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BENAZIRIn memoria di una donna coraggiosa FRAMCESCHINI E . Ho incontrato Benazir Bhutto a Londra, qualche mese fa, quando diede una conferenza stampa per annunciare la sua decisione di tornare in Pakistan, dopo molti anni di esilio in Gran Bretagna. Non l’avevo mai vista prima, dal vivo: era ancora bella come nelle foto e nei filmati televisivi di un tempo, con un’aria che sprizzava non solo intelligenza e determinazione ma direi anche allegria, ottimismo, fiducia nella vita. Da quando si era sparsa la voce che sarebbe presto rientrata in patria, per candidarsi alle elezioni presidenziali o per assumere la carica di primo ministro se il presidente Musharraf avesse accettato le sue condizioni per democratizzare il paese, una domanda la rincorreva in ogni appuntamento con la stampa: non ha paura? Non teme di essere assassinata? Giovanissima e bellissima, a trentotto anni, nel 1988, Benazir era stata la prima donna eletta primo ministro in un paese musulmano. Una novità rivoluzionaria per il Pakistan e per tutto l’Islam. Ma si può dire che lo shock di una donna che fa politica, da allora, è diventato ancora più grande. Fanatismo e terrorismo si sono diffusi come un virus nei paesi musulmani, cosicchè il ritorno in patria della signora Bhutto suscitava apprensioni ancora più forti di quelle create dalla sua prima ascesa al potere, vent’anni or sono. Lei, tuttavia, rispondeva sempre alla stessa maniera: “Non temo per me. Temo molto di più per la sorte del mio paese. Per questo sento che è venuto il momento di tornare, prima che sia troppo tardi”. Essendo tutt’altro che un’ingenua, era sicuramente consapevole dei rischi, e avrà certamente preso una serie di precauzioni: guardie del corpo, informazioni preventive con l’ausilio dei servizi segreti, forse anche quelli occidentali, americani inclusi. Ma a parte le ombre che da sempre si levano sui servizi segreti pakistani, nessuna protezione garantiva una sicurezza assoluta. Sono convinto che Benazir Bhutto sapesse che ci sarebbe stati attentati contro di lei in Pakistan, e che poteva morire. Eppure è tornata lo stesso, senza paura di morire. Mi viene in mente una battuta cinematografica, non ricordo di quale film, forse “Braveheart”, forse “Troy”, forse “300″, quando qualcuno avverte l’eroe di turno che, se farà una certa cosa, rischierà di morire e lo prega di non farla. Ma l’eroe risponde: “Tutti dobbiamo morire, prima o poi”, e fa quello che ha stabilito, o che per lui ha stabilito il destino. La morte di Benazir Bhutto, in questo senso, contiene una lezione per tutti, anche per quelli che sono chiamati ad azioni e scelte molto più piccole, più normali, delle sue: fare quello che si crede giusto, quello in cui si crede, senza preoccuparsi all’infinito delle conseguenze, senza trovare ragioni, più o meno valide, per rimandare, rinunciare, arrendersi. E l’altra lezione offerta dalla sua morte è che la sfida a cui il mondo libero è chiamato, contro fanatismo, estremismo, terrorismo di matrice islamica, sarà molto più seria, dura e dolorosa di quanto ci siamo resi conto finora. Non esiste protezione da questa minaccia, nè in Pakistan, nè altrove: il ventunesimo secolo sarà il “tempo degli assassini”, se non troveremo il modo di fermarli, e nella migliore delle ipotesi ci vorranno decenni. Benazir Bhutto si era laureata a Oxford, dove aveva presieduto l’Unione degli Studenti, quella che organizza dibattiti con i grandi della terra, una carica appartenuta a innumerevoli futuri primi ministri britannici. Uno dei suoi compagni di studi era Timothy Garton Ash, oggi commentatore del Guardian, di “Repubblica” e autore di saggi best-seller sugli affari internazionali. Nel suo ultimo libro, Garton Ash racconta, senza fare il nome, di un compagno di studi, futuro leader di una grande nazione, insieme al quale fumava spinelli a Oxford: forse, anzi probabilmente, era Benazir. Cerco di immaginare come fosse, la giovane Bhutto, a Oxford, negli anni Settanta. E adesso questa donna capace di vivere dentro due mondi, l’Oriente e l’Occidente, questa leader che vestiva i panni della modernità e della tradizione, questo eroe che non temeva per la propria vita, non c’è più. Speriamo di riuscire a onorare la sua memoria, lottando coraggiosamente come ha fatto lei, con il sorriso sulle labbra, contro i piccoli e grandi soprusi che ci circondano. RIFLESSIONI Finchè i moderati islamici non riusciranno a difendere e diffondere i valori universali della vita umana, temo che questo messaggio possa essere frainteso da tutti coloro che non conoscono l’Islam che viene predicato e praticato nelle aree tribali, nelle madrasse fuori controllo, che plasmano giovani menti nate in luoghi senza speranze effettive ma con la televisione satellitare in ogni angolo…. TESTIMONIANZE DAL BLOG ragazzi sono scoinvolto. a dubai sono stato parecchie volte a cena con benazir e posso assicurarvi che una donna, una persona così -indipendentemente dal suo credo politico- non meritava di morire, soprattutto in questo maniera. era una donna estremamente elegante, educata, riservata. ora posso solo augurarle di riposare in pace. mia madre ha parlato con il marito che stava partendo da dubai 1 ora dopo l’attentato. non vi dico come stava. |
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