Un salto nel recente passato. Ad inizio del 2003 si verifica la scossa dal terremoto più grande della storia degli Iced Earth: Matthew Barlow, una delle più grandi voci in circolazioni, ha deciso di lasciare la band. Il segno indelebile di un tragico e mai dimenticato 11 settembre. Matthew Barlow non se la sente di proseguire una carriera che non potrebbe dare nulla al suo paese e così decide di proseguire gli studi e riprendere il suo impiego governativo. Scelte. Non è mai facile per un gruppo separarsi dal proprio cantante "storico" (o comunque dal carismatico front-man con il quale si è raggiunto un certo successo); vuoi perché a volte i fans proprio non digeriscono la sostituzione o perché la voce è uno dei pilastri sui quali poggia il song-writing della band, rimane il fatto che un cambiamento così evidente rischia di compromettere lo stato di salute del gruppo. In tutto questo, il nuovo album The Glorious Burden era già pronto e registrato con il precedente vocalist, ma Jon Schaffer sostiene di non sentire il cuore di Matthew Barlow in quelle registrazioni, perciò si mette alla ricerca di un potenziale sostituto. In pochi giorni la notizia: Tim “Ripper” Owens diviene, a tutti gli effetti, il nuovo cantante degli Iced Earth. Approfittando della sua fuoriuscita dai Judas Priest, l’abile Jon Schaffer se n’è prima assicurato i servigi per registrare nuovamente The Glorious Burden e successivamente è integrato nella band, non nuova a stravolgimenti di line-up. Infatti, tempo prima, anche il chitarrista Larry Tarnowsky aveva piantato in asso gli Iced Earth, perché voleva più spazio in fase di song-writing ed era stato sostituito da Ralph Santolla. Riepilogando, a tutt’oggi, la mitica formazione degli Iced Earth prevede: Jimmy Mc Donough al basso (tanto per cambiare, un altro “rientrante”), Richard Christy alla batteria, Jon Schaffer e Ralph Santolla alle chitarre e Tim Owens in vesti di cantante. The Glorious Burden è un album scritto e suonato col cuore: celebra gli Stati Uniti D’America, senza mai cadere nella banalità cinematografica tipicamente a stelle e strisce. Il tema centrale sono le guerre combattute dagli Statunitensi: dalla guerra di indipendenza, passando per quella di secessione, sino alla prima guerra mondiale. È Jon Schaffer a mettere in risalto un concetto chiaro come non mai: la guerra è terribile, lascia milioni di morti, ma la storia insegna che, in determinate circostanze storiche, si rivela inevitabile e talvolta persino decisiva per assicurare un futuro migliore ad un triste mondo malato, abitato, per giunta, dall’animale più stupido di sempre. L’uomo. Articolando parole riguardo il lato strettamente musicale ritengo sia necessario l'ormai consueto track-by-track.
The Star-Spangled Banner. Per chi non lo sapesse si tratta dell’inno nazionale degli Stati Uniti. Rivisitato, naturalmente, in chiave chitarristica, con la solista in primissimo piano. Purtroppo, è presente solo nell’edizione limitata ed in quella statunitense, non nell’europea regolare. Sventola una bandiera a stelle e strisce, è ora il momento di Declaration Day. Direttamente collegata alla precedente, di fatti, il finale concluderà il precedente inno nazionale, tratta della dichiarazione d’indipendenza della Stati Uniti del 1776 e della guerra sostenuta per ottenere la libertà.
Spazio ora al singolo estratto: The Reckoning (Don’t Thread On Me): incredibilmente ispirato con un riffing forsennato di tipico stampo “schafferriano” (i primi cinquanta e più secondi) che poi proseguirà grandiosamente in tutto il pezzo, e con delle maestrali vocals tirate di un Tim Owens al vetriolo - una delle rare volte in cui usa la sua voce in stile Judas Priest - ottimo come il drumming del “mostro-sacro” Richard Christy.
Sfortunatamente, anche Greenface è presente solo nell’edizione limitata ed in quella statunitense, davvero un peccato, perché si tratta dell’unica killer-track dell’album (alla Stand Alone, da Something Wicked This Way Comes, 1998). Riesce ad unire un riffing tipicamente heavy-metal con dei tempi terribilmente thrash, violenza allo stato puro. Attila, piuttosto, è una delle poche tracce ambientate fuori dagli States, ma non delude di certo. Nella strofa Tim Owens e Jon Schaffer sono efficacissimi, il chorus è alquanto epico con delle stupende backing vocals nelle quali compare anche il compianto Matthew Barlow. La settima traccia è Red Baron/Blue Max. Ascoltato, per la prima volta, il riffing iniziale rimasi assolutamente attonito: violento e cadenzato, suono moderno, innovativo, poco Iced Earth e, ciò nonostante, spettacolare. Non comprendo ancora quale sia l’apporto di Tim Owens a questo pezzo, ma sicuramente si tratta di una delle sue prove più efficaci. Per quanto riguarda la ritmica è difficile non restare a bocca aperta. Capolavoro. Il tutto condito, nel bel mezzo, da un assolo monumentale e schizoide di Ralph Santolla. L’augurio è che un chitarrista del genere non scappi come gli altri. Nuova ballata emozionale con Hollow Man: testo molto profondo, interpretazione vocale nella norma; mentre, la seguente Valley Forge regala un assolo corposo ed una dignitosa parte solista. Waterloo è il secondo pezzo ambientato al di fuori dagli States, e questa volta non è contenuto nella versione statunitense, ma solo nella limitata e in quella europea. Epico e solenne nel coro e molto ritmato nelle strofe. Fila liscio. La chiusura del primo disco è affidata, come già enunciato in precedenza, a When The Eagle Cries (Unplugged), presente solo nella versione limitata. Niente male.
Sotto con il secondo disco: Gettysburg (1863). Il ritorno della trilogia. In Horror Show (2001) erano state accantonate, ma con The Glorious Burden Jon Schaffer ha voluto fare le cose in grande: la bellezza di trentadue minuti per descrivere i tre storici giorni della battaglia di Gettysburg, con la partecipazione dell’Orchestra Filarmonica di Praga. In prima battuta: The Devil To Pay. La trilogia stessa è introdotta dall’inno degli Stati Uniti, stavolta completamente orchestrale; e quando il pezzo attacca si è introdotti in una dimensione molto rock. Tim Owens è strepitoso dall’inizio alla fine, descrivendo una prima vittoria dei Sudisti, e Jon Schaffer, appassionato di storia, ha lavorato per quattro per poter ricreare l’atmosfera della battaglia, davvero d’effetto l’interludio con canzoni storiche americane. Al secondo posto, Hold At All Costs che sunteggia un singolo avvenimento, cioè, una mossa improvvisa che permette di raggiungere un ragguardevole vantaggio all’esercito dell’Unione. Infine, High Water Mark: l’apice compositivo. Dall’inizio sussurrato, passando per la conversazione tra Lee e Longstreet e concludendo con le due strofe finali: quella dell’attacco dei Sudisti e quella delle recriminazioni del generale Lee, picco interpretativo di Tim Owens. Tirando le somme, un disco del genere non è per niente inferiore ai capisaldi della discografia Iced Earth. È l’ennesima certezza che pur cambiando i fattori stessi, il risultato non ne risente affatto. Immenso.
Ti sei messo e recensire tutti i dischi che non mi piacciono? :) Ho sempre considerato gli Iced Earth una buona band di seconda fascia, valida (i primi 4 album vanno dal discreto all'ottimo) ma non indispensabile per "capire" la scena metal, e in fondo abbastanza derivativa. La creatività di Schaffer però è andata costantemente in calando... le prime avvisaglie si sono avute con il primo disco dei Demons & Wizard, discreto con alcuni pezzi sfolgoranti, ma molto "di maniera"... senza sprazzi di genialità, senza nessuna sorpresa. Poi il francamente bruttissimo "Horror Show". Pareggiato in bruttezza dal secondo Demons & Wizard, che neanche la voce di Orso Yogi Kursch riesce a salvare... The Glorious Burden è leggermente diverso. Ho come l'impressione che Schaffer non sia più addentro alla scena metal come era prima... che non gli piaccia più il genere che suona. Magari sono fissazioni mie, ma tutti i pezzi più veloci, le classiche cavalcate Iced Earth... lasciano un po' il tempo che trovano. Non le definirei brutte quanto sciape, senza sapore. Tutto tecnicamente perfetto (fai bene a lodare il chitarrista, e Christy lo conosciamo), ma manca un po' l'alchimia di un vero gruppo. Bella solo "The Reckoning", molto priestiana. Ci si riprende con i pezzi più lenti... dove Ripper tira fuori davvero una classe immensa, neanche con i Judas aveva cantato così bene. Nulla mi toglie dalla testa però che con gli ICed Earth di oggi sia un talento sprecato... si vociferava tempo fa di un grppo con gli ex Pantera o con Zekk Wylde... ecco, quella secondo me sarebbe davvero la sua dimensione :) In ogni caso, bella recensione! Mi avevi quasi convinto a riascoltare il disco ;)
Non lo faccio di proposito. Era da un bel po' che non trattavo gli Iced Earth e così ho pensato di mantenermi sull'attuale. Anche se, in principio, volevo recensire Night of the stormrider (1992). Forse ti sarebbe piaciuto di più. Effettivamente, i primi quattro lavori di Schaffer & Co. sono su livelli altissimi, ma, come ben sai, appartengo alla frangia conservatrice che non ha disprezzato affatto sia Horror Show (2001) che tal Glorious Burden (2003). I cambiamenti nel suono sono sotto l'occhio (clinico) di tutti. Chi li ama, li segua. Gli Iced Earth sono stati troppo spesso denigrati. Troppo spesso confrontati agli Iron Maiden. Troppo spesso accostati a generi che non appartengono loro. In ogni caso, il progetto Demons & Wizards fa storia a sé. Il primo omonimo disco passi pure (Heaven denies era stupenda), tuttavia, il secondo non mi è piaciuto tanto. Intanto Schaffer esplora sempre aree nuove, probabilmente, discostandosi dalla "ghiacciata terra natale". Non è necessariamente un male. The Glorious Burden non contiene le rapide cavalcate di una volta, però, si è fatto apprezzare. Non ne avrebbero estratto anche un DVD. E sono, per giunta, fiducioso in un radioso futuro. Lascia che la band si restabilizzi (per l'ennesima volta). Ti ringrazio per i complimenti e infine ti chiedo... allora... lo riascoltiamo sto disco, o no?
Contrariamente a mister Cane_nero, di cui rammento, in merito, opinioni altrove espresse ;) io sono ben disposta verso la tua recensione che trovo, al solito, notevole. A dire il vero l'aspettavo come ci si aspetta "la domanda a piacere" all'esame di maturità. Perché a me "The Glorious Burden" piace. [Nessuna particolare comunione per il patriottismo statunitense, invero... e nessuno scomodo emotivo per l'inno d'apertura che manca nella versione europea che ho fra le mani]. Ma, a dispetto delle riduttive considerazioni dei più informati e dei più qualificati io lo promuovo. Si presumeva che la dipartita di Barlow avrebbe "sgrommato" il suono degli Iced Earth da quel lirismo simil-teatrale e terroso che aveva caratterizzato le parti vocali dei notori capolavori del gruppo. In realtà la presunzione ha servito quei maligni che nella progressione di una carriera ravvisano una replica atona, se non una svendita, di se stessi. I reazionari del metallo, insomma, forzando un po'. Perché a questo album, a parte la produzione "perfettibile" (?!), non manca tono, né spessore o ispirazione. La robusta tessitura ritmica (The Reckoning), i fraseggi solisti (Red Baron/Blue Max), il puntuale taglio della narrazione (Attila) e le lunghe articolazioni strumentali che raccordano, come fedeli passaggi di storia, preludi da apnea a calvacate di sanguigna tempera (Gettysburg 1863) ne descrivono l'attitudine potente ed espressiva. E ogni Iced Earth è interprete della celebrazione: accelerando, urlando, picchiando, studiando...
Questo è gossip. Cane_nero avrebbe dunque espresso in separata sede opinioni divergenti rispetto quella di stamane. Interessante. Cara Tarabaar, sono felice di constatare che non sono il solo a sostenere il lavoro degli Iced Earth e sono sempre onorato dei tuoi apprezzamenti. Notevoli, per l'appunto. Potrebbe essere il troppo patriottismo la pecca dell'album? Personalmente, non che mi interessi granché. In fondo, le storie sono ambientate ad arte e non ci vedo un doppio fine così spicciolo. La politica e la demagogia sono altro, rispetto la singola musica. E qui parliamo di "classe". Red Baron/Blue Max, Attila, The Reckoning, Declaration Day e ovviamente la trilogia Gettysburg (1863) sono la dichiarazione di intenti di una band che ha saputo superare le difficoltà, modificando poco o nulla le sue tendenze stilistiche, Matthew Barlow permettendo. La perdita è stata grave, ma bene assorbita dall'ingaggio di Tim Owens. L'attitudine metallica resta. Grinta e furore non mancano di certo. Il neonato quintetto ha ora la possibilità di confermare i buoni propositi di The Glorious Burden in un futuro lavoro. Che sia il Something Wicked This Way Comes (1998) degli anni Duemila? Lasciamo che il tempo faccia la sua parte.
Oh meo deo no! Fuor di pettegolezzo dicevo solo di sapere già come la pensasse Mr. Cane_nero in merito agli Iced Earth e a questo lavoro in ispecie. Coerentissimo. E preparatissimo.
(da bravo donnino ignorante evito un qualunque commento su quello che hai scritto...) figuriamoci se vi trascuro!! mai più di ora necessito di qualcuno che mi istruisca musicalmente! :-D Bacioni
Da bravo bimbo metallico ti invito perciò a leggere la recensione con attenzione e poi di procurarti (se vuoi te lo passo io su SoulSeek) il disco in questone. Non mi abbandonare, però. Bacini.
L'ennsimo programma peer-to-peer, attraverso cui si trova di tutto. E' ottimo per il metal. C'è quanto serve. Perché non lo scarichi? Ti lascio l'indirizzo, ok? www.slsknet.org/
Molti mi odieranno per questa opinione, ma a me Barlow non è mai piaciuto tantissimo. A differenza di Owens, che in questo disco prova di essere un singer valido e potente (a me nei Priest pareva fuori luogo, l'unico cantante dei Priest è Halford,punto). Un disco ben suonato, deciso, curato. Questo ciò che posso dire, anche se il mio genere è un pò diverso. Certo che Owens in un contesto più "cattivo" potrebbe rendere parecchio...Un saluto dal dj!
E' come la penso anche io, anche se non sono cosi' negativo su BArlow (buon cantante) e... Ripper mi piace pure coi Judas! Secondo me e' molto penalizzato da una produzione degli album (specialmente Demolition) indecente.
Ma figurati! Ti aspetto "preparata". E se ti occorrono "materiali"... così come per Saktii... c'è SoulSeek... insomma, scherzi a parte, se vuoi ascoltare qualcosa puoi scaricarlo da me. Problemi zero. Notte notte.
bello il tuo blog metallico ma se posso darti un consiglio tecnico... se puoi non usare un carattere così piccolo e inserisci molti più stacchi tra i paragrafi... data la lunghezza, non riesco mai a finire di leggere i post e perdo sempre il filo al "salto di pagina" e penso non sia un problema solo mio... un saluto :)
Innanzitutto, grazie. Mi piacerebbe allargare il carattere, ma, a volte, rischio di non far entrare tutto quello che scrivo. Vedrò di fare il possibile per rimediare a questo spiacevole incoveniente nel corso della lettura. Saluti.
Bella giornata... Ho letto le cose che vi scrivete con Cane_nero... Nessuno di voi ha però notato l'influsso di Mal e di Nilla Pizzi in alcuni riff... E secondo me, il Vianello ha fatto pezzi migliori... ehehheh
Allora? Che ne pensi? Io credo che gli Iced Earth abbiani fatto le cose migliori andando a riascoltare i vecchi dischi di Toto Cutugno, Albano Carrisi e Mino Reitano. Ma, sfortunamente, sono una "spanna" sotto. Peccato.
Riflettevo ancora su come possa considerarsi il dichiarato patriottismo del lavoro. Non riuscendo a concludere un che di interessante ti chiedo con tuo permesso: ma te li immagini chessò i Vision Divine alle prese con risorgimento italiano? Senza parole...
Patriottico, termine impugnato da chi ha scritto musica e parole, è di chiaro stampo soggettivo. I Vision Divine, però, obbligatoriamente con Fabio Lione (Rhapsody) alla voce, potrebbero rivelarsi incediari, se messi sulle tracce dell'età rinascente. Che ne dici dei Thy Majestie? Sono dell'idea che farebbero la loro porca figura.