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MOBBING E BURN OUT

Post n°4 pubblicato il 15 Gennaio 2006 da corrys1975

 

Il Mobbing è un fenomeno molto antico, seppure solo di recente sia oggetto di significative ricerche, che analizza le violenze nei posti di lavoro. Il termine letteralmente indica l’assalto di un gruppo ad un individuo. Deriva dal latino “mobile vulgus” che indica il movimento della gentaglia, della plebe dall’inglese “to mob” ossia aggredire violentemente. Quanto accade significativamente è stato definito con un termine dall’etologia, che sta ad indicare il comportamento aggressivo attuato da alcune specie di uccelli nei confronti dei contendenti intenzionati ad invadere il loro nido. Questi vengono accerchiati , spaventati, feriti, respinti. Nel mondo degli uomini, nell’ambito lavorativo, il collega può venire isolato, sabotato, deriso, sminuito, reso inutile. Di conseguenza il “prescelto” il capo espiatorio, comincia a provare disagio, a mettere in discussione il suo valore, a sentirsi insicuro, ad avere ansia, depressione o aggressività, spesso somatizzate. Può anche “perdere le staffe”, cosicchè la situazione scappa di mano e non si sa più chi è la vittima e chi il carnefice. È guerra totale. Di norma i rapporti si deteriorano e l’illusione che col tempo ogni cosa si risolverà, visione lassista di chi è del tutto inerme, può lasciare il posto all’invadenza del conflitto radicalizzato. I momenti di lotta aperta si alternano a quelli di ostilità meno apparenti, subdoli e striscianti, ma ugualmente gravi. Si devono i primi studi negli anni ’80 a Heinz Leymann, questi così lo definisce : “quella forma di terrore psicologico che implica un atteggiamento ostile e non etico, posto in essere in forma sistematica – e non occasionale o episodica – da una o più persone, eminentemente nei confronti di un solo individuo il quale, a causa del mobbing, viene a trovarsi in una condizione indifesa e fatto oggetto di una serie di inziative vessatorie e persecutorie che determinano considerevoli sofferenze mentali, psicosomatiche e sociali. Solo se queste iniziative vengono conpiute di proposito, frequentemente e per molto tempo, si possono chiamare mobbing”.

·       Le condizioni perché si possa affermare di essere inpresenza di mobbing sono dunque la presenza di atti aggressivi, la durata e la ripetitività. Per Leymann si possono distinguere tre forme di comportamento. Un gruppo di azioni verte sulla comunicazione con la persona attaaccata. Un altro gruppo di comportamenti punta sulla reputazione della persona attaccata, utilizzando strategie per distruggerla. Infine le azioni del terzo gruppo tendono a manipolare la prestazione della persona per punirla. La prima reazione che nel mobbizzato scatta è quella di autocolpevolizzarsi. La vittima continua a chiedersi in che cosa abbia sbagliato nello svolgimento delle sue mansioni o nei rapporti con i colleghi, tendendo a trovare in se stessa la causa di quanto sta accadendo. Successivamente si ha spersonalizzazione, fase in cui la persoma non conosce più se stessa, gli sfugge la propria identità. È nata una classificazione delle varie forme in cui il mobbing si presenta:

·       Mobbing di tipo verticale: la violenza psicologica viene posta in essere nei confronti della vittima da un superiore. Nella terminologia anglosassone questa forma viene anche definita bossing (quando è l’azienda che agisce nei confronti dei dipendenti scomodi con l’intento di ridurre gli organici) o bullyng (quando i somportamenti vessatori sono messi in atto da un solo capo). Il mobbing verticale sembra essere il più diffuso in Italia.

·       Mobbing di tipo orizzontale: l’azione discriminatoria è messa in atto dai colleghi del soggetto colpito.

·       Mobbing individuale: quando l’oggetto è il singolo lavoratore.

·       Mobbing collettivo: quando colpiti sono gruppi di lavoratori.

·       Mobbing dal basso sia individuale che collettivo: quando viene messa in discussione l’autorità di un superiore.

Le azioni “mobbizzanti” sono tra le più varie:

impedire al lavoratore si esprimersi

isolarlo, bloccando il flusso di informazione necessarie al lavoro, negare la sua presenza.

Attaccare la reputazione del lavoratore con ricorso ad umiliazioni, ridicolizzazione, calunnie.

Secondo Leymann il processo si sviluppa in varie fasi:

condizione zero: è la condizione di apparente stasi in cui il progetto di colpire la vittima è già nella mente del mobber, ma non è ancora posto in essere.

Conflitto mirato (vero e proprio mobbing): in questa fase le azioni del mobber si dirigono verso un soggetto bersaglio e si configurano in atti materiali lesivi.

Primi sintomi psicosomatici: il mobbizzato può presentare una lunga serie di disturbi, somatizzazioni e vere e proprie malattie che possono potrarsi per un lungo periodo o divenire croniche e irreversibili.

Errori ed abusi dell’Amministrazione del Personale.

Serio aggravamento della salute psicofisica della vittima

Esclusione dal mondo del lavoro.

Il Burn Out è il fenomeno con il quale il professore rischia di restare vittima della sua stessa motivazione al lavoro. La scelta scelta di un lavoro che piace garantisce la possibilità di giocare per tutta la vita, ma a volte il gioco coinvolge a tal punto da corrodere, da bruciare (ingl. To burn), chi vi si dedica. Ciò, più che mai, può accadere, quando il feedback che viene dall’altro, che con noi nel lavoro si relaziona, riflette il suo malessere, la sua sofferenza, il suo disagio. Paradossalmente più si fa del lavoro un fatto totalizzante su cui spendere ogni energia, un banco di prova del proprio senso di vivere, più ci si espone al rischio di bruciarsi.

 
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