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tibet in rivoltaTibet, la rivolta buddista
Marzo 2008. Lhasa, la capitale del Tibet, 3650m di altitudine, è in rivolta, la violenza dilaga. La Regione Autonoma del Tibet è rivendicata dalla Cina. La Repubblica Popolare Cinese invase quel territorio nel 1950 e nel 1959 si tentò di rapire il Dalai Lama, massima autorità anche spirituale, il quale si rifugiò in India. La repressione di moti popolari portò alla morte della metà degli abitanti di Lhasa (15 mila). Nonostante le distruzioni, la città contiene ancora opere di grande valore artistico. Una prima manifestazione anticinese e a favore del Dalai Lama, tuttora in esilio, si è svolta il 10 marzo scorso, nel monastero di Drepung, non lontano da Lhasa. Il 14 marzo è toccato ai monaci del monastero di Ramoche, nel centro della città. Ai manifestati religiosi si sono uniti dei civili e la polizia militare è intervenuta con i lacrimogeni. La protesta si è estesa ad altre aree, come le province del Qinghai e del Gansu. La polizia controlla alcuni monasteri, teatri della protesta. Testimoni hanno riferito dell’uccisione di un monaco e di una giovane manifestante. Sul numero di morti è guerra di cifre: 19 per Pechino, 100 per il governo in esilio in India, che chiede un’inchiesta dell’Onu sulla violazione dei diritti dell’uomo. Mentre a Pechino continuano i preparativi per le Olimpiadi di agosto 2008 e la Cina ha rieletto presidente Hu Jintao, il Dalai Lama chiede alle autorità cinesi di non usare la forza e ai tibetani di limitarsi a forme di protesta pacifiche e si dichiara disposto alle dimissioni. Contro la repressione violenta si è espressa anche l’Unione Europea. Dagli Stati Uniti un invito a Pechino affinché rispetti la cultura tibetana. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon sollecita tutti a evitare gli scontri. Infine il Papa, Benedetto XVI, invita a pregare affinché venga scelta «la via del dialogo e della tolleranza». Il 3 aprile è arrivata la notizia dal Partito Comunista del Tiber che Lhasa è di nuovo visitabile dai turisti. La protesta anticinese è durata dal 10 al 25 marzo. Tuttavia, l’Esercito di Liberazione Popolare (Pla) e della Polizia Armata del Popolo (Pap) presidiano ancora le vie che portano al Tibet, al Sichuan, al Gansu e al Qinghai. Sono in tutto 800 le persone arrestate dalla polizia e 280 quelle che si sono consegnate spontaneamente. Il 4 giugno il quotidiano norvegese Verdens Gang scrive di una mediazione segreta della Norvegia tra Cina e governo tibetano in esilio. Frattanto Pechino condanna sedici monaci tibetani coinvolti in tre attentati dinamitardi avvenuti durante le proteste di marzo. Le manifestazioni non si fermano. L’8 giugno centinaia di persone, in prevalenza monaci e monache buddiste, sono state arrestate dalla polizia nepalese durante scontri a Kathmandu.
8 Giugno 2008 |
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