Milano è la capitale economica del Paese e che quindi il verdetto ha un peso nazionale, secondo che influenzerà le primarie di altre città in cui si vota per le amministrative, vedi Napoli, terzo che il risultato rafforza la candidatura di Vendola a premier contro quella di Bersani, nel caso, probabile, di elezioni anticipate. Dopo Milano, a Napoli, alle primarie del Pd per le comunali fissate per il 23 gennaio prossimo, ai candidati Ranieri e Oddati se ne aggiungerà almeno un terzo di sinistra e libertà. Vendola non si lascerà sfuggire l’occasione per tentare un altro affondo contro l’alleato, visto che il tempo stringe e  si potrebbe tornare a votare anche per Camera e Senato tra marzo e aprile. A sinistra dunque le cose sono in movimento più di quanto non lo siano a destra ed al centro. Sul piano nazionale il Pd è stretto dalla tenaglia Vendola – Di Pietro ed al suo interno deve fare i conti con i rottamatori di Renzi, il sindaco di Firenze che, in nome del rinnovamento, vuole mandare a casa la vecchia guardia e con la componente ex margherita che sta già con un piede fuori dal partito e che, se prevalesse il governatore pugliese, potrebbe essere tentata dal “centro” di Casini Fini e Rutelli. A destra se il patto Berlusconi Bossi tiene, non ci saranno altre novità se non il ritorno a tutto campo del Cavaliere. Se tutto questo dovesse accadere, a risentirne in Campania sarebbero la Regione e le amministrazioni provinciali di Napoli e Caserta. In tutte e tre l’Udc di Casini ha posti di rilievo con assessori ed incarichi di peso, a Caserta, con Zinzi, addirittura il Presidente. Insomma, poltrone e potere. Difficile reggere l’attuale equilibrio con Casini che vota la sfiducia al governo Berlusconi  insieme a Fini, Bersani e Di Pietro. Una contraddizione politica insostenibile per Casini oltre che per il Pdl. Nei prossimi giorni ne vedremo delle belle. Naturalmente si fa per dire, perché avremmo bisogno di ben altro!

 
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Se Bossi resta fedele a Silvio

Post n°404 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

...come ha proclamato ieri, allora c’è poco da fare. Per mandare a casa il Cavaliere bisognerà sfiduciarlo intestandosi la colpa delle elezioni anticipate. D’altra parte è ben difficile pensare che il premier si faccia disarcionare senza neppure vendere cara la pelle , che si faccia liquidare senza prima votare. L’idea di Fini di andare “non contro” ma “oltre” Berlusconi è un sublime artifizio politicista che poteva aver successo solo in caso di accordo con il Senatur e col consenso della “vittima”, cioè di Berlusconi. Ma entrambe le cose sono da escludere. La Lega diffida sia di Fini che di Casini e al massimo ne può accettare uno, preferibilmente Fini.  Berlusconi ha interesse ad allargare la maggioranza, ma senza dare le dimissioni perché teme, a ragione, una crisi al buio. La cosa più lineare sarebbe di approvare il patto di stabilità, correggere la legge elettorale ed andare a votare. Tutto il resto diventa tatticismo politico parlamentare che può andare avanti per un po’ senza tuttavia essere risolutivo. Il che comporterebbe un ulteriore logoramento per tutti, centro destra, centro e centro sinistra. E sarebbe un inutile esercizio di modesta politologia fantasticare di governi Tremonti o Draghi o anche Maroni, perché il Presidente Napolitano tutto farebbe tranne che mettere a rischio il Paese con maggioranze incerte e esigue, per giunta contro il parere del partito di maggioranza relativa. Al contrario la certificazione della crisi spingerebbe gli schieramenti a rinserrare le fila ed a prepararsi ad un confronto elettorale i cui esiti si giocheranno nella campagna elettorale. A sinistra sarebbe uno stupido suicidio non convergere su un solo nome e presentarsi  con uno schieramento unitario sia pure diversificato al suo interno. La contesa tra Bersani, Vendola ed i “rottamatori” di Renzi e Civati, resterebbe sospesa e finirebbe con l’allargare l’offerta elettorale della sinistra. Il grande “centro”, a lungo vagheggiato da Casini, con Fini, Rutelli,  l’ Mpa di Lombardo ed altri, potrebbe finalmente vedere la luce e concorrere per la leadership. Il centro destra con Berlusconi e Bossi difenderebbe le posizioni. Una partita a tre per decidere una volta per tutte chi questo Paese lo deve governare e come.  Si dice. Ma le carte sono truccate da una legge elettorale, il porcellum, che prevede un premio di maggioranza a chi prende un voto in più. Che ci sia bisogno di un premio di maggioranza o “di stabilità” è fuor di dubbio; che si debba mettere una soglia per evitare che lo si conquisti con percentuali basse, è giusto. Su questo punto un accordo in Parlamento è possibile, visto che anche il Pdl e Lega concordano. E concordano pure sull’esigenza di ridare all’elettore la possibilità di scegliere il candidato, con le preferenze o in altri modi, superando l’indecenza dei parlamentari  “nominati”,,ed a rendere “nazionale” il premio al Senato. Se si lavora su questi obiettivi e si ricompone un campo da gioco che sta bene a tutti, perché non imboccare la via maestra delle elezioni? Le quali, certo, non giovano al Paese ma sono meno dannose di una lenta agonia di sistema. Allo stato degli atti non sembra ci sia altro, a meno che non intervenga un miracolo. Ma, parlando del centro destra, sembra impossibile una ricomposizione, sia pure in armi, tra Berlusconi e Fini, dopo Bastia Umbra e sembra ingenuo pensare che il “gioco del cerino”, possa durare a lungo. Purtroppo, nel centro destra, incomprensioni politiche e personali hanno azzerato tre vittorie elettorali: le politiche, le europee e le regionali. È un peccato, ma è un dato di fatto sul quale è inutile piangere e dal quale invece è necessario ripartire. Facendone tesoro.  

 

 
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Napoli, rifiuti, emergenza sanitaria: chi ha sbagliato paghi

Post n°403 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

Qui Napoli, ad un passo dal baratro. A dire la verità avevamo perso le speranze che qualcosa si muovesse sul fronte giustizia a seguito della gravissima crisi del 2008, quando la monnezza arrivava ai primi piani dei palazzi e Napoli concorreva per  il guinness della città più sporche del mondo. Anche perché il processo in corso a Bassolino, Impregilo ed altri per i presunti reati commessi nello scandalo rifiuti, arrivato al vaglio del Tribunale veniva rapidamente avviato verso la prescrizione. Invece la decisione della Procura di ieri, di incriminare la Iervolino, Bassolino, il prefetto Pansa ed alcuni sindaci dei comuni più colpiti, per i reati di epidemia colposa e omissione in atti di ufficio in relazione all'emergenza rifiuti del 2008, apre un nuovo fronte giudiziario. Non di discute più delle irregolarità, degli sprechi, dei clientelismi e dei favoritismi, e neppure dello scempio avvenuto nelle gestioni ordinarie e straordinarie dei pubblici interessi. Qui in gioco è la salute dei cittadini. Le accuse si riferiscono al nesso tra inefficienze, negligenze, omissioni della Pubblica Amministrazione e la diffusione di patologie  di varia gravità. La notizia è talmente grave che, paradossalmente, ci dobbiamo augurare si tratti di un errore. Perché se invece le accuse risultassero fondate, ci troveremmo dinanzi ad una emergenza ancora più grave di quelle che siamo abituati ad affrontare. Quando per colpa della cattiva amministrazione viene messa a rischio la salute dei cittadini allora abbiamo superato il limite. Significa che gli errori e le diffuse incapacità e inefficienze non hanno solo prodotto danni alle cose, all’immagine e all’economia, ma hanno colpito fisicamente le persone determinando la diffusione di infezioni, malattie, epidemie. Oltre l’aspetto giudiziario c’è quello sanitario e quindi ci aspettiamo che le competenti Autorità, a cominciare dal Ministro, ci facciano conoscere entità, dimensioni, gravità del fenomeno e intervengano con iniziative adeguate. La cosa è maledettamente seria e le conseguenze si faranno sentire nel tempo. Chi ha sbagliato deve pagare. E sarebbe inaccettabile che, concluse le indagini, tutto si disperdesse, si sfarinasse e svanisse nelle nebbie di procedure opache e compiacenti.  Questa volta non si scherza. La gente, il cittadino, tutti, abbiamo il diritto di conoscere la verità e di avere giustizia.

 

 
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La città brucia e la politica balla sul Titanic

Post n°402 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

Una volta si chiamavano municipalizzate e già erano piene di debiti, ora sono diventate “partecipate” ma le cose non sono cambiate, anzi di male in peggio. Solo il Comune di Napoli negli ultimi quindici anni ne ha messo su ventidue, un numero spropositato se si pensa che la tendenza generale, dallo Stato in giù, è vendere e liberalizzare. Le ventidue società a partecipazione comunale hanno la bellezza di 9.000 dipendenti che costano 390 milioni di euro l’anno, senza contare l’esercito di amministratori e consiglieri profusamente pagati, ed hanno accumulato un debito di un miliardo e trecento venti milioni di euro. Sono dati del 2009, ulteriormente peggiorati perché nell’arco di questi mesi le società hanno continuato ad assumere. Cifre pazzesche, un buco enorme, un indebitamento che richiederebbe una manovra finanziaria dello Stato ad hoc. Vi do qualche dato: l’Asia, l’azienda comunale addetta alla raccolta dei rifiuti, ha un rosso di 224 milioni, l’Arin, l’ex acquedotto 295, Bagnoli futura  che doveva realizzare la “nuova bagnoli” 293, Napoli park, 93.  Tutto ciò a fronte di servizi pessimi, di inefficienze e ritardi e sprechi di ogni genere, basti pensare alla raccolta dell’immondizia o a Bagnoli, per citare gli esempi più eclatanti. L’anno venturo si vota per il nuovo sindaco di Napoli. La Iervolino è ormai agli sgoccioli e nei partiti si moltiplicano le candidature. Ma il nuovo sindaco, chiunque e di qualsiasi colore sarà, prim’ancora di cominciare si troverà sul groppone questa montagna di debiti cui va aggiunto il disavanzo del bilancio comunale ordinario, anch’esso elevatissimo. Si troverà quindi in condizioni peggiori di  Caldoro, neo governatore della Regione, con la pesantissima eredità bassoliniana. Dove si troveranno i soldi per andare avanti e per cominciare a pagare i debiti, è difficile dire. Le addizionali su Irpef ed Irap sono già ai massimi e sarà difficile aumentarle ancora. Ed anche il più generoso dei governi incontrerebbe difficoltà insormontabili a stanziare soldi pubblici per pagare debiti contratti dal Comune in quindici anni di pessima amministrazione. In tutto questo ci capiterà tra capo e collo il federalismo e, come già per la nostra immondizia, sarà ben difficile ottenere aiuti dalla comunità nazionale. Prepariamoci ad una stagione difficile, anche se la politica, con il suo teatrino di nomi e candidati, sembra infischiarsene e continua a ballare su sul Titanic.

 

 

 
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Torno tra dieci giorni” aveva detto giovedì ed invece ventiquattrore dopo

Post n°401 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

Silvio Berlusconi  prima è andato a Portici per fare di persona le condoglianze alla famiglia del tecnico Di Bonito caduto sul lavoro, colpito da una pala meccanica nella discarica di Terzigno,  poi si è trasferito a Napoli per ridiscutere con i sindaci il piano della protezione civile ed ottenerne il consenso. Cosa difficile,  permanendo molta tensione tra i comitati che chiedono la revoca definitiva di Cava Vitiello e vogliono la certezza che Cava Sari sia ancora integra.  Un Silvio Berlusconi  infastidito ma non colpito dall’ imboscata mediatica del bunga bunga e dal gossip su Ruby, la splendida minorenne marocchina frequentatrice assidua dei meeting di corte, pronto a sfoderare tutto il suo fascino di “uomo del fare” facendosi personalmente carico dell’ennesima crisi  della monnezza , compito non suo né di Bertolaso, sia chiaro, ma impegno assunto e rispettato almeno nelle grandi linee. Magari il Cavaliere non seduce più come prima, magari gli scoop sulla sua vita privata ne hanno sfocato la figura di statista, magari l’immagine vincente esce ridimensionata dallo scontro con Fini, ed il suo ruolo di leader usurato dalle manovre per la successione, in corso nel suo partito. Ma dire che ha imboccato il viale del tramonto resta un azzardo. Perché l’uomo ha grandi doti di recupero, è capace di straordinari coup de tèatrè e poi , soprattutto,  ci mette la faccia. Una cosa che nel mondo politico fanno in pochi. Come per i rifiuti di Napoli.  Ci mette la faccia, si espone, rischia e, naturalmente, se vince, prende tutta la posta. Certo, lo fa calcolando i pro e i contro, mischiando generosità e vantaggi mediatici, ma lo fa e spesso risolve, almeno tampona, e comunque porta dei risultati. Nel bene e nel male, il Cavaliere viene percepito come un innovatore, come colui che ha reso chiara, comprensibile, diretta, la politica, in passato polverosa, fastidiosa, oscura nel linguaggio, misteriosa e inquietante nelle liturgie. Viene percepito come colui che ha “depoliticizzato” la politica. Per questo, il suo feeling con la pubblica opinione è ancora forte e la gente è disposta a perdonargli molto. Molto, ma non tutto.

 

 

 
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No alla violenza, si al piano Bertolaso” poi spetta ai poteri locali

Post n°400 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

Anche se i due eroici sindaci di Terzigno e Boscoreale, Auricchio e Langella non lo hanno firmato ed anche se la gente è incredula perché, diciamoci la verità, sul tema rifiuti le istituzioni hanno molto da farsi perdonare,  l’accordo raggiunto domenica notte tra il governatore Caldoro il presidente della Provincia Cesaro ed il commissario“ad acta” Bertolaso è buono e dovrebbe riportarci rapidamente alla normalità. La soluzione è convincente e tiene conto delle ragioni della protesta popolare. Il “congelamento” della seconda discarica prelude ad una sua cancellazione e va incontro alle richieste popolari, così come i controlli sulla prima e la sua bonifica per accertare il rischio di inquinamento ed eliminare l’insopportabile tanfo. Anche la decisione di limitare i conferimenti ai rifiuti dell’area vesuviana destinando quelli della città, dopo il necessario pre trattamento, all’inceneritore di Acerra e ad altre discariche, va in questa direzione. E se Bertolaso riuscirà in pochi giorni a pulire Napoli allora avremo imboccato la via della normalità. Vedremo se tutto ciò accadrà. Per ora e fino a prova contraria, siamo tenuti ad avere fiducia. Stiamo attenti alla violenza ed alle infiltrazioni camorristiche perché il rischio è la degenerazione criminale di una legittima protesta civile. Il che non farebbe che complicare maledettamente le cose che già sono sul limite. Naturalmente oltre ai provvedimenti immediati c’è bisogno di attuare il piano del 2008, facendo tutto ciò che non è stato fatto, dalla raccolta differenziata, al funzionamento degli Stir, all’avvio della costruzione dei termovalorizzatori di Napoli e di Salerno. In sostanza la crisi dalla quale stiamo uscendo è stata causata dalla mancata attuazione di quel piano, più che da fattori strutturali che, invece, determinarono il disastro del 2007-08. Questo vuol dire che bisogna recuperare i ritardi locali pena il ripetersi del default. E qui casca l’asino perché questo spetta ai poteri appunto locali che com’è noto non brillano per efficienza. Però se vogliamo evitare di trovarci di nuovo in emergenza questo nodo lo si deve sciogliere, per cui la cosa più ovvia sarebbe applicare la legge, che prevede sanzioni e poteri sostitutivi in caso di inadempienze. Uno Stato che arretra o tentenna non alimenta la fiducia, la scoraggia. Naturalmente tutta la comprensione alle popolazioni colpite, ma la violenza non può e non deve essere tollerata. Le bande che ieri notte hanno attaccato le forze dell’ordine che, sia detto per inciso, si sono comportate con equilibrio e professionalità, vanno isolate e punite. Per risolvere i problemi, dopo la protesta e la messa in campo delle proprie ragioni, occorre collaborazione e la violenza oltre ad essere inaccettabile allontana e spesso annulla le soluzioni. Tra le cose positive c’è quella che il governo ha erogato la prima tranche di “compensazioni”, 14 milioni di euro, che non sono bruscolini. Si passi ora, come si dice in politichese, dalla protesta alle proposte ed ai progetti e si vari un piano di aiuti all’agricoltura ed al turismo dell’area vesuviana. Una volta tanto la scommessa “dall’emergenza allo sviluppo” si potrebbe anche vincere! 

 

 

 
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Su disoccupati e monnezza paghiamo lo scotto di quindici anni di malgoverno

Post n°399 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

Siamo sputtanati da tutti i media del mondo come la città della monnezza. Non è giusto, non ce lo meritiamo, ma purtroppo è così.  Le due emergenze esplosive che ci condannano ai margini dell’Italia e dell’Europa, disoccupati e rifiuti, in questi anni potevano essere risolte. Invece sono state volutamente lasciate a marcire. La sinistra porta tutta la responsabilità, non so se solo politica, di ciò che accade oggi, con la guerriglia di Boscoreale e Terzignoe e la città messa a ferro e a fuoco dalle liste di disoccupati organizzati. Con la casa che brucia parlare di responsabilità è fuor di luogo. Ma giusto per amore di verità è utile ricordare che quello che accade oggi non può essere imputato né alla Giunta regionale né a Cesaro,  il quale, consapevole dei limiti delle capacità operative della Provincia, da tempo aveva chiesto una proroga della gestione commissariale. Non così la Iervolino, in forte ritardo sulle sue specifiche competenze relative alla raccolta differenziata, alla gestione dell’Asia, alla localizzazione del secondo termovalorizzatore napoletano e molto altro. Le responsabilità, comunque, sono antiche e si concentrano prevalentemente nel decennio bassoliniano quando i veti dei verdi sia discariche che  agli  inceneritori ha lasciato la Campania priva di un ciclo di smaltimento dei rifiuti. La colpa di Bassolino è stata quella di subire i veti e di condividerli sprecando tempo e danaro. Non essere riusciti in dieci anni a risolvere il problema, nonostante risorse ingentissime e poteri straordinari, resta per la sinistra un marchio indelebile di incapacità politica ed amministrativa. E senza il “decisionismo” di Berlusconi e la capacità operativa di Bertolaso, oggi non avremmo neppure l’inceneritore di Acerra e i due da costruire a Salerno ed a Napoli. Questi i fatti. Ai quali si aggiungono gli innumerevoli misfatti delle gestioni commissariali documentati in almeno due relazioni delle competenti commissioni parlamentari. Ciò non toglie che ora Caldoro, Cesaro, il Governo, devono far qualcosa di concreto per la gente che, con molte buone ragioni, protesta nei due comuni vesuviani. Ieri il Governo ha reincaricato Bertolaso ed ha sbloccato i quattordici milioni di “compensazione” ai Comuni. Non basta. Ci vuole qualcosa di più per ricostruire un rapporto di fiducia tra i cittadini di quei territori e le istituzioni che hanno molto da farsi perdonare. Occorrono piani straordinari di alleggerimento dell’impatto ambientale e sono necessari interventi concordati di risarcimento oltre le “compensazioni” varate ieri con ritardo dal Governo. Una attenzione particolare per tutto il comprensorio del Parco del Vesuvio con la localizzazione in quell’area di funzioni produttive in grado di compensare i danni subiti. Sarebbe inaccettabile oltre che un gravissimo errore, se le istituzioni, a cominciare dallo Stato, dessero anche solo l’impressione di abbandonare al loro destino la gente che lotta, anche se in forme inaccettabili, per la sopravvivenza ecologica ed economica di un territorio e di una intera comunità. Mentre siamo in onda in tutto il mondo per i rifiuti, sul fronte dell’altra emergenza, quella del lavoro, va in dissolvenza il pianio per la formazione ed il lavoro varato dalla Giunta Caldoro su proposta dell’assessore Nappi. Un piano molto innovativo, uno strumento moderno e potenzialmente molto efficace che chiude una fase torbida di perniciosa ed interessata “mediazione” politica del settore ed apre una fase nuova. Su formazione e lavoro, dunque, una via è tracciata. Forse non piacerà alle centrali assistenziali e clientelari, politiche e non, che nel corso del trascorso decennio hanno cinicamente coltivato, alimentato, blandito ed elettoralmente utilizzato il bisogno di lavoro, ma è quella la direzione da seguire senza cedere neppure di un millimetro, pena il fallimento di tutto il programma.

 

 

 
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La domanda è: chi paga?

Post n°398 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

Nel leggere il “pro memoria” che gli ispettori del Ragioniere Generale dello Stato hanno inviato al ministro Tremonti ed al governatore Caldoro sulla situazione finanziaria della Regione Campania relativa al decennio bassoliniano, oltre a tutto il resto, in primis il buco nero della Sanità o l’espediente dei “residui attivi”, falsi perché inesigibili, una circostanza balza agli occhi. La Regione si è indebitata, sia con l’emissione di bond nel 2006, sia con mutui contratti nel 2007 con la Depfa bank (banca irlandese poi rilevata da un fondo tedesco, nel marzo scorso rinviata a giudizio insieme a Deutsche Bank, Ubs, JpMorgan dal gup Luerti del Tribunale di Milano per truffa aggravata ai danni del Comune di Milano), sia nel 2008 con la Bei, non per finanziare investimenti ma per “concedere contributi in conto interessi in favore di soggetti privati”, per “per pagare le retribuzioni dei lavoratori forestali, per pagare il servizio antincendio boschivo, per finanziare iniziative di interesse turistico quali fiere, mostre, contributi a case di produzione cinematografica, oltre che per finanziare opere di manutenzione ordinaria”, ma anche per finanziare l’ ”erogazione, ad esempio, di generici contributi a soggetti esterni e la copertura di perdite pregresse di società partecipate”. Gli ispettori concludono sul punto: “ il tutto in violazione del dettato del citato art 119 comma 6 della Costituzione che “prevede il divieto di utilizzare risorse rinvenienti dall’indebitamento per finanziare spese non di investimento”. Non solo. Gli ispettori evidenziano altresì che sono tuttora in ammortamento operazioni per copertura di spesa sanitaria  pregressa con varie banche tra le quali anche la Dexia Crediop molto attiva nella gestione del debito al Comune di Napoli ai tempi dell’assessore Cardillo.   Naturalmente occorrerà attendere la stesura finale della relazione per capire meglio quantità, qualità, metodi e gestione dell’indebitamento. Ma dalla nota preliminare si capisce che siamo sull’orlo del baratro, o forse già dentro, e l’ assottigliamento progressivo della liquidità di cassa fa temere tensioni e danni gravi a terzi (fornitori, imprese, finanziatori, ecc.) per mancati pagamenti e si legge, altresì, che ci sarebbe stata la violazione continuata del comma 6, art. 119, Cost. Chi pagherà per tutto questo? La domanda ha una sua parte retorica perché è chiaro che a pagare saranno le famiglie e le imprese campane sulle quali già gravano addizionali irpef ed irap applicate nel loro massimo, oltre che maggiorazioni nel prezzo dei carburanti. Nella parte non retorica riguarda le responsabilità amministrative e di Governo e quindi l’obbligo di risarcimento che un disastro simile implica. In queste condizioni, infatti, la ripresa economica diventa un miraggio e l’appuntamento col federalismo un vero incubo, appesantiti come siamo da un debito enorme. Sarà solerte la Giustizia, contabile, civile, penale, a chiederlo, un risarcimento a chi si è reso responsabile di danni reali e quantificabili, non solo un generico danno di immagine? agirà con velocità e determinazione o si muoverà da tartaruga distratta, come è avvenuto per il processo sullo scandalo dei rifiuti, avviato da tempo su un binario morto? Chi vivrà vedrà.

 

 

 
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Mezzogiorno, crisi economica e crisi politica

Post n°397 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

Parliamo della crisi politica del Paese che lascia perplessi dinanzi all’incalzare della crisi economica che al sud taglia posti di lavoro e crea tensioni sociali. Il Governo finora ha ben operato perché nei frangenti difficilissimi di una crisi internazionale dalla quale non siamo ancora definitivamente usciti, ha limitato i danni ed ha salvato il salvabile. Potevamo trovarci tra la Grecia e il Portogallo, tra l’Irlanda e la Spagna ed invece siamo indietro ma vicini alla Germania che ha ripreso a correre (avvalendosi, tra l’altro, di una virtuosa tregua politica e sindacale). Tremonti ha ragione, la globalizzazione impone di rientrare dal debito che nel nostro caso è cospicuo perché in questi anni, tra prima e seconda repubblica,  abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, abbiamo risolto i conflitti sociali con la spesa pubblica, non abbiamo modernizzato la macchina  dello Stato ed abbiamo reso sempre più pletorica e costosa la ns democrazia. Prima, ogni tanto respiravamo con una rimodulazione del debito ed una svalutazione delle lira. Ora c’è l’Europa e (per fortuna) non lo possiamo più fare. Dobbiamo tagliare gli sprechi, cogliere ogni occasione di investimento, rendere produttiva al massimo la spesa pubblica. Ed è ovvio che dovremo anche tirare la cinghia, con criteri di equità sociale, certo. Ma sarà inevitabile. Giudico un errore politico e sindacale lo sciopero Fiom di domani che potrebbe pregiudicare il piano di rilancio di Pomigliano, dove la maggioranza dei lavoratori si è espressa con Cisl ed Uil a favore dell’investimento Fiat. Credo che per Fincantieri il Governo debba andare molto oltre la garanzia della commessa per i pattugliatori. Penso che al mezzogiorno serva una politica industriale ed il taglio dei lacci che paralizzano e appesantiscono l’iniziativa privata. Per il Sud il Governo è fermo alla propaganda, fino ad ora non si è visto nulla di concreto se non i tagli imposti alla Regione. Tremonti dice che per fine d’anno si farà una manovra per sbloccare Università, mezzogiorno e fisco. Mancano due mesi, poi pure Natale arriverà. Non resta che pazientare. Ma veniamo al nodo politico e cioè la durata della legislatura. Le elezioni anticipate non le vuole nessuno tranne la Lega che spera di trarne vantaggi. Ma da sola non può determinarle. Per tutti gli altri esse sarebbero un rischio. Per il Paese, un danno sicuro. Berlusconi pur vincendole potrebbe non farcela al Senato. Fini ha bisogno di tempo per fare il partito e nuove alleanze. Casini e Rutelli trafficano con un centro che non decolla ed anche loro hanno bisogno di tempo. Il nuovo ulivo non è stato neppure piantato, Bersani prova con Vendola, ma senza convinzione, Di Pietro fa il guastatore e tira per se,  la sinistra è una torre di babele. Se il governo cadesse l’opposizione e Fini tenterebbero di farne un altro per cambiare il porcellum. La cosa è molto difficile ma non impossibile. Se così stanno le cose e se le due questioni sulle quali si gioca la stabilità del governo sono la giustizia e la legge elettorale, la cosa più saggia sarebbe quella di trovare un accordo sui due punti, magari allargando il campo anche alle alla riforma costituzionale di cui non si parla più ma che resta un obiettivo centrale strategico del programma di governo. Ricapitoliamo: una intesa senza scherzi sullo scudo giudiziario per il Cavaliere, la riforma della giustizia, quella elettorale (bipolarismo e elettori che scelgono gli eletti) e quella costituzionale (rafforzamento dei poteri del premier, riduzione del numero dei deputati, il Senato delle Regioni) necessaria quest’ultima col varo definitivo del federalismo, con in più i provvedimenti di alleggerimento fiscale e quelli a favore del mezzogiorno. Insomma si tratterebbe di tornare a dialogare, a cedere qualcosa per ottenere qualcosa, nell’interesse del Paese ed anche nell’interesse della maggioranza che ha vinto le elezioni.. C’è bisogno di “gestire” la crisi, di non perdere di vista ciò che conta che è l’interesse generale e uscire dalla crisi con un po’ di  professionalità politica, spesso a torto superficialmente e stupidamente denigrata.

 
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Il “metodo di pietro”

Post n°396 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

Ci risiamo col “metodo di pietro”, ovvero la questione morale usata come una clava contro l’avversario politico di turno. Questa volta tocca a Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno e candidato, anche di Di Pietro, alla Regione. Quando si trattò di sceglierlo come governatore del centro sinistra, nonostante  De Luca fosse appesantito da un paio di rinvii a giudizio, Tonino se ne fece paladino e, al grido “ho letto io le carte”, lo difese con la sua spada fiammeggiante. Rintuzzò lo schizzinoso De Magistris, lo sostenne con foga ed incerta sintassi dinanzi alla platea delle sue tricoteuses, lo benedì con una pacca sulla spalla e gli assicurò il sostegno del suo partito. De Luca divenne il campione di Tonino contro Caldoro e tutta la cricca berlusconian cosentiniana. All’epoca il rischio per Di Pietro era che si candidasse l’ex pm Luigi De Magistris, un puro più puro in grado di epurare anche Tonino, che si candidasse non per vincere alle regionali ma per auto consacrarsi antipapa alias antidipietro, magari con la benedizione di micromega e company. Allora De Luca, nonostante fosse il sindaco pdiino più berlusconiano di un berluscones e nonostante fosse per due volte rinviato a giudizio (il che, chiariamo, per chi scrive significa meno di niente, non così per il vendicatore di Montenero di Bisaccia), andava bene, anzi benissimo. E dunque, rinfoderati i rasoi del moralismo e del giustizialismo, il “nostro”, con enfasi ed eccitazione lanciò in campo il “non allineato”(col Pd)  De Luca, raccontandone mirabilia. Oggi le cose sono cambiate, De Luca ha perso le regionali, De Magistris è relegato a Strasburgo, Di Pietro gioca la sua partita, che è poi quella vera, contro Bersani ed il Pd e De Luca non serve più. E, dunque, avendo il supersindaco in un suo processo accettato una prescrizione sancita dalla Corte di Appello di Salerno, puntuale arriva la scomunica. Che, sentenziata da Di Pietro, trova orecchie interessate nel Pd, il partito di de Luca. Ed ecco che la questione morale irrompe di nuovo nel dibattito politico (si fa per dire) per bastonare De Luca e magari squalificarlo in vista delle prossime amministrative di Salerno.  Se non correrà ai ripari il Pd morirà di giustizialismo. Che, come la “suina”, è una infezione che richiede cure radicali ed una vaccinazione ad ampio spettro.

 

 
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I media ed il disastro di Napoli

Post n°395 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

A riflettere sulle condizioni attuali della città viene da chiedersi come sia stato possibile ridurre Napoli così com’è oggi.  Sono passati diciassette anni da mani pulite, la “grande rivoluzione”, il radicale repulisti della vecchia e corrotta partitocrazia, tre lustri e più dai baccanali giustizialisti, dalle truculente celebrazioni manettare, con tanto di riserve e comparse travestite da guardie rosse e promesse e proclami di fare, rifare, cambiare, rinnovare, far crescere e sviluppare. Diciassette anni, poco meno di un ventennio. Il “nuovo” che in quegli anni “avanzava”, altero e vendicatore, ne ha fatta di strada. Oggi è al capolinea. E cosa ci lascia? Macerie. Eppure le condizioni per agire erano ottimali. Un intero mondo era crollato lasciando una quantità enorme di cose da fare, già discusse, sceverate, progettate, le condizioni per farle, ottimali. Mai nessun sindaco, nella storia della città, si è trovato in condizioni di maggior favore di Bassolino e della Iervolino. Hanno goduto, Bassolino di più, ma anche Rosetta, di consensi e appoggi altissimi, politici, mediatici, giudiziari, sindacali. Hanno  governato  senza opposizione. Hanno ricevuto un fiume di danaro, poteri straordinari, sostegni governativi. E sono partiti sul vento del rinnovamento, avvolti in un’aurea di “nuovo”, loro, tra le comparse più stagionate della prima repubblica, protagonisti rifatti nella seconda, veri miracoli del lifting mediatico. Insomma chi più di loro, chi meglio di loro. E invece . . . abbiamo perso tempo, prezioso. Dando uno sguardo a come siamo ridotti vengono i brividi. Bagnoli, la zona industriale, la camorra, la  legalità, la pubblica moralità, l’economia, il lavoro, i disoccupati organizzati, il degrado, la sporcizia, i vicoli, i bassi, le periferie, il traffico, la sanità, i servizi comunali, le opere pubbliche, i grandi progetti, le infrastrutture, la metropolitana, tutto come prima o peggio, al palo o in ritardi epocali. Oltre alle responsabilità politiche della sinistra, a quelle della classe dirigente, della borghesia, ecc., sulle quali è ormai superfluo soffermarsi, ci si chiede se in questo disastro c’è anche una responsabilità mediatica e di quali proporzioni.  E la risposta è affermativa. Le responsabilità del circuito della comunicazione nella tragedia napoletana sono enormi. Un decennio almeno di servilismo mediatico, di acquiescenza e condiscendenza, di contiguità, collusione e complicità, non si giustificano né con l’appartenenza partitica né con le simpatie ideologiche e/o culturali. Ma, ripeto, almeno per un decennio, poi via via decrescendo, questo è avvenuto. E, tralasciando i casi più gravi e considerando altresì le dovute (ed eroiche) eccezioni,  sarebbe bello se oggi il gran carro di tespi della moderna comunicazione  aprisse un dibattito e facesse il mea culpa per aver contribuito a diffondere demagogia e propaganda ed a nascondere la verità, a “rappresentare” piuttosto che ad “informare”,  a farsi guidare dal pregiudizio piuttosto che dal dubbio, a  farsi coinvolgere piuttosto che ad esercitare senso critico. E se, dalla lezione napoletana, non fosse il caso di trarre insegnamento per evitare di ricadere nell’errore, magari a parti contrapposte.Il rinnovamento della città comincia anche da quello dell’informazione.

 

 

 
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Si naviga a vista

Post n°394 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

La tartaruga continua il suo cammino. Il Governo è salvo ed il Cavaliere ringalluzzito. La maggioranza alla Camera è ampia ma al Senato addirittura autosufficiente. I ribaltonisti sono in ritirata. Al prima passo falso nessun governo tecnico,  si va diritto alla elezioni. Mentre sale al Colle il Cav assapora il successo e rilancia su stabilità e riforme ma un tarlo gli rovina la festa. Il partito di Fini sarà un pezzo del centrismo impotente oppure diventerà la “nuova destra” o meglio il luogo aperto e agile del moderatismo riformista, il centro di raccolta di ciò che di nuovo si può mettere in campo a prescindere dai vecchi schemi destra/sinistra?. Insomma il nuovo partito finiano sarà un soprammobile, sia pure ingombrante, sul comò un po’ retrò di Casini con il barboncino Rutelli a completare il salottino di nonna speranza, di gozzaniana memoria, oppure invece aprirà nuovi spazi ad una destra congelata e soggiogata dal grande Incantatore? Un partitino centrista come altri o la guida di una nuova destra, laica ma non anticlericale, liberale e libertaria ma non libertina, socialmente sensibile, legalitaria ma non travagliesca, moderna ma non giovanilistica, in grado di mordere ai polpacci il berlusconismo senza rinnegare la rivoluzione berlusconiana ed il sommo artefice ma anzi facendosene eredi legittimi, e convincere gli elettori che il destino del centro destra non coincide con quello del berlusconismo,  come Pieluigi Battista ha scritto sul Corsera? Per ora ci sono buone e cattive intenzioni. I finiani sanno che camminano sul filo del rasoio. Sanno che possono tirare la corda ma non fino a spezzarla. Che senza governo tecnico e riforma elettorale le urne sarebbero un suicidio, che il terzo polo non c’è neppure con Montezemolo ed un eventuale alleanza con l’arcipelago Pd sarebbe contro natura e nei fatti impossibile. I finiani hanno bisogno di tempo. Fare un partito non è come andare da Santoro o a Ballarò, Fini per fare il capo partito deve lasciare Montecitorio e negoziare un successore (Casini, Rutelli, D’Alema ?), che, sulla giustizia, non basterà il “lodo Alfano” costituzionale ma Ghedini chiederà un “legittimo impedimento” nuovo per disinnescare il rischio Consulta e che sul processo breve alla fine si troveranno nel dilemma di bere o affogare, perché o passa il salvacondotto o si scioglie tutto. Saranno capaci gli uomini di Fini di mantenere la barra in un mare che si annuncia agitato dai propositi di vendetta che rigurgitano nel Pdl, con la Lega che certo non starà a guardare e la sinistra che ritirerà tutele mediatiche e giudiziarie? Per ora Bossi e soprattutto i sondaggi hanno frenato il Cavaliere il quale ha scelto di non rovesciare il tavolo e di assecondare la liturgia parlamentare. Ne esce bene ma a sua volta sa che  anche per lui la partita è alle battute finali. Il tempo che è costretto a cedere ai suoi avversari potrebbe consentirgli di agganciare la ripresa economica ed allora sarebbe tutt’altra musica, più lavoro- meno tasse, ed a quel punto le elezioni sarebbero una minaccia convincente ed una opportunità da far valere. Ma senza la marcia in più di un economia in ripresa e di un fisco in discesa, dando per scontate le carte leghiste di sicurezza e federalismo, giustizia e mezzogiorno potrebbero diventare due scartine. Il Cavaliere lo sa e per questo va avanti a vista, dice che vuole durare tre anni ma da domani si dedicherà a prepararsi al peggio. Certo, per ora cercando di evitarlo. La partita della terza repubblica è appena iniziata. Per ora si è solo usciti, e non nel modo migliore, dalla seconda.

 

 
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Il Pd, una tigre preistorica in decomposizione

Post n°393 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

Candidarsi  in (dis)continuità iervoliniana a San Giacomo non sarà facile per l’assessore Nicola Oddati dopo le parole tranchant della Rosy Bindi presidente del Pd “ma chi è questo Oddati, non lo conosco” per giunta dopo le difese della stessa Rosy nei confronti di Rosetta  (Iervolino), roba da democristiane d’antan. La Bindi in (sotto) veste di Killer agiva su mandato di Bersani, con l’avallo di Bassolino, intento a riposizionarsi nel partito dopo i trionfi campani e della stessa Iervolino alacremente impegnata nella raccolta differenziata. Al potente assessore iervoliniano ed ex bassoliniano restano ora solo le simpatie di Vendola e quelle di Corrado Gabriele, a questo punto più imbarazzanti che lusinghiere e comunque non determinanti. Quella dell’ottimo Umberto Ranieri a sindaco di Napoli è, dunque, la candidatura ufficiale della maggioranza nazionale e locale del partito. Salvo, naturalmente, le primarie. Per il Pd le primarie sono la nuova frontiera del rinnovamento. E sarebbero anche un bene se oltre alle candidature si confrontassero anche idee e programmi e se il Pd non fosse succube del  giustizialismo di pietresco e del gestionismo demitiano. Ma tutti sanno che invece è proprio così ed è per questo che le primarie diventano un boomerang. Se fossero “vere” si trasformerebbero in un Ok corral politico a colpi di vecchio e nuovo, di società civile e casta, e fesserie simili utili per mandare a p. . . quel quasi niente di politico che ormai resta a sinistra. Se invece diventano un pro forma, come spesso è successo, allora sono una perdita di tempo.  La sensazione è che il Pd e con esso il centro sinistra al Comune  da per scontata la sconfitta nonostante il pessimo stato di salute del centro destra.  La sinistra è stanca, sdrenata dalle sue divisioni, avvelenata dal suo cinismo, infiacchita dall’uso del potere, senza idee e senza energie. Non ha più alcuna fiducia in se stessa e se potesse eviterebbe anche di presentarsi alle elezioni. La sua parte migliore è infatti consapevole del disastro di cui si è resa artefice e, quel che è peggio, di non sapere come uscirne. La cosa migliore è lasciare ad altri, com’è successo per la Regione.  Insomma , inutile anche tentare di vincere, meglio perdere, magari con dignità, ed ecco la candidatura del tutto apprezzabile di Ranieri, una scelta convincente ma non vincente, un atto dovuto per un dirigente di rango, serio e perbene, senza coltelli e fuori dai clan. Ma non una bandiera per cui vincere o morire, ammesso che da quelle parti ce ne siano ancora. E sempre che alla fine il suo nome non venga ritirato a favore di De Magistriis, o di un candidato di De Mita. Il Pd è ormai una tigre preistorica in decomposizione. Il che non è affatto un bene.

 

 
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Mentre la Lega ci assilla col pallino del federalismo fiscale

Post n°392 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

...al sud il federalismo politico è già in atto e ne sono artefici due insospettabili: Pierferdinando Casini leader dell’Udc e Raffaele Lombardo leader dell’Mpa. La domanda è : può un partito avere atteggiamenti contrapposti a Roma e, per esempio, a Napoli? E può votare a Roma per il Governo ma fare, per esempio in Sicilia, una giunta con tutti i partiti che stanno all’opposizione di quel governo? In nome del federalismo politico la risposta è si. Ed infatti è ciò che accade con l’Udc di Casini e con l’Mpa di Lombardo. Nel primo caso l’Udc è contemporaneamente  all’opposizione di Berlusconi a Roma ma in maggioranza con Berlusconi nella Giunta regionale ed alla guida della Provincia di Caserta con l’on.le Zinzi il quale, essendo un deputato dell’Udc, mercoledì voterà contro Berlusconi.  Nel secondo Lombardo, leader dell’Mpa, è rieletto Governatore della Sicilia dal Pd, lascia all’opposizione il partito di Berlusconi (con il quale ha vinto le elezioni) ma si accinge a votare il Governo Berlusconi in Parlamento.  Difficile sostenere che i programmi berlusconiani sono buoni a Napoli ed a Caserta e cattivi a Roma, o anche che  Caldoro e Cosentino sono migliori del Berlusca. Ed è altresì arduo considerare pessimi il Presidente del Senato Schifani ed il ministro della giustizia Alfano che sono iperberlusconiani doc e buono il Governo e la maggioranza di cui fanno parte. I programmi non c’entrano nulla. Conta la territorialità. La quale spinge l’Udc ad allearsi col Pdl per vincere in Campania e l’Mpa a scaricare i berlusconiani a Palermo ed a sostituirli con gli uomini di Bersani. I quali, in barba ad ogni proclama colgono la palla al balzo per mettere sotto il Cavaliere e risalire la china in Sicilia dove sono al lumicino. Giustamente, come ha detto ieri Bersani, perché la politica è “movimento” (vedi la vecchia Inter di Helenio Herrera) ed a restar sulle proprie posizioni si rischia di morire. La questione quindi non è il richiamo, secondo alcuni banale, alla “coerenza” che pure dovrebbe essere una garanzia per chi vota e che naturalmente non potrebbe valere solo per l’Udc o l’Mpa o il Pd ma anche per il Pdl che ha negoziato i voti dell’Udc e dell’Mpa salvo poi a perderli o a recuperarli ecc.  La questione è che ormai vige il federalismo politico (come definirlo diversamente?) nel senso che i partiti fanno scelte, diciamo così, legate al territorio. Quel che vale a Napoli o a Caserta o a Palermo, non vale a Roma e viceversa. Questo produce una forma di bipolarismo che si potrebbe definire “a geometria variabile”. A ben vedere una forte accentuazione di quello che accadeva negli anni lontani del parlamentarismo spinto della prima repubblica, quando i franchi tiratori buttavano giù governi, a Napoli gli ex laurini appoggiavano la Dc, in Sicilia si celebrava Milazzo ed il Pci e la Dc in parlamento negoziavano un po’ tutto; ed ancora quando all’inizio del  1987 Fanfani incaricato da Cossiga di formare il Governo chiese in Aula, al suo partito, la Dc, di non dargli la fiducia per andare ad elezioni anticipate (che poi si tennero nello stesso anno) o, qualche anno prima nel Psi,  Signorile teorizzò che la corrente lombardiana di cui era leader, era una minoranza ma non all’ opposizione di Craxi. Un po’ come spiegheranno i finiani che voteranno per il Governo Berlusconi, come minoranza del Pdl ma non opposizione al suo leader. Ma allora non è cambiato nulla? Pare che, gira e rigira, siamo sempre lì. Forse è peggiorato qualcosa? Lo giudichino i lettori.

 
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Napoli, il miracolo che San Gennaro non riesce a fare

Post n°391 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

 Ieri puntualmente e generosamente san Gennaro ha fatto il miracolo, nonostante lo abbiano portato in processione tra i rifiuti. Il santo protettore mantiene i suoi impegni. Gli altri no. I “miracoli” a Napoli dovrebbero farli quelli che governano, che hanno nelle mani le sorti della città. I quali invece continuano a chiederli al Santo. La città è a pezzi  la sua condizione è addirittura peggiorata rispetto a qualche mese fa e non si vede la fine del tunnel. La notizia buona è che la Iervolino cesserà definitivamente nei primi mesi del prossimo anno. Quella cattiva è che ancora non si vede nulla di nuovo, né a destra né a sinistra. Siamo agli sgoccioli di un decennio tra i più nefasti della storia cittadina ma, se si chiede in giro, nessuno è disposto a scommettere un centesimo che le cose cambieranno. Eppure invece dobbiamo crederci che qualcosa possa cambiare anche perché qualcosa si potrebbe fare già da ora, in questo scorcio di sei, sette mesi fino alle elezioni, per evitare di arrivarci definitivamente stremati. Una città più pulita, abbiamo capito che per ora è inutile sperarci. Il Comune non riesce a pulire le strade ed a fare la differenziata,  la Provincia è in ritardo sulla gestione dello smaltimento, l’inceneritore di Acerra è per due terzi in tilt, quello di Ponticelli è di la da venire. L’unica cosa è aprire nuovi sversatoi.  Per fortuna Pecoraro Scanio è all’estero, Bassolino in vacanza e Prodi nella sua Bologna. E allora lo si faccia in tempo prima che sia troppo tardi e che la monnezza  ritorni a primi piani dei palazzi. L a vergogna del 2007-2008 sembrava un lontano ricordo e invece è ridiventato un incubo. Una città più sicura, neppure qui ci possiamo aspettare miracoli, ma intanto perché non si chiede al ministro della Difesa di far presidiare le strade all’Esercito? Se c’è una emergenza ordine pubblico, che va dagli scippi, agli omicidi, alle illegalità piccole e grandi, ai clan di camorra che dettano legge su interi quartieri, se si prevede un autunno rovente con i centri sociali ed altri a soffiare sul fuoco del disagio sociale, perché non preparasi in tempo, perché non chiedere al Governo di impiegare l’Esercito nei compiti di vigilanza e concentrare le Forze dell’Ordine su prevenzione e lotta al crimine? Tolleranza zero è una parola grossa, a Napoli poi sembra una enormità. Ma se si stringessero un po’ più i freni, se le Autorità si mostrassero meno remissive o assenti, se lo Stato desse di se una immagine più severa (senza esagerare, s’intende), se si riuscisse a dare segni tangibili che l’andazzo vigente per cui tutti fanno quello che gli pare, non più tollerato, la gente perbene, che è la maggioranza, prenderebbe coraggio e la città potrebbe assumere un aspetto migliore. Il Consiglio Comunale non si riunisce più. Si doveva sciogliere anni fa, ora è tardi, ma almeno non lo si convochi più. E visto che l’Assemblea si è di fatto auto annullata, si sciolgano i gruppi consiliari che non hanno alcuna ragion d’essere e si dia una strigliatina alla “casta”, almeno quella locale. A parte qualche comodità, nessuno ci perderebbe nulla e la politica ne guadagnerebbe qualcosa. Un segno di serietà sarebbe gradito e potrebbe rivalutare i partiti, oggi alquanto screditati.  Destra, sinistra, centro, che interesse hanno, che vada tutto in malora? Certamente no. Eppure è quello che sta accadendo. Fermare il convoglio sul ciglio del burrone dovrebbe essere interesse di tutti.

 
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Campania, i residui tossici del vecchio regime

Post n°390 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

Siamo di nuovo invasi dall’immondizia, scopriamo, (si fa per dire) che le partecipate sono una enorme enclave clientelare ed infine ci dicono (ma pure questo lo abbiamo scritto fino alla noia) che c’è il rischio di  perdere i fondi Ue perché non siamo stati capaci di spenderli. Andiamo con ordine. Sull’immondizia ci risiamo. Il termovalorizzatore  ha due linee fuori uso, non si sa se per difetti di costruzione o se per la qualità non idonea dei rifiuti da bruciare, servono milioni di euro e molti mesi per le riparazioni, intanto le eco balle restano a terra ed i rifiuti anche, visto che Chiaiano è satura e non estendibile senza il rischio di una rivolta (che questa volta sarebbe del tutto giustificata!)e le altre discariche pure. Si troverà qualche soluzione di ripiego, ci saranno polemiche e ripicche e inchieste (l’ennesima perché le altre sono da tempo sul binario morto), ma prepariamoci  a soffrire senza sapere neppure con chi ce la dobbiamo prendere. Sulle società miste, ormai è ufficiale: tranne eccezioni, sono improduttive, in passivo, servite per assunzioni e consulenze clientelari. Parliamo di migliaia di persone e di costi stratosferici. Solo gli assunti sono poco meno di 7000 (molti poi scandalosamente “comandati” ai gruppi consiliari per svolgere lavoro “politico”) mentre sulle consulenze mancano dati ufficiali ma parliamo di numeri alti, per esempio solo la Tess in quattro anni ne ha conferito 700, senza parlare delle poltrone,  consigli di amministrazione allargati, presidenti, amministratori, revisori ecc. Utilità e produttività vicino allo zero, costi alle stelle, sprechi inauditi in assistenza clientelare. Si dovrebbero chiudere, almeno quelle inutili o superflue e sono la maggioranza, ma con migliaia di dipendenti da sistemare sarà impossibile e tutto resterà così com’è. Sarebbe già tanto se si riuscisse a razionalizzare per comparti tutta la pletora delle partecipate (anche quelle comunali e provinciali ecc.) raggruppando in un holding quelle buone e liquidando in una bad company le altre.. Si risparmierebbero un sacco di soldi. E veniamo ai fondi Ue, sui quali ieri sono intervenuti sil sen Villari ed il consigliere Schifone, delegato di Caldoro per i fondi Ue il primo, presidente del “tavolo” di partenariato socio- economico regionale il secondo, entrambe con dichiarazioni per niente rassicuranti. Del por 2007 – 2013, 7,5 miliardi di euro, allo stato risulta impegnato il 20% e speso il 4%. Disponiamo di 1 miliardo di fondi fas, che aggiunti al residuo 2006 ed a quelli disponibili per l’anno prossimo fanno 3 miliardi di euro, quasi seimila miliardi delle vecchie lire, che bisogna riprogrammare, impegnare, spendere e rendicontare a Bruxelles entro il 31 dicembre del  2011. Senza di che saranno revocati. Considerando che la capacità di spesa della Regione non supera il miliardo all’anno e che bisogna riprogrammarli evitando la dispersione su micro opere, il rischio di un flop è dietro l’angolo. Inoltre i 7 miliardi di euro ricevuti dalla Campania sul programma 2000 - 2006 non sono stati ancora del tutto spesi  e sarebbe magari utile che qualcuno dei sessanta consiglieri regionali, di maggioranza o di opposizione, ne chiedesse conto, per sapere cosa è accaduto, di quali opere si tratta, chi le ha progettate, a chi li sono state affidate; insomma, procedure e qualità della spesa. E’ chiaro che la Regione riceve più soldi di quanti ne riesca a spendere. Per colmare questo gap si dovrebbe potenziare la capacità di spesa magari riprogrammando tutti i flussi finanziari e orientandoli su livelli interregionali e provinciali. Il nuovo Governatore ha esperienza di governo e sensibilità politica sufficienti per sapere che se questa è la strada giusta essa tuttavia non è in discesa per le resistenze politiche e burocratiche che vi si annidano. I residui tossici del bassolinismo  continuano a rendere l’aria irrespirabile. A Stefano Caldoro spetta il compito di un radicale cambiamento. Ma da solo non ce la può fare.  Auguriamoci che il Governo non chieda solo tagli ma sostenga concretamente la svolta con un vero e serio piano per il sud.

 

 
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Brunetta ha ragione, ma . . . .

Post n°389 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

Naturalmente adesso tutti se la prendono con Brunetta per le parole su Napoli cancro del Paese ma a prescindere dall’espressione che è infelice ed eccessiva, la sostanza del giudizio del ministro sulla grande conurbazione napoletana è giusta. Brunetta dice delle verità scomode. Ma ciò che deve indignare non è che le dice o come le dice piuttosto che sono, almeno in larga parte, vere.  Non so se si può parlare di cancro cioè di qualcosa di sostanzialmente incurabile ma certo di infezione, ed anche abbastanza grave, si. Posso capire chi reagisce dicendo vediamo come uscirne ma sbaglia invece chi nega l’evidenza. Anche sulle responsabilità bisognerebbe evitare la solita solfa di scaricarle sul governo centrale o sul nord che ci ha depredato dopo l’unità d’Italia.  Ci saranno pure ma rischiano di diventare un alibi. Se siamo nelle condizioni note la colpa è nostra , certo non di tutti e non allo stesso modo, ma comunque è nostra. Di chi ha governato e di chi non si è indignato, dei partiti (chi più, chi meno) e della società civile (chi più chi meno), degli imprenditori e dei professori, dei benestanti e dei  lazzaroni, tutti, tranne una eroica e silenziosa minoranza,  hanno (chi più chi meno) partecipato all’andazzo di mandare in malora Napoli ed ora per uscirne sarebbe utile ragionare su come cambiare registro. Radicalmente. Caldoro dice che il federalismo può essere l’occasione propizia e si può essere d’accordo se, il trovarsi senza più la tutela assistenziale, servirà a risvegliare il genius degli abitanti di questa terra e ad orientarli in modo virtuoso.  Si sa che dalle nostre parti si vive tra picchi (di eccellenza) ed abissi (di abiezione), che c’è gente di prim’ordine in tutti i campi, gente in grado di competere nel mondo, ma poi c’è gomorra che non è un’invenzione di Saviano, ci sono sprechi e inefficienze, vizi clientelari e assistenziali, classi dirigenti non all’altezza, contiguità, collusioni e connivenze tra livelli istituzionali e criminalità, scarsa produttività in tutti i campi e marcate tendenze parassitarie. Ma anche risorse inestimabili e un ruolo decisivo per lo sviluppo di tutto il Paese che, senza il sud, sarebbe dimezzato.  Magari si potesse costituire una bad company e trasferirvi tutte le “sofferenze” e “liberare” i fattori positivi, dinamici, propulsivi. E tuttavia qualcosa del genere si dovrebbe fare agendo sulla leva sana, sulle eccellenze, sulla intelligenza di cui disponiamo, per invertire la tendenza e risalire la china. Chi lo deve fare? Un po’ tutti, lo Stato, che ci sta aiutando con una efficace lotta alla camorra, ma che può fare di più con strumenti e finanziamenti, e da chi oggi guida qui il convoglio regionale, in primis la politica e gli altri a seguire. Trasformare la zavorra in energia produttiva non è impossibile. Occorrono capacità e coraggio e nella fase di avvio un sostegno della comunità nazionale senza scomuniche ed offese. Magari anche il ministro Brunetta potrebbe dare una mano in questa direzione. O no?

 

 
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Ciò che di Napoli sorprende e preoccupa è che è una città ormai incapace di indignarsi.

Post n°388 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

Il caso di piazza Garibaldi ridotta a lurido suk di stracci ed a discarica umana del troppo pieno di una immigrazione disperata e incontrollata, sede di cantieri eterni e di opere “virtuali” che non vedremo mai,  è esemplare e non è l’unico.  A farne l’elenco, delle tante piazze Garibaldi, in centro ed in periferia, non si finirebbe più. Tra opere incompiute o annunciate e mai iniziate, tra il cimitero di Napoli est, il sogno svanito del water front, il tram veloce che non ripartirà, il metrò museo che non decolla, Bagnoli e Coroglio impantanate in inimmaginabili grovigli, gli anni e gli errori per un tratto breve della via Marina, le difficoltà per abbattere e figuriamoci per sostituire, le Vele a Scampia,  il degrado indicibile delle strade e delle periferie e l’abbandono del centro storico dove i “bassi”,  Montecalvario, i Quartieri Spagnoli e tantissimo altro, testimonianza indiscutibile di incapacità, imperizia, impotenza amministrativa (che altro se no?), tra traffico caotico e anarchia quotidiana, tra cortei quotidiani di disoccupati e immondizia non raccolta e sfregi piccoli e grandi alla vivibilità cittadina, com’è possibile che la città non abbia reagito non abbia protestato non si sia ribellata chiedendo nelle forme civili del dissenso e della militanza civica una svolta radicale? Perché i napoletani, che non si sollevarono neppure quando le montagne di immondizia arrivavano ai primi piani delle case,  lasciano che la loro città vada in malora?   C’è una Napoli incivile, del degrado fisico e umano, del disordine, della sporcizia, del menefreghismo, dell’incuria e del disprezzo per tutto ciò che è pubblico, cioè di tutti. C’è una Napoli acefala, sciatta, refrattaria alle regole, una città chiusa in se stessa, che si crogiola nei suoi difetti, ma aperta a tutte le peggiori abiezioni in tema di comportamenti pubblici, pronta a ribellarsi più allo Stato che alla camorra, più alla polizia che allo scippatore, più al vigile che al vù cumprà. Che tollera tutto, dalla maleducazione alla criminalità, perché si è ridotta a fare dell’a-legalità una risorsa, e dell’illegalità un fattore di crescita. È orami una isola in cui la diversità col resto del mondo, Italia, Europa, anche quando per lo sprovveduto osservatore si tinge di folklore, non riesce più a nascondere la sua miserrima realtà fatta di vizi diffusi, di infezioni purulente, di patologie endemiche. Un luogo non allineato con la modernità perché incapace di raggiungerla, di costruirne una adatta a se, e, nel contempo, incapace di essere una città all’antica, bonaria, generosa, accogliente,  magari valorizzando la sua storia, il suo patrimonio, la sua bellezza, la sua cultura. Esempio raro, la città con le sue classi dirigenti, di stupido, colpevole, miope, spreco delle risorse. E c’è, di conseguenza, una città povera,  che non cresce, che non produce, che anzi ristagna e s’adagia tra clan e sottosviluppo, con una èlite che si isola, va a Capri e si guarda l’ombelico ed una moltitudine che affolla  i suk del falso di Toledo e via Caracciolo. Una infelice proletarizzazione di massa. Riusciremo a venirne fuori?  La cosiddetta “società civile” o vola troppo alto o si mescola nel brago quotidiano. Sostanzialmente è parte dell’andazzo, salvo eccezioni. Gli intellettuali sentono il peso delle proprie responsabilità e menano il can per l’aia, non dicono e spesso neppure vedono la verità, sono sempre organici a qualche cosa, in genere poltrone e consulenze e, tranne eccezioni, sono schierati. Gli imprenditori pensano ai loro affari e comunque, fino a ieri almeno, sono stati saldamente seduti a tavola. I sindacati, quando non hanno fatto parte del coro, sono rimasti ai margini, silenti e acquiescenti,  salvo il recente coraggio di Cisl e Uil su Fiat- Pomigliano. I partiti hanno scelto l’opzione gestionale ed hanno rinunciato a quella politica. Se parliamo del centro sinistra c’è poco da aggiungere a quello che è sotto gli occhi di tutti. Per il centro destra è ancora presto per dare giudizi, ma in alcuni casi le premesse sono allarmanti.  Dunque questione sociale e questione civile si sovrappongono e si fondono rendendo ardua la risalita. Ammesso che qualcuno abbia la voglia di risalire e non si sia già sottomesso alla rassegnazione che così è, così deve andare e non c’è nulla da fare. Ma se così non è, sarebbe utile che si cominciasse a discutere sul come fare per uscire dall’abisso in cui la città è caduta. Come fare, con quali risorse e quali procedure. Magari cominciando proprio da piazza Garibaldi e dintorni, Non- luoghi di una città che sta perdendo se stessa.

 
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Da Mirabello alle urne il passo è breve

Post n°387 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

Come Cesare sul Rubicone anche per Fini a Mirabello il dado è tratto. Ormai la via è segnata , la crisi della maggioranza è irreversibile, il governo può andare avanti ma occorre un nuovo patto, i cinque punti di Berlusconi vanno bene ma si dovrà discutere nel merito, basta con la maggioranza a due gambe, oltre a Pdl e Lega c’è Futuro e Libertà, la legge elettorale va cambiata, la magistratura è “caposaldo di democrazia”, il Pdl è morto, resta “il predellino” e nascerà un nuovo partito che a Mirabello è stato concepito. Nascerà al momento opportuno ma è “in nuce”, anzi di fatto c’è.  Condizioni pesanti per Berlusconi, costretto a rinegoziare punti e virgole della sua azione di governo in una condizione di permanente precarietà parlamentare, col rischio di logorare anche l’alleanza con Bossi, restio, ovviamente, a farsi cuocere a fuoco lento.  Difficile che il Cavaliere accetti lo schema a tre della canzone di Aznavour  “ed io tra di voi”, cioè rischi di farsi intrappolare tra il capo leghista e la terza carica dello Stato, tra l’altro col pericolo che i due si mettano d’accordo per un dopo Berlusconi a firma Tremonti con l’appoggio di Casini e Pd. Non a caso domenica Fini ha trattato con i guanti gialli sia il senatur che il superministro dell’economia.   Berlusconi sa che il tempo gioca contro di lui. Oggi Bersani arranca, Di Pietro scalcia, Casini nicchia, Fini è ai primi passi, il fronte contro di lui non è un’alternativa di governo. Ma domani le cose potrebbero cambiare, le diversità attenuarsi, la rete di alleanze consolidarsi, un intesa trasversale farsi largo e quello che oggi sembra incomponibile diventare una opzione politicamente spendibile. Una “santa alleanza”  contro il presunto oppressore del “gioco democratico”, l’”affossatore” di una intera generazione, quella che oggi sta tra i cinquanta ed i sessanta, contro un “monarca” senza delfini. Una santa alleanza fatta di leader senza terra, corporazioni senz’anima, con dentro magistrati e sindacati e media, organi dello Stato e poteri forti, interessi economici e finanza, insomma il potente fronte antiberlusconiano finora battuto dai voti ma mai definitivamente vinto. Senza contare che già col governo in carica, con qualche mese di tempo, con i finiani una maggioranza  per cambiare la legge elettorale c’è già, almeno alla Camera, e che in molte Procure si lavora di notte per una nuova offensiva giudiziaria. Dunque Berlusconi dovrebbe agire con tempestività. Prendere atto che la crisi è irreversibile, serrare i ranghi, puntare alle elezioni. Naturalmente c’è Napolitano, un presidente che non fa il notaio, ma che neppure è Oscar Luigi Scalfaro. A lui spetta sciogliere le Camere. Prima di farlo verificherà che non ci sia una maggioranza alternativa a quella votata dagli elettori. Maggioranza politica non numerica. Quest’ultima, peraltro, inesistente al Senato. Cos’altro potrebbe fare il Capo dello Stato se non prendere atto che un governo senza Berlusconi non c’è e che l’unica è ridare la parola agli elettori? Senza contare che un esecutivo fatto da chi ha perso nelle urne con quelli che hanno vinto all’opposizione, sarebbe davvero un azzardo improponibile. Dunque, a meno di imprevedibili novità, si va verso lo scioglimento. Che sia un bene o un male lo sapremo, come dice un'altra canzone, “solo vivendo”.

 

 
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Se “questione sociale” e “questione criminale” si saldano

Post n°386 pubblicato il 29 Novembre 2010 da corvo_rosso_1

c’è il rischio che la santabarbara meridionale salti definitivamente in aria. Non per fare allarmismo e neppure per enfatizzare quella che forse è una trovata di pessimo gusto di qualche capataz pseudo sindacale ma l’appello dei dipendenti dei Consorzi di bacino per la raccolta dei rifiuti (sic!) della Regione Campania in sciopero, alla camorra affinchè risolva i loro problemi è un fatto di gravità inaudita che la dice lunga sul rischio di espansione di quella che definisco una dimestichezza diffusa con la illegalità e addirittura con la criminalità. Il sud è ridotto veramente male a cominciare dalla sua capitale Napoli. Viviamo in un contesto in cui l’anarchia ha sostituito la democrazia e vige una a – legalità che scivola con frequenza crescente verso l’illegalità e la criminalità. Spiace dirlo ma gomorra è tra noi, la percepiamo anche nelle piccole cose e, soprattutto, la troviamo trasversalmente ormai stratificata in comportamenti singoli e collettivi quelli che appunto fanno di Napoli non una città “diversa” come sostengono molti intellettuali che parlano a schiovere,  ma malata, infetta, border line col mondo civile, per molti aspetti dentro ed oltre il terzo mondo.  Prendiamo il lavoro. Primo ci sarebbe da chiedere conto del perché l’economia campana è al di sotto della media delle regioni meridionali ed i disoccupati sono cresciuti più che altrove (quelli ufficiali sono oltre duecentomila),  nonostante il fiume di danaro ricevuto nell’ultimo decennio, qualcosa come venti miliardi di euro. Secondo ci sarebbe da chiedere di chi la colpa di aver bruciato risorse (60 milioni di euro circa in due – tre anni) in modo assolutamente improduttivo per alimentare sacche di disoccupati “organizzati” ai quali è stato promesso un  “posto” che naturalmente nessuno è in grado oggi di dare. Terzo chi “organizza” e perché i disoccupati, alcuni, naturalmente, una piccola minoranza , appunto tre-quattro mila rispetto ai duecentomila censiti. In nessuna altra città d’Italia o di Europa o del mondo si è mai registrato un fenomeno di questo tipo che invece a Napoli nasce nel lontano 1975 e continua in varie forme tuttora. Chi c’è dietro? Possibile che non ci sia risposta a questa domanda? Quarto , vogliamo rifare la storia dei consorzi di bacino, una storia sciagurata che ha prodotto disastri economici ed organizzativi qualcosa di cui una comunità civile e minimamente reattiva dovrebbe vergognarsi ( invece non frega niente a nessuno ed i relativi processi languono, dall’inizio avviati per la prescrizione, con la complicità di amici e sodali della casta e, nel disinteresse generale), i consorzi, “spazi” nei quali si sarebbe verificato il patto politica-affari- camorra, “luoghi” tuttora inesplorati nei quali addirittura si conterebbe una cifra vicina ai ventimila assunti ( i dati ufficiali mancano), con un debito che si avvicinerebbe al miliardo di euro.  Si dice che al punto in cui siamo è inutile insistere sulle responsabilità perché invece bisogna trovare soluzioni. Va bene. Ma se non si vogliono battere le solite strade del compromesso e delle sanatorie ex post, peraltro impraticabili perché sono finiti i soldi e nessuno ci fa più credito, poiché bisognerà stringere e chiedere altri sacrifici, è necessario che almeno due cose siano chiare ancorchè non punite (perché in certi casi la magistratura sembra la bella addormentata nel bosco): le responsabilità personali e politiche di chi ha operato in questi anni e le garanzie di chi governa ora che non si commetteranno gli stessi errori. Viceversa sarà difficile ottenere consenso e senza qualsiasi politica di rigore è destinata a fallire, con le possibili gravi degenerazioni di una gomorra generalizzata.  Sarebbe per esempio opportuno che invece di autorizzare scioperi, nell’ordine di due o tre al giorno, con la paralisi permanente della città, si entrasse nel merito delle singole vertenze per valutarne genesi , consistenza e legittimità.  E si potrebbe, per esempio, cominciare proprio da Consorzi per i rifiuti e disoccupati organizzati.  

 
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