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Messaggi di Gennaio 2008
Il Governo è quello che è. Tira a campare, mentre noi tiriamo le cuoia. Ma lo fa a fin di bene, per risanare l’economia italiana. Diventiamo più poveri per un futuro migliore e i risultati, non si può negare, sono sotto i nostri occhi. La nostra economia è come il conto al ristorante, si spera sempre che siano gli altri a pagare. Ogni governo affida al Governo successivo il conto e il banco prima o poi salta. Leggi tutti i post della "Casta dei giornali". dal sito di beppe grillo |
Bin Laden morto (per un lapsus?) Osama Bin Laden è morto? Secondo Benazir Bhutto, ex primo ministro pakistano uccisa in un attentato il 27 dicembre scorso, sì. Lo aveva rivelato proprio lei in una intervista al canale Al Jazeera. O meglio, nel corso di una intervista dello scorso 2 novembre ha detto che Osama Bin Laden «è stato assassinato da Omar Sheikh», noto ufficiale del servizio segreto militare pakistano ISI, considerato vicino all'intelligence militare pachistana e già coinvolto nell'inchiesta sul barbaro omicidio del giornalista Daniel Pearl. Omar Sheikh, alias Mustafa Muhammad Ahmad, sarebbe anche lo stesso uomo che nel 2001, qualche giorno prima dell'11 settembre, consegnò a Mohammed Atta, il capo dei dirottatori delle Torri Gemelle, una valigetta con 100 mila dollari e che, sempre secondo l'inchiesta ufficiale del Congresso, si trovava proprio a Washington durante l'attacco al Pentagono. Ma la notizia dell'assassinio di Bin Laden (non esattamente una notizia di secondo piano) non è mai stata nè confermata nè smentita da alcuna fonte giornalistica o politica. In realtà nessun media sembra essersene accorto. Fino a l’altro ieri. E nemmeno il giornalista collegato con la Bhutto chiede lumi sulla frase, come se fosse distratto, destinata a diventare un ennesimo mistero mondiale. Distratti come tutti gli altri che erano in studio o che hanno visto l’intervista in questione… La scoperta l'ha importata in Italia il giornalista Giulietto Chiesa che ha aperto il video su You Tube dopo la segnalazione inviatagli via email da un amico. «L'intervistatore, David Frost», racconta Chiesa, «è un giornalista esperto. Ma assorbe la notizia come se non l'avesse sentita. Non chiede nemmeno «quando?». Passa oltre. Sbalorditivo. Guardo il contatore delle persone che, nel frattempo, sono andate a vedere quel filmato: in quel momento sono 292.364. Altre decine di siti web stanno commentando quello che vedo io su You Tube». E Chiesa si domanda come sia possibile che dal 2 novembre, giorno dell'intervista,, ad oggi tutti i media abbiano taciuto la notizia. Ma c'è anche chi, come la Bbc ritiene che quella frase sia frutto di un lapsus della Bhutto e che in realtà la donna abbia confuso il nome di Bin Laden con qualcun altro. Secondo il canale inglese, infatti, la donna usa il termine "murdered", assassinato, parola carica di condanna morale. Perché dovrebbe condannare l'assassino di un terrorista della portata di Bin Laden? Inoltre la Bhutto in quella parte di filmato sta parlando di criminali efferati e a un certo punto elenca due di questi criminali: il primo ha decapitato sei turisti occidentali, il secondo... ha ucciso Bin Laden? Potrebbe quindi trattarsi di un errore, ma è certo che il giornalista in studio lascia correre e non chiede spiegazioni. C'è un altro elemento che potrebbe far propendere per uno strafalcione. Negli stessi giorni anche la Cnn ha realizzato una intervista con la Bhutto ma della morte di Bin Laden non c'è traccia. Anzi, ci sono informazioni che direbbero il contrario. La giornalista Whitfield domanda: «Do you Musharraf.... I'm sorry. Do you think General Musharraf knows where Osama bin Laden is?» (Musharraf...Scusi...Lei pensa che il generale Musharraf sappia dov'è Bin Laden?). La risposta della Bhutto: «I don't think General Musharraf personally knows where Osama bin Laden is» (No, non penso che il generale Musharraf sappia personalmente dove si trovi Bin Laden). La risposta data non fa certo presumere che la donna sia a conoscenza di dettagli circa l'assassinio del capo di Al Quaeda. Sta di fatto che la Bhutto è rimasta uccisa in un attentato sembrerebbe ad opera della stessa Al Quaeda. 17/01/2008 8.26 ECCO IL VIDEO DELL’INTERVISTA LA PAGINA DELL'FBI CHE DESCRIVE BIN LADEN COME UNO TRA I 10 RICERCATI PIU' PERICOLOSI AL MONDO (MA NON SI FA MENZIONE DEGLI ATTACCHI DELL'11 SETTEMBRE) |
Post n°257 pubblicato il 15 Gennaio 2008 da dammiltuoaiuto
Appello per Abou Elkassim Britel In sciopero della fame dal 16 novembre 2007 nel carcere di Äin Bourja, Casablanca di khadija anna lucia pighizzini
Abou Elkassim Britel, nato in Marocco e cittadino italiano dal 1999, è in sciopero della fame dal 16 novembre 2007 in un carcere marocchino. http://www.petitiononline.com/kassim/ |
Guantanamo : 1200 parlamentari del mondo ne chiedono la chiusura Oltre 1.200 parlamentari di tutto il mondo hanno sottoscritto l'appello per la chiusura del carcere di Guantanamo nel sesto anniversario del primo trasferimento di detenuti al centro americano in territorio cubano. L'inizitiva e' partita da Amesty International, che ha presentato al governo USA un programma - costituito da 13 raccomandazioni - per porre fine alle detenzioni illegali (a norma di diritto internazionale e in teoriaa anche a norma della Costituzione USA) nella guerra al terrore. Hanno sottoscritto parlamentari europei e nazionali, fra cui quelli di Israele, Giappone, Gran Bretagna, con una mssiccia adesione di Spagnoli (170). Il piano d'azione chiede il ripristino dell'habeas corpus (il diritto a sapere da un tribunale per quale motivo si sia detenuti), la cessazione delle detenzioni segrete, il processo di tutti i detenuti davanti a tribunali indipendenti e imparziali o, in alternativa, la liberazione degli internati di Guantanamo. "Le pratiche illegali adottate dal governo statunitense nella sua guerra contro il terrore - che si sono manifestate a Guantánamo e con il programma di detenzioni segrete della CIA - hanno promosso la pericolosa idea che si possano mettere da parte i diritti umani fondamentali nel nome della sicurezza nazionale", ha affermato Irene Khan. Peraltro, alcuni governi orientali, nordafricani o europei sono divenuti complici di tale politica nel momento i cui hanno permesso gli arresti illegali nel loro territorio, hanno chiuso un occhio davanti allo scalo degli aerei CIA nei loro aeroporti o sono stati teatro di torture per i prigionieri. ___________ NB: I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE PRELEVATI CITANDO L'AUTORE E LINKANDO |
In questo paese ormai tutto è lecito e tutto è concesso.Si rimane disarmati davanti a queste persone che decidono il nostro futuro senza chiedere il parere a nessuno ed infischiandosene dei principi costituzionali che poi con alterità ti propinano davanti allo schermo.Siamo diventati solamente numeri e più precisamente ognuno di noi è un numero per il mantenimento e la spartizione del loro potere diventato assoluto.In generale le democrazie nel mondo smentiscono se stesse costantemente ma qui in Italia si supera anche il minimo senso del pudore.Mentre sorridono davanti alle telecamere con sguardo ipocrita e furbesco ti fanno passare anche la più grossa porcheria come una cosa normalissima ed un atto dovuto al bene della collettività(vedi termovalorizzatori,legge elettorale,trasferimenti ed incompatibilità per De Magistris e Forleo etc...).Non so se riusciremo un giorno a venir fuori da questa situazione ma certo è che faranno di tuttto questi personaggi per ostacolare una società civile e basata sull'uguaglianza dei diritti,che aiuti i più deboli e non penalizzi i meritevoli.Una società in cui i propri politici possano essere motivo di orgoglio e non di vergogna. |
LETTERA APERTA - APPELLO
TUTTE LE ADESIONI SARANNO PUBBLICATE ON LINE E VERRANNO INVIATE AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, AL GOVERNO ED AL PARLAMENTO per aderire e sottoscrivere la lettera-appelo invia una e-mail con cognome, nome e città a: nograzia@genovaweb.org |
http://video.google.it/videoplay?docid=-6866557189571858559 Non sarà facile, e benchè sono sicuro della sua veridicità |
Italia: nazione a sovranità limitata. Il caso di Carlo Parlanti, cittadino italiano, ne è una manifesta controprova (anche se non serviva). I nostri cittadini possono essere arrestati ovunque, trasferiti coercitivamente in America e sottoposti a carcerazione preventiva senza indizi né, tanto meno, prove a carico: basta la denuncia personale di una vera o presunta parte lesa purché sia, come nel caso in questione, cittadina americana. Carlo Parlanti è rinchiuso da due anni prima in Germania, dove è stato arrestato su mandato di cattura internazionale (indovinate emesso da chi...) e, poi, in una cella di prigione Usa, senza che né le autorità governative italiane (per quel poco che si sono mosse...) né i suoi legali di fiducia (nonostante abbiano intrapreso tutte le vie legali possibili...) siano riusciti ad ottenere il benché minimo riscontro di obiettività giudiziaria. Carlo Parlanti è accusato, e per questo detenuto, di: violenza domestica, sequestro di persona, violenza sessuale ai danni della sua ex convivente Rebecca White. Denuncia effettuata dopo tre settimane dalle violenze lamentate e dopo essere stata lasciata da Carlo Parlante. Il tutto, solo - lo ripeto - su denuncia della stessa White, senza nemmeno un referto medico che attesti i dichiarati maltrattamenti ricevuti. Il nostro connazionale non si era trasferito negli Usa in cerca di avventura/e ma perché regolarmente assunto da una nota azienda multinazionale in qualità di “manager informatico”. Allo stato attuale, vive in una cella due metri per due, nel carcere di Wasco, in California. Questo è il diritto dell’Impero Usa. Craxi? Aveva osato far sparare addosso agli americani a Sigonella. Cemis? Una disgrazia: non ci sono colpevoli, al massimo irrisori risarcimenti. Callipari? Legittima reazione a fondati sospetti e pericoli. Carlo Parlanti? La sua parola di suddito dell’Impero contro quella di una Civis Statunitensus Sum: cosa volete che conti? È appena il caso ricordare che dopo l’11 settembre, negli Stati uniti è stato temporaneamente (dicono...) sospeso l’Habeas Corpus, colonna del rispetto dei diritti fondamentali e giuridici dell’Uomo. Pare (dicono...) per difendere l’America dai malefici altrui (dicono...). _______________________________________________ Leggere nel dettaglio la vicenda di Carlo Parlanti sul sito http://www.carloparlanti.it Testimoniate la vostra solidarietà a Katia Anedda, la sua compagna italiana, che da due anni si batte per la libertà di Carlo e per la giustizia sovrana degli italiani. Indirizzo di Carlo Parlanti - F25457 B-3-B-T08M PO Box 5500 Wasco State Prison FIRMA QUI LA PETIZIONE |
Indispettiti i vertici della Thyssen dopo la morte di 7 operai, nella
Poi si passa a esaminare la situazione dei 20 giorni di dicembre che hanno fatto seguito alla tragedia, durante i quali il sacrificio degli operai, le loro condizioni di lavoro, le dichiarazioni di dura condanna da parte delle istituzioni e delle forze politiche e sindacali italiane hanno occupato le prime pagine dei giornali e dei telegiornali. Ai vertici aziendali che dalla casa madre di Essen, in Germania, hanno evidentemente richiesto elementi per poter meglio valutare la situazione e per poter quindi decidere la propria strategia sia di comunicazione sia legale, lo sconosciuto relatore dell'analisi trasmette i propri commenti. Gli operai sopravvissuti al rogo e i compagni di lavoro delle vittime «passano di televisione in televisione » e vengono rappresentati «come degli eroi». Un fatto, quest'ultimo, particolarmente sgradevole, che impedisce ogni possibile misura di censura o di richiamo a questi testimoni, che sono ancora e a tutti gli effetti dipendenti della società, ma che in questo momento sarebbe inopportuno colpire sul piano disciplinare, anche se non si esclude di poter prendere in considerazione questa ipotesi per il futuro, dopo un'attenta analisi degli aspetti formali e delle rassegne stampa cartacee e televisive. Infine, nella lettera ritrovata all'interno di una valigetta nelle perquisizioni, si traccia anche un affresco della situazione politica italiana in generale, facendo notare come lo stesso governo guidato da Romano Prodi, che attraverserebbe comunque un periodo di «crisi», possa trarre vantaggio dall'estrema attenzione dei media sul rogo di Torino, che può esercitare, se non altro, un ruolo di calamita capace di distrarre l'attenzione dei lettori e dei telespettatori da altri e più urgenti problemi di politica interna Vera Schiavazzi 13 gennaio 2008 |
Birmania, San Suu Kyi incontra il ministro della Giunta militare
Attacco nella stazione ferroviaria della capitale: uccisa una donna RANGOON Alcuni testimoni riferiscono che la leader dell’opposizione democratica birmana, Aung San Suu Kyi, avrebbe lasciato questa mattina la propria abitazione, dove è agli arresti domiciliari, per un incontro con il ministro incaricato dalla Giunta militare di mantenere rapporti con lei. Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace, leader dell’opposizione democratica e del partito birmano della Lega nazionale per la democrazia ha trascorso 12 anni sotto custodia, per lo più agli arresti domiciliari. Suu Kyi, 62 anni, è stata accompagnata verso le 13 ora locale a bordo di un convoglio di auto verso la residenza governativa dove dovrebbe avvenire l’incontro. Si tratta del quarto colloquio di questo genere fra la leader dell’opposizione e il ministro Aung Kyi, nominato in ottobre al termine della brutale repressione da parte del regime militare di Yangon delle manifestazioni di protesta della popolazione, guidate dai monaci buddisti. Il 4 gennaio scorso, a margine dell’anniversario dell’indipendenza della Birmania, un portavoce del partito di Suu Kyi si era lamentato per l’assenza di progressi nel processo di dialogo avviato con la giunta. Bomba nella capitale: uccisa una donna Una donna è morta a causa dello scoppio di una bomba all’interno della toilette della stazione ferroviaria di Naypyidaw, il remoto villaggio nella giungla trasformato poco più di due anni fa nella nuova capitale del Myanmar dalla giunta militare al potere: lo hanno reso noto fonti della compagnia che gestisce l’impianto, senza fornire ulteriori dettagli. Si tratta del primo episodio del genere avvenuto a Naypyidaw da quando, nel novembre 2005, il regime birmano vi si trasferì dalla vecchia capitale Yangon, già Rangoon, 380 chilometri più a sud. Nell’ex Birmania gli attentati sono in realtà piuttosto frequenti, e i militari spesso li attribuiscono non soltanto ai militanti dei diversi gruppi etnici che si battono per creare propri Stati indipendenti, ma anche agli attivisti dei gruppi di opposizione che lottano per l’introduzione della democrazia nel Paese asiatico, sotto dittatura militare dal ’62. La ferrea sorveglianza esistente a Naypyidaw aveva però finora evitato che vi si verificassero attacchi dinamitardi, anche in occasione delle recenti proteste di piazza esplose in settembre, e stroncate poi dalla Giunta con una brutale repressione. |
In passato le catastrofi naturali, dall'inondazione del Polesine al terremoto del Friuli, provocavano il fenomeno degli sfollati. Oggi si assiste allo sfollamento della monnezza,
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Monnezzopoli/ Ecco le pecore alla diossina. Torna l'ombra di Seveso INDAGINI E DIVIETI- Partiamo dall’inizio. Siamo a Brusciano, un paese in provincia di Napoli, ed è il 2003. Il professor Iannuzzi inizia ad analizzare delle pecore. Sì perché gli animali, che pascolano tra Nola e Acerra, hanno dato alla luce un numero anomalo di agnellini deformi: logico chiedersi se ci siano danni genetici. Che vengono causati dalla diossina, specialmente la TCDD (tetraclorodibenzo-p-diossina), proprio quella sprigionatasi a Seveso più di trent’anni fa. Ora, secondo la legge italiana le diossine non devono superare il valore di 3 picogrammi (pg) per ogni grammo di grasso. E per la Tcdd siamo nell’ordine di 0,11 picogrammi per grammo di grasso. Limiti strettissimi il cui superamento importa il sequestro giudiziario dell’allevamento e, in seguito, l’abbattimento di tutti i capi. Parliamo di pecore, ma nell’elenco si possono aggiungere anche capre, mucche e bufale. IL RISCHIO DIOSSINA "SEVESO"? 13 VOLTE PIU’ ALTO DEL NORMALE- L’equipe di Iannuzzi lavora. E scopre dati interessanti: nell’allevamento di Brusciano gli animali hanno un livello di diossina relativamente basso, 5,2 pg/g di grasso (e dunque di poco superiore rispetto al limite legislativo che, come si è detto, è di 3 pg/g grasso). Ma nel caso della TCDD, i dati dell’Asl Napoli lasciano sconcertati. Perché il 71% dei campioni di latte controllati sono positivi alle diossine (dose superiore a 3 pg/g). E la TCDD rilevata nel 90% dei campioni ha dato valori medi di 1,4 pg/g. “Tale valore è circa 13 volte quello riscontrato a livello nazionale (0,11 pg/g di grasso)”. LE MUTAZIONI GENETICHE- Passiamo ora al sangue delle pecore di Brusciano. Anche qui i dati si commentano da soli: “incrementi altamente significativi sia del numero di anomalie cromosomiche, sia gli scambi intercromatidici (scambi e rotture di Dna, N.d.R.) alti quattro volte il controllo”. Cioè superiori ai tassi riscontrati nel sangue di dieci pecore-campione che si nutrono su monte Matese, zona ritenuta sicuramente non contaminata. Antonino D'Anna |
Una storia nuova senza imperi Alex Zanotelli È la stagione dell'attesa, dell'avvento. |
AZIONI URGENTI CHIEDIAMO ALLA G-STAR DI INTERVENIRE PER ASSICURARE UN TRATTAMENTO GIUSTO AI LAVORATORI DELLA FIBRES & FABRICS DI BANGALORE Il 1 Dicembre un tribunale indiano ha richiesto l’arresto di alcuni attivisti difensori dei diritti umani della Clean Clothes Campaign (CCC) e dell’India Committee of the Netherlands (ICN), oltre che del direttore del provider Antenna. Gli attivisti sono vittime di ritorsioni legali da parte della Fibres and Fabrics International Pvt. Ltd. e della sua sussidiaria Jeans Knit Pvt. Ltd (FFI/JKPL), fornitori della G-Star (principale cliente) e, all’epoca delle violazioni, anche delle italiane Armani e RaRe, per avere fatto circolare informazioni relative alle gravi violazioni avvenute nelle unità produttive di Bangalore. Le violazioni riscontrate da un gruppo di esperti indipendenti sono contenute in un report dettagliato che potete leggere QUI Il 6 dicembre la G-Star, presente in Italia in numerosi punti vendita con lo stesso marchio e principale cliente della FFI, ha deciso di cessare le sue relazioni commercia li con la FFI/JKPL. Pur trattandosi di un primo passo importante, G-Star ha adesso la responsabilità di mantenere fede all’impegno di garantire un giusto trattamento per i lavoratori della FFI. Mentre andranno ad esaurirsi gli ordini in corso, la G-Star dovrebbe anche mettere in chiaro con la FFI che nuovi ordini potranno essere collocati se, e solo se, la FFI/JKPL ritirerà la denuncia e accetterà di aprire un confronto serio con le organizzazioni locali coinvolte. Per ulteriori approfondimenti cliccate qui Vi chiediamo di scrivere alla G-Star affinché: - si impegni a spostare gli attuali ordini di produzione assegnati alla FFI verso fabbriche vicine che abbiano l’intenzione di impegnarsi in una produzione socialmente responsabile e che diano priorità ai lavoratori della FFI qualora dovessero procedere a nuove assunzioni - comunichi pubblicamente alla FFI che il rispetto del codice di condotta della G-Star prevede anche il rispetto della libertà di associazione sindacale - affermi pubblicamente che denunciare sindacati e difensori dei diritti dei lavoratori per avere fatto circolare informazioni sulla violazione dei diritti fondamentali, restringendo nei fatti la libertà di espressione e di organizzazione, è incompatibile con la richiesta di rispettare la libertà di associazione sindacale - comunichi alla FFI che nuovi ordini saranno negoziabili solo se la FFI ritirerà la denuncia e accetterà un confronto con organizzazioni locali coinvolte Inviate le vostre mail di pressione cliccando su:http://www.cleanclothes.org/urgent/07-12-11.htm#action Scrivete nelll'oggetto FAIR DEAL FOR FFI WORKERS |
Arrestato difensore dei diritti umani in Cina Campagna “Pechino 2008: Olimpiadi e diritti umani in Cina”. Arrestato difensore dei diritti umani, appello on line di Amnesty International Italia |
Liberate il blogger Fouad Diversi blogger e giornalisti di tutto il mondo si stanno mobilitando per la liberazione immediata del popolare blogger saudita Fouad al-Farhan, messo in galera prima di Natale per aver scritto qualche post che non è piaciuto al regime. Il suo caso è finito anche sul Guardian, sul Washington Post e, oggi, sul New York Times. Imbarazzante, finora, il silenzio in Italia. L’email dell’ambasciatore saudita a Roma è ambasciatore@arabia-saudita.it. Il fax 06 8551781. in Mondo Blog Fouad Al-Farhan è un blogger arabo imprigionato dal suo governo per aver scritto sul suo blog fatti non graditi al governo stesso. Non ci voleva questo ultimo caso per scoprire che nel mondo, in paesi dove la libertà di espressione è un lusso, scrivere su un blog non è una attività priva di rischi per la propria sicurezza personale: è sufficiente seguire Advocacy, il blog di Global Voices dedicato alla censura dei blog nel mondo, per rendersene conto una volta per tutte. Cosa fare di fronte a fatti simili? innanzitutto è bene capire che l'opinione pubblica, quindi noi singoli individui, può - e deve aggiungo io - fare molto e incidere concretamente su questi accadimenti. Una pressione forte, esercitata nel momento opportuno, può innescare un meccanismo capace di piegare anche governi apparentemente immobili, come in questo caso. Si può comunicare civilmente il proprio sdegno all'ambasciata dell'Arabia Saudita in Italia inviando una email o un fax: ambasciatore@arabia-saudita.it e 06 8551781. Oppure si può scrivere un email al Ministro degli Esteri saudita e al corpo diplomatico negli USA inserendo i propri dati nel sito della campagna. Si può aderire alla campagna internazionale di sensibilizzazione interrompendo per un giorno le pubblicazioni del proprio blog, informando i propri lettori di quanto sta accadendo, invitandoli a far sentire la propria voce. Gli strumenti del social web dovrebbero servire a divertirsi ma anche a mobilitarsi dal basso quando è necessario. Ho saputo della campagna dal blog Advocacy, che consiglio di monitorare costantemente, e successivamente dal gruppo Facebook della campagna. FIRMA QUI |
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COCA COLA TERRORISTA Oggetto: Violazione diritti e libertà sindacali nelle imprese Coca-Cola – Colombia Noi sottoscritti, venuti a conoscenza dei crimini di lesa umanità nei confronti dei lavoratori appartenenti alla Organizzazione Sindacale Colombiana SINALTRAINAL (Sindacato Nazionale Lavoratori Industrie Alimentari), commessi da Forze paramilitari per conto delle imprese imbottigliatrici della Coca Cola in Colombia, Coca-Cola FEMSA (Ex Panamco) Vi comunichiamo che a partire da oggi non acquisteremo più prodotti del marchio Coca-Cola e ci faremo promotori di una campagna di sensibilizzazione e informazione verso altri consumatori finché non avranno fine le politiche repressive da Voi adottate nelle Vostre imprese . http://www.tmcrew.org/killamulti/cocacola/video.html http://www.tmcrew.org/killamulti/cocacola/ FIRMA LA PETIZIONE http://www.nococacola.info/firme/ PERCHÉ UNA COMPAGNA PER BOICOTTARE LA COCA-COLA di Eva Bonomini Nella regione di Santander, in Colombia, la Coca-Cola ha militarizzato i propri impianti - le fabbriche di Bucaramanga, di Cucutà – con la motivazione che "tutti i lavoratori della Compagnia sono militanti del Sinaltrainal", il sindacato colombiano dei lavoratori, promotore della campagna 'Audencia Publica Popular', che ha avviato un'azione giudiziaria contro il colosso multinazionale e le sue filiali in Colombia, presso la Corte federale di Atlanta nel 2002, sulla base di una legge approvata dal Congresso degli Stati Uniti nel 1789 e denominata ACTA (Alien Torts Claim Act). L'udienza Pubblica Popolare sulle politiche della Coca-Cola e della società controllata Panamerican Beverage- Panamco si realizza come strumento a difesa dei diritti umani e dei principi universali a favore della lotta contro l'impunità; cerca ugualmente di sostenere le vittime dei crimini di cui la transnazionale si macchia da oltre dodici anni. A Bucaramanga, il 7 giugno 2001, il manager del settore produzione dell'imbottigliatrice Panamco Colombia, Ignacio Quiroga Velasco - invitato a non ostacolare la tranquillità dei lavoratori iscritti al sindacato, che l'impresa aveva "trasferito" per subcontrattare i loro posti a nuovi operai assunti in modo temporaneo - percuote un dirigente del sindacato. Per questa aggressione il sindacato presentò una denuncia penale e il giudice incaricato, nel marzo 2002, condannò il dirigente dell’azienda alla pena di sei mesi di carcere e al pagamento dei danni. Assicurandone di fatto l'impunità, la Panamco trasferì il manager ad un altro impianto d'imbottigliamento. " Il funzionario rappresentante della Coca-Cola ha fatto appello alla sentenza - denuncia il Sinaltrainal - e una nuova sentenza ora lo assolve perché secondo il giudice non possono essere ritenute valide le testimonianze dei lavoratori in quanto “iscritti al sindacato". Guatemala, Filippine, Pakistan, India, Israele, Venezuela: sono soltanto alcuni dei molti paesi nel mondo i cui movimenti sociali hanno accusato la Coca-Cola di utilizzare l'assassinio, la violenza, la corruzione, la violazione delle leggi sul lavoro come strumento di persuasione e di controllo sui propri dipendenti. Fin troppe le forme di organizzazione sociale che continuano in molti Sud ad essere sterminate: indigeni, contadini, insegnanti, minatori, operai, sindacalisti uccisi, minacciati, licenziati perché si oppongono alle pretese degli investitori. La Colombia ne è diventata un simbolo, ogni anno vi vengono uccisi più lavoratori – soprattutto iscritti al sindacato- che in tutto il resto del pianeta. Continue le minacce di morte, gli arresti illegali, le intimidazioni, la contrattazione di gruppi armati utilizzata per reprimere l'esistenza di qualsiasi tipo di contraddittorio. La paramilitarizzazione degli impianti è inoltre garantita dall'azione d'infiltrazione di agenti tra gli operai con il compito di guadagnarsi la loro fiducia e spaventarli, separare gli uni dagli altri e allontanarli dal Sinatrainal, definita dalla transnazionale "un'organizzazione di sinistra in contatto con gruppi ribelli". Lo sostiene la Coca-Cola, che dagli anni '80 dispone nel paese di un gruppo di uomini d'intelligence. I dossier sui diritti umani testimoniano che le continue azioni dei gruppi paramilitari portate avanti con la complicità delle forze armate e dei corpi di sicurezza dello stato, servono alla multinazionale e filiali per obbligare i lavoratori ad abbandonare la difesa dei loro più elementari diritti, costringerli a rinunciare ai loro contratti di lavoro e imporre bassi salari ai nuovi, assunti per turni di lavoro inumani, senza garanzie ed abbandonati ad una precarietà totale. Questa politica fondata sul terrore permette alla Coca-Cola di aumentare enormemente i profitti, e abbassa i costi di produzione tramite l'esternalizzazione dei costi. Grazie ai contratti a tempo determinato, alla subcontrattazione dei servizi e all'outsorcing, la società di Atlanta evita di internalizzare i costi che le deriverebbero da contratti a tempo indeterminato, dal versamento dei contributi sociali per sanità e pensioni, dalle sanzioni di sfruttamento selvaggio verso i minori e dal rispetto delle leggi di preservazione delle risorse naturali. Il libero scambio comporta la separazione geografica tra i vantaggi derivanti dalla produzione e i costi ambientali, sulle spalle dei paesi del cosiddetto Terzo mondo, che sono dovuti all'aumento della quantità delle risorse, spesso non rinnovabili, messe in lavorazione. Ne è un chiaro esempio l'India, dove in un villaggio nel distretto di Palakkad la Hindustan Coca-Cola Beverages Limited ha sfruttato tutti i pozzi idrici esistenti, contaminandoli e compromettendo così l'esistenza di più di 750 famiglie di contadini. Gli adivasi, la popolazione indigena locale, hanno lottato duramente durante la primavera di quest'anno; per centinaia di giorni si sono ribellati alla devastazione compiuta dalla multinazionale, simbolo della peggiore globalizzazione, nella regione del Kerala. La lotta degli indigeni, appoggiata anche dai contadini dalit, i fuoricasta, ha a che vedere non tanto con il gusto dolciastro o il colore della bevanda, quanto con il disastro ambientale creato dalla fabbrica della ompagnia nel villaggio di Plachimada e dintorni. Aperto nel 1998, lo stabilimento portò un centinaio di posti di lavoro e altri duecento saltuari, ma per produrre bottiglie e barattoli ha prelevato dai corsi d'acqua e dai bacini idrici circostanti tra i seicentomila ed il milione e mezzo di litri d’acqua al giorno, la stessa acqua necessaria alla sopravvivenza della gente del posto. Al danno si aggiunge la beffa, quando gli adivasi si accorgono che la loro acqua assume il colore del latte cagliato e il suo odore diventa stomachevole, al punto da costringere un migliaio di abitanti a comprare l'acqua imbottigliata dalla stessa Coca-Cola a cinque rupie la bottiglia. Lo stabilimento restituiva infatti parte dell'acqua depredata durante il processo di risciacquo dei contenitori, contaminando le fonti, il terreno e le falde di tutta l'area. Il Forum di Resistenza Popolare, il comitato che si è opposto a questo abominio era disposto a intentare un vero e proprio assalto allo stabilimento ma c'è da stare attenti; la Coca-Cola dispone di tutte le autorizzazioni di legge e ogni violazione, a parte quelle relative ai regolamenti sanitari, potrebbe essere severamente punita. Più di 650 organizzazioni nel mondo si sono riunite in occasione delle assemblee popolari di Atlanta, Bruxelles e Bogotà nel 2002 per sostenere la lotta dei lavoratori e delle organizzazioni sociali contro le devastanti azioni condotte dalla Coca-Cola: per esigere il rispetto del diritto alla verità e alla giustizia su quanto accaduto; per chiedere il risarcimento integrale delle vittime mietute da una transnazionale che è un esempio della violenza con cui, ovunque nel globo, si impone la mondializzazione neoliberale. Il "Colectivo de Abogados" di Bogotà sta portando avanti la causa a livello legale e c'è da credere che andranno fino in fondo, visti i trascorsi e l'impegno del Collettivo, il cui presidente, Alirio Uribe Munoz, ha quest'anno ricevuto il prestigioso premio Ennal come miglior difensore dei diritti umani. Diritti violati sistematicamente da un modello di sviluppo unificante a causa del quale innumerevoli forme di organizzazione sociale, identità culturale e tradizioni millenarie vengono sterminate quotidianamente in modo indiscriminato e nel silenzio assoluto. "Pretendiamo che cessino e che siano punite" le azioni violente della Coca-Cola, si legge nella dichiarazione finale approvata dai partecipanti all'ultimo incontro di Bogotà. E' stato inoltre deciso di presentare alla transnazionale proposte di riparazione non tanto o non solo di tipo economico; sono proposte finalizzate al recupero del tessuto sociale sui luoghi di imposizione del conflitto, per non perdere la memoria collettiva di ciò che è accaduto. Per non monetizzare il valore della vita, del diritto ad una dignità vera, alla libertà collettiva: affinchè di quest'ultima non si accetti mai l'identificazione con il potere arbitrariamente concentrato e minacciosamente strumentalizzato nelle mani di un'oligarchia sovranazionale. Oligarchia a cui accordi come l'Omc (organizzazione mondiale del commercio) concedono il diritto di non riconoscere i diritti. E’ sulla base di queste motivazioni che lo scorso venti luglio è partita una campagna planetaria di boicottaggio contro la multinazionale più "presente" del globo, alla quale oggi si contrappongono centinaia di movimenti disseminati in ogni continente che hanno come obiettivo quello di smettere e far smettere il consumo di tutti i prodotti Coca-Cola. * Associazione A SUD, ecologia e cooperazione. |
Kiva: primi pagamenti pubblicato: venerdì 06 aprile 2007 da gianlkr in: Informazione Aveva suscitato interesse un mio post di qualche tempo fa sul microcredito di Kiva, ovvero il progetto per il microcredito per tutti. Avendo deciso di aderire personalmente a due progetti, con un prestito 25 dollari ciascuno, vi aggiorno su come stanno andando le cose. Il primo progetto al quale ho deciso di aderire, indipendentemente dalla fattibilità del progetto stesso, è stato quello che al momento nesessitava di meno denaro per partire. Ho così dato l’aiuto finale alla bottega di Alice, in Kenya. Il secondo sarebbe stato invece quello che mi avrebbe convinto maggiormente. E qui ho fatto davvero fatica a scegliere il candidato, tant’è che ne ho scelti due portando a tre il numero di programmi ai quali ho aderito. Mi è piaciuta l’idea dell’attività di commercio di cosmetici di Marjorie. La vanità femminile è una costante in tutte le culture, e se c’è chi crede che anche nelle situazioni di più difficili la voglia di apparire più belle ci sia, non può che avere tutta la mia ammirazione imprenditoriale. Sono stato colpito anche da Don Cesar, che porta il conforto della preghiera ai detenuti nonchè piccoli capi di abbigliamento. Il fatto di essere riuscito ad aprire un’attività legale all’interno di un sistema difficile, come quello carcerario ecuadoregno, mi ha colpito e mi ha fatto credere nel suo proposito. A distanza di due mesi, sia Marjorie sia Don Cesar sono stati in grado di ripagare parte del debito contratto. Nel mio caso su 25 dollari, Marjorie ne ha già restituiti 4,17 mentre Don Cesar 8,42. La cosa mi fa particolarmente piacere, perchè significa che le cose per loro stanno andando avanti bene. Qualche considerazione in generale. Spesso mi è stato chiesto se con Kiva ci si guadagna. Rispondo subito di no: si presta denaro che viene restituito senza interessi. Lo scopo di Kiva è quello di mettere in contatto privati che possono investire piccole cifre. Gli interessi su 25 dollari, se anche fossero da usurai, sarebbero davvero ben poca cosa. Non ne sono al corrente, ma non posso escludere che i contraenti paghino interessi per coprire le spese della rete che lavora al microcredito. Kiva chiede un contributo del 10% di ogni transazione. “Chiede un contributo” nel senso originale del termine, e non in quello che le compagnie telefoniche lo hanno trasformato: decidete voi se darlo o meno. Kiva non interviene direttamente ma si appoggia a partners che lavorano sul posto. Perchè l’ho fatto? Perchè ho avuto la possibilità di farlo. Perchè non amo l’assistenzialimo, i contributi “a pioggia” e perchè diffido degli aiuti internazionali. Perchè il prestito nella forma di microcredito aiuta l’economia permettendo l’accesso al denaro, spinge le persone a lavorare per migliorarsi e genera una spirale positiva. Ultima cosa. Il microcredito a livello mondiale viene ripagato nel 97% dei casi. Ad oggi Kiva ha il 100% di casi positivi. Un bel record, non trovate?
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