Creato da franco_delogu il 23/09/2008

Giappo

racconti dal giappone

 

 

musica in giappone? meglio i laghi bianchi del silenzio...

Post n°13 pubblicato il 19 Marzo 2009 da franco_delogu

Il Giappone è un paese che mi fa vivere contrastanti emozioni. A volte mi piace e a volte no. Anche durante lo stesso giorno. Addirittura per una sua stessa caratteristica. E' raro che ci sia una cosa a cui io sia totalmente avverso o per cui mostri straripante entusiasmo perchè tutto qua è normale, nel senso che è nella norma, nella media, mai nelle code della gaussiana.... E' tipico del mio vissuto  giapponese non percepire l'estremo, il viscerale, ne in positivo, ne in negativo. Tutto è ok o mediocre, mai fantastico o terribile. Beh, non sempre. Non tutto. Qualcosa di estremo c’è. C’è una cosa che odio cordialmente.
E’ come una mosca in un pomeriggio d'estate sul divano:
fastidiosa, insistente, esteticamente brutta, inutile, insulsa.

La musica.

Non voglio essere frainteso, non parlo della musica giapponese, ma della musica in giappone, la musica della vita quotidiana in città, quella che non cerchi e che incontri, perchè ti cerca e, ahimè, ti trova lei.

 

C’è la musica usata come tappezzeria, smarmellata troppo forte in ogni supermercato, ristorante, centro commerciale. Usata come segnalatore acustico per le fermate della metropolitana. Con quella violenza gentile così tipica del Giappone. Senza rispetto per il fatto che non abbiamo nessuna palpebra per le orecchie. Una musica mielosa e appiccicosa, indelebile come un trauma infantile che ti accompagna nella mente anche quando non c’è più. E così ti trovi a cantare dentro la doccia la canzoncina “biccu biccu biccu biccu biccu cameraa” di bic camera, o il motivetto di seven eleven, o l’arpeggino in maggiore delle fermate della Yamanote line. Senza emozione, ne ragione di essere. Una musica senza musica. Vai al ristorante e te ne vuoi andare non appena hai finito di mangiare perché intanto una versione col flauto di pan della canzoncina del titanic ti fa affondare nella depressione. Passeggi e gli ingressi dei supermercati sono come discoteche, con buttadentro con megafono che cercano di coprire il jingle urlandoti le offerte nelle orecchie. Per avere un idea guardate, anzi ascoltate questo:

http://www.youtube.com/watch?v=qnihUx5AvkU&feature=related

E poi c’è il J-pop,  per essere felici, o malinconici, però non troppo, senza esagerare, giudiziosamente, con rispetto. Con quest’esercito di cantanti tutti uguali, spesso donnine dall’aspetto adolescente e sognante e dai vestiti di merletto, dall’intonazione perfetta e dal timbro clonato, accompagnate da musicisti concentrati sul loro compitino, che pure quando si agitano lo fanno in maniera stereotipata.
Niente di più lontano dall’africa e dai carabi, ma anche dal punk inglese o perfino dai gruppetti rock delle sale prova nella provincia italiana. Qua non vedo espressione, comunicazione, nemmeno l’ombra di eccesso.
Infatti anche la musica qui è arte del controllo. Con esecuzioni che assomigliano alle configurazioni delle arti marziali, da fare bene dall’inizio alla fine, senza errori. Che tristezza.

Insomma sia la musica marmellata che queste canzoncine romantiche mi fanno finalmente sbilanciare in un senso, negativo.

 

 

 
 
 

Roma vs Tokyo

Post n°12 pubblicato il 16 Febbraio 2009 da franco_delogu

Elenco non esaustivo di....

...cose facili a Roma e difficili a Tokyo:

sentire il clacson delle macchine
pestare una cacca di cane
la gente che parla nella metro
litigare con uno sconosciuto
comprare tre tipi di formaggio a cuor leggero
fischiettare senza essere notati
vedere qualsiasi cosa che abbia più di cento anni
vedere un uomo con la barba
vedere una macchina parcheggiata sul marciapiede
dare la mancia
fumare mentre si cammina per strada


.....e di cose facili a Tokyo e difficili a Roma

pagare una macchinetta automatica al ristorante
farsi il bidet mentre si è ancora seduti nel water
non avere paura a lasciare la spesa nella bicicletta per pigrizia quando entri in un negozio
sentirsi ringraziare 100 volte al giorno per aver fatto nulla
sentirsi ringraziare per avere chiesto qualcosa
sentirsi ringraziare, comunque, giusto per essere collocato fisicamente lì
vedere una dozzina di paia di scarpe di persone diverse ammucchiate in un piccolo spazio a casa tua
mangiare un tramezzino con fragole dentro
vedere donne che camminano con i piedi all’indentro fino quasi ad inciampare
vedere una fila intera di persone in metro che leggono mail al cellulare o giocano alla playstation
vedere una fila intera di persone in metro che dormono
per le donne giapponesi: NON sentirsi osservata per avere indossato una minigonna molto corta
per gli uomini giapponesi: NON indugiare con lo sguardo sulla minigonna di una donna
per le donne non giapponesi: NON sentirsi in imbarazzo per avere indossato una gonna molto corta
per gli uomini non giapponesi:  distrarsi in giro per strada…
mangiare scalzi al ristorante
vedere una donna adulta vestita da lady oscar, ma non è carnevale
vedere uomini con la borsetta da donna e/o enormi portafogli Louis Vitton nella tasca posteriore

 
 
 

atatakakatta

Post n°11 pubblicato il 28 Gennaio 2009 da franco_delogu

Immaginatevi una lingua dove per riferire cose del passato invece di cambiare i verbi  cambiano gli aggettivi. In italiano suonerebbe così:
invece che: "il the era caldo" diremmo "il the è cald-barbuzzo" dove barbuzzo vuol dire che la qualità (l’essere caldo) era posseduta dal nome (il the) nel passato. Il verbo rimane al presente. E’ l’aggettivo che è coniugato al passato.

quindi per esempio "ieri ero stanco" diventa "ieri sono stanc-barbuzzo".
la cosa si complica ancora se devo dire che "ieri non ero stanco"
infatti così diventa  “ieri sono stanc-non-barbuzzo” perché anche la negazione si piazza all’interno dell’aggettivo.


...insomma, tutto questo per dire che in giapponese per dire che il the (o-cha) era caldo (atatakai) dico:


“o-cha wa atatakakatta desu”


che in italiano, e in sardo, suona un po’ caco-fonico…

 
 
 

La spada di starwars e i lavori socialmente inutili

Post n°10 pubblicato il 15 Gennaio 2009 da franco_delogu

Cosa ci fanno tre o quattro uomini in divisa nei parcheggi dei supermercati, degli onsen, delle scuole, degli istituti di ricerca, degli ospedali? E perchè hanno dei manganelli luminosi simili alla spada laser usata dagli eroi di starwars? Quello che fanno è un mestiere importantissimo nel "pericolosissimo" Giappone. Loro sono gli angeli del parcheggio e le spade al neon rosso sono il loro immancabile strumento di lavoro. Gli omini, con l’aria più seria e professionale del mondo indicano con le loro spade di luce come imboccare correttamente la strada nel caso uno, non trovandola, scegliesse di sbattere contro il muro. E ancora, indicano dove dirigersi per trovare un posto libero nel parcheggio semivuoto, nel caso uno, non notando le strisce bianche a terra, decidesse di parcheggiare nell’aiuola o direttamente dentro l’edificio. Terza, e importantissima, funzione è quella di segnalare garbatamente ai giapponesi motorizzati quando c’è un pedone o una bicicletta in transito nel marciapiede nel caso che, in preda a distrazione o a istinto omicida, questi decidessero di metterli sotto. Grazie angeli del parcheggio! Il Giappone è un paese che vanta un altissimo tasso di  occupazione...ma qualche volta l'utilità di certe attività che si vedono in giro in città è di difficile comprensione per gli inesperti occidentali.

Ecco qualche esempio:

- omino che segnala con un cartello che la fila è finita.
Si piazza dietro l’ultimo in fila.  



- omino che interrompe la fila per far passare la gente
che la deve attraversare senza doverla fare



- omino che dice quante persone per riga devono stare in
una fila grossa



- omino con bandierina che dice ai pedoni di attraversare
perché la strada è interrotta



- omino con cartello in mano che fuori dal negozio indica
con il corpo le offerte



- omino che ti guarda e annuisce mentre ricarichi i soldi
della tessera della mensa



- tanti omini che guardano che nessuno si incastri nelle
porte della metro e che danno l’ok alla partenza



- tanti omini che spingono le persone dentro la carrozza
della metro quando è troppo piena





Ma gli angeli dello parcheggio sono i miei preferiti.

 
 
 

ONSEN!

Post n°9 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da franco_delogu
 
Foto di franco_delogu

E’ da un po’ che penso di scrivere qualcosa sugli Onsen, ma non lo faccio mai. Quello che mi muove a scrivere è che gli Onsen sono adesso la cosa che mi piace di più del Giappone. Quello che mi ferma è che non so raccontare cosa hanno di speciale. Gli Onsen sono i bagni termali giapponesi. L’arcipelago nipponico è terra vulcanica attivissima e per questo le acque calde emergono in pozze e fiumi caldi in diverse migliaia di luoghi in tutto il Giappone. Ai giapponesi quest’acqua calda piace da impazzire e qui è strapieno di Onsen dappertutto. Ce ne sono di tutti i tipi. A pagamento o pubblici, al coperto o all’aperto, in riva al mare e in alta montagna, in mezzo al brulichìo delle giungle urbane di Tokyo e Osaka e nei piccoli villaggi sperduti nei boschi. Ce ne addirittura uno dove fanno il bagno i macachi selvatici. Ma io non sono un esperto. Ad ora sono stato solo in soli tre Onsen, due a Akone e uno a Wako-shi, a tre minuti di bicicletta da casa.
Solo di questo racconterò.
Tu entri e c’è un atrio dove ti levi le scarpe perchè il pavimento è di legno e si va scalzi. Le scarpe le lasci in uno stipetto. Poi fai il biglietto e ti danno un braccialetto elettronico, non quello agognato dai politici di destra, ma quello che serve come identificativo per comprare qualsiasi cosa dentro la struttura. Oltre i bagni termali infatti c’è un ristorante e un centro massaggi, negozietti, etc... Vabbè, veniamo al bagno vero e proprio. Sali le scale e da li tutto diventa doppio e simmetrico, nel senso che a partire da un corridoio centrale di accede al bagno maschile e a quello femminile che sono quasi uguali, ma vicendevolmente inaccessibili alle persone dell’altro sesso. Quindi se vai solo, o con una donna, varcata la soglia ti trovi davvero solo tra i marziani. La prima volta in assoluto è un po’ scioccante. Ogni comunicazione è impossibile, un po’ per la lingua, un po’ per l’abilità tutta giapponese di ignorare completamene le possibili fonti di imbarazzo. E tu sei fonte di imbarazzo. Così il tuo corpo diventa trasparente: non ti guardano, manco per errore. Più il tuo corpo è diverso dal loro, più sei fonte di imbarazzo, più loro non ti guardano. Fare la cosa giusta e non risultare imbranato o peggio maleducato richiede buon intuito, grande sforzo di osservazione e di interpretazione. E allora fai come le scimmie: imiti i marziani. Vedi che gli altri si spogliano completamente e tu ti spogli completamente, loro mettono tutto dentro un mobiletto e lo fai anche tu. Si dirigono tranquilli, con mini-asciugamanino in mano verso l’ingresso dei bagni e lo fai anche tu. Facile no? Per niente! Nonostante l’attenzione rischi di sbagliare tutto comunque. E io la mia prima volta ovviamente l’ho fatto violando la legge più importante di tutti gli Onsen dell’impero del Sol Levante: prima di entrare nelle vasche ci si deve lavare. Per questo ci sono decine di box attrezzati di doccia, saponi, sgabellino e bacinella dove farsi una bella doccia. L’acqua termale è rispettata, ha qualcosa di sacro, sicuramente fa parte dell’affolato olimpo scintoista. Insomma per nessuna ragione si deve sporcare. Io ovviamente ne lo sapevo, ne ho visto i box, e così ho fatto splash dentro l’acqua termale. Sono rimasto con la pelle asciutta dal petto in su, compresi i (pochi) capelli per un bel po’, a testimoniare il mio gravissimo delitto! Per di più con una stupida espressione finto-rilassata nel tentativo di nascondere l’imbarazzo della novità e simulare competenza onseniana e lunghi anni di navigazione nella giapponesità. Chissà la repulsione della gente che divideva con me la vasca! Se ci ripenso rido di nuovo. Dopo la disavventura, di cui comunque sono rimasto inconsapevole per tutto il mio primo giorno di Onsen, è iniziata l’esperienza.
Le vasche sono abbastanza grandi per contenere una decina di persone. Spesso sono fatte di legni profumati, altre volte di pietre naturali. Altre volte ancora, quelle con idromassaggio o funzioni curative speciali, sono più asettiche e assomigliano a basse piscinette con gradini. Ci sono vasche caldissime, altre tiepide, una freddissima. Poi c’è sauna, bagno turco, letti di pietra su cui scorre l’acqua
Quello che devi fare è aggirarti tra le vasche, trovarne una che ha un po’ di posto, entrare e stenderti o sederti. E poi? E poi non devi fare più nulla. Semplicemente devi stare là. La mia prima volta dopo cinque minuti volevo morire. Io non sono abituato a stare fermo. E poi non puoi leggere. Non hai nessuno con cui parlare. Puoi solo stare fermo e farti non-guardare dai giapponesi che magari stanno pensando “che schifo! C’è un Gaijin dentro la mia vasca!”. Magari è una mia paranoia, ma mi sembra che spesso quando entro io qualcuno esce. Comunque…è qua che è avvenuto il miracolo di cui ringrazio il Giappone. Lentamente dalla noia è emerso un nuovo senso per quel non-fare. Sono riuscito a rallentare, poi a fermarmi e stare fermo dentro l’acqua. Pensare all’acqua, a quanto è calda, a stare comodo, a sudare, a non avere freddo stando seduto in una sedia all’aperto, senza niente addosso a dicembre. Vedere dove comincia a sudare il tuo braccio inizialmente asciutto dentro la sauna. Vedere quanto ci mette.
Poi mentre stai fermo puoi guardare quello che succede intorno. Sono strane tante persone nude che si aggirano, in quasi perfetto silenzio, tra acqua, pietra e legno. Sembrano tante scimmie, anche se molto poco pelose. Ci sono gli scimmioni grandi e i cuccioli di scimmie. I cuccioli più grandicelli si aggirano giocosi, quelli molto piccoli non si aggirano e stanno avvinghiati al genitore. E’ strano stare là, senza compagnia, senza linguaggio, senza vestiti. Nudo in mezzo a centinaia di giapponesi nudi. Con le risse e la discoteca, è il contesto che più mi ha fatto pensare all’animalità degli esseri umani. Ma mentre la sfida fisica delle risse e i rituali non verbali del corteggiamento in pista ricordano il comportamento degli animali, qua è il corpo in se a farmi pensare alla nostra natura. Corpo che deambula nella sua struttura di quattro arti, tronco e testa. Corpo, con le pance che sbilanciano la simmetria dei grassi, la grinzosità della pelle dei vecchi, i muscoli degli atleti. Senza scarpe costose o vestiti di lavoro. Centinaia di corpi giapponesi, tutti diversi che stanno in acqua perché è piacevole. Come il gatto davanti al fuoco. Con un piccolo asciugamano ripiegato in testa, a occhi chiusi.
L’onsen è pieno di sensazioni per il corpo. Vissute senza distrazioni. Puoi avere freddissimo e poi smettere di pensare di avere freddo in una vasca di acqua completamente fredda. Magari pensare a altro, alla tua vita, alla tua cena, e poi dopo minuti ricordarti di essere dentro una vasca di acqua fredda e…ri-avere freddo. Se poi passi dal freddo all’acqua calda senti i mille piccoli spillini della circolazione del sangue che riprende a correre veloce. Lì però rischi di svenire.
E ancora, puoi provare i crampi tremendi causati dalla vasca dell’acqua elettrificata che all’onsen di Wako-shi è la principale attrazione. Tutti fanno la fila per stare dentro l’acqua elettrica. Si siedono tra i due poli e si beccano una bella dose di elettricità che fa contrarre tutti i muscoli della zona immersa. Ho provato. Ovviamente non lo sapevo, mica si vede, l’acqua è calma, sembra innocente e amica. Del resto come fai a prevedere che l’acqua possa essere elettrificata? Ho urlato, pensavo ad un corto circuito, credevo di morire. Qualcuno ha riso, per un attimo ho smesso di essere l’uomo invisibile. La scossa elettrica è qualcosa a cui non riesci ad abituarti, ispira alla fuga e all’urlo. I tuoi arti si ritraggono contro la tua volontà e devi fare un grande sforzo per farli ubbidire dicendogli di rimanere fermi a prendersi una bella scossa. E’ come se centinaia di crampi ti cogliessero insieme. Chissà se, e perché, fa bene. Più ti avvicini ad uno dei due poli più l’intensità della scossa diventa insostenibile. Dopo lento e progressivo allenamento sono riuscito a stare al centro dei due poli. Mai sono riuscito però a poggiare una parte del corpo ad uno dei poli, cosa che gli altri fanno con una tranquillità incredibile.
Vabbè, la finisco qui se no diventa un romanzo.
Comunque se venite in Giappone andate all’onsen, è proprio bello.

 
 
 
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