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LA GIORNATA DELLA MEMORIA A PESCARA 25 GENNAIO 2010 ricordi dell'internato Ermando Parete

Post n°709 pubblicato il 26 Gennaio 2010 da dammiltuoaiuto
 

LA CONSEGNA DELLA MEMORIA DA EMANDO PARETE A PAOLO CARINCI
LA   GIORNATA DELLA    MEMORIA   A   PESCARA   25 GENNAIO  2010  ricordi dell'internato Ermando Parete

'
Sono sfuggito ai forni crematori solo perchè quel giorno gli aguzzini erano stanchi: avevano già bruciato troppi corpi'. L'inferno di Dachau è sempre vivo nel cuore di Ermando Parete, superstite del campo di sterminio della Germania nazista...'Io- ripete ossessivamente l'ex sottufficiale della Guardia di Finanza ( che oggi ha 83 anni e vive a Pescara) originario di Abbateggio,nel pescarese- sono vivo perchè ho resistito'...Ha resistito anche alla paura di morire 'legato ad un palo, al freddo, con le braccia dietro la schiena e i polsi appesi..'...'Mi picchiavano selvaggiamente , con la testa e le caviglie infilate tra le gambe di due soldati, il ventre appoggiato su un tavolaccio di legno..contavo in tedesco le frustate fino allo sfinimento e, se sbagliavo, loro ricominciavano daccapo. Dalle infermerie, dove qualcuno chiedeva di entrare per curare le ferite, non tornò mai nessuno..'. Parete è rimasto internato a Dachau dal settembre 1943 fino alle ore 18 (l'ex deportato abruzzese ricorda perfettamente l'ora) del 29 aprile 1945 quando gli americani aprirono i cancelli.'Eravamo affamati, ci diedero da mangiare delle fave...io pesavo 29 chili..'. Per oltre un mese rimasero fuori i cancelli, in attesa della restituzione della vita.'Eravamo liberi di fatto, ma ancora prigionieri. Non volevamo restare ma non potevamo andar via'. In quel lungo, estenuante, lasso di tempo 'che ci separava dalla vera libertà, facemmo anche la conoscenza del futuro Papa Paolo VI'. Parete, infatti, racconta che in quei giorni Giovanni Battista Montini (all'epoca 'responsabile dell'organizzazione che portava soccorso e sollievo ai rifugiati politici') fece visita ai deportati di Dachau. Nel libro la raccolta dei telegrammi originali custoditi da Parete: quello inviato dalla Croce Rossa alla famiglia di Parete per comunicare che il congiunto 'è stato liberato. Saluti e auguri..' e quello firmato dallo stesso Papa Montini in cui annuncia le 'buone condizioni di salute' in cui versava Parete al momento della liberazione dal campo di sterminio di Dachau.
"Ero l'uomo-numero 142192"
I ricordi dell'internato Ermando Parete
Tra i 600.000 "Internati Militari Italiani" vi furono numerosissimi abruzzesi: non tutti ebbero la ventura di ritornare e raccontare le allucinanti esperienze vissute nei campi di lavoro nazisti. Tra i superstiti vi è un pescarese, Fernando Parete, la cui vicenda, ricostruita attraverso i suoi ricordi e il suo memoriale, è stata oggetto di una brillante tesi di laurea di Claudia Trafficante, dal titolo: "In quel mondo fuori dal mondo" - Da Pescara a Dachau: storia di Ermando Parete, discussa nell'anno accademico 2004-2005 presso l'Università degli Studi di Torino, facoltà di Lettere e Filosofia (ringraziamo l'autrice per l'autorizzazione ad utilizzare brani del suo lavoro).
Non ancora maggiorenne, Ermando Parete nel 1942 si era arruolato nella Guardia di Finanza. Dopo il normale addestramento venne inviato a combattere in Jugoslavia: di quella esperienza Parete ricorda lo scarso equipaggiamento: "(…)hanno fatto la guerra, io c'avevo 72 pallottole, una volta sparate quelle… insomma era una cosa pazzesca".
L'armistizio dell'otto settembre 1943 colse i soldati in condizioni ormai di sbandamento generale: Parete e i suoi commilitoni vennero addirittura avvertiti del fatto non dagli ufficiali, ma da un pope ortodosso. Anche nell'undicesimo battaglione della Guardia di Finanza vi fu chi si dette alla macchia, chi tentò di tornare a casa, chi fece la scelta di continuare la guerra sotto la Repubblica Sociale Italiana o nella Resistenza: Ermando Parete si unì ai partigiani jugoslavi, con l'intento di attraversare il confine e tornare a casa.
A Cimadolmo venne catturato dai repubblichini, che gli proposero di passare nelle loro file, ma egli rifiutò perché:"mi sono sempre mantenuto fedele al giuramento della Guardia di Finanza"la stessa fedeltà al Regio Esercito e al re che onorarono migliaia di altri soldati italiani". Dopo questo rifiuto Parete venne inviato a Dachau (il lager nei pressi di Monaco di Baviera) chiuso in un vagone, senza possibilità di riposarsi, nutrirsi, respirare: come bestie, sempre in piedi. Il viaggio durò tre giorni e tre notti.
Arrivati al campo, i nostri connazionali subirono immediatamente le persecuzioni dei nazisti, che li consideravano alla stregua degli ebrei, quindi degli esseri inferiori anche rispetto ai russi. Il trattamento non era migliore nemmeno da parte degli altri internati, prigionieri di guerra o resistenti che fossero: essi chiamavano gli italiani "fascisti - macaroni", umiliandoli, insultandoli, picchiandoli. Parete ed altri vennero destinati a riparare la ferrovia, o a togliere le macerie, o a scavare: "L'importante era stancarti". Da subito maturò l'idea di conservare quei ricordi perché:"Se noi superstiti non diffondiamo la memoria di quello che è successo, a che scopo siamo rimasti là?".
Appena ritornato a casa dopo la liberazione, egli rientrò nei ranghi della Guardia di Finanza e redasse un prezioso memoriale. Prezioso perché nella narrazione sono presenti anche le descrizioni del campo e del suo funzionamento: i passi del memoriale sono stati scritti con un timore comune ai superstiti: quello che "Nessuno potrà mai immaginare cosa avvenne dietro ai reticolati ad alta tensione".
È da ricordare che Dachau non fu un campo di sterminio, anche se la mortalità era alta, a causa delle spaventose condizioni di vita, comuni in quei luoghi.
I ricordi di quei giorni sono stati ossessivi, perché "poi la vita ha pensato a ridarci le gioie, ma siamo rimasti soprattutto quel numero. Io sono essenzialmente uomo-numero 142192 di Dachau".
Come altri anche egli si è fatto cancellare quel tatuaggio (simbolo non di essere una persona, ma un "pezzo"), anche se non ha potuto cancellare i ricordi.
L'essere con tatuato il numero 142192, con addosso un cencio zebrato, a cui era cucito un triangolo rosso con la scritta IT (italiano), subì, come tutti, le minacce, le violenze, le torture, fra adunate e colpi di frusta, in un inferno il cui motto era "passerai per il camino dei forni crematori". Più volte fu sull'orlo di morire, o di essere eliminato (venne sottoposto due volte ad esperimenti "scientifici", tra cui l'ibernazione), ma il destino non volle così.
Finalmente, il 29 aprile 1945 i soldati della settima divisione americana entrarono a Dachau

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