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il peso dell'ambiente sulle spalle dei poveri

Post n°47 pubblicato il 12 Dicembre 2007 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

Un intervento di Joseph Stiglitz sulla
conferenza di Bali che dovrà definire il quadro per tentare di impedire il disastro
incombente del riscaldamento globale e dei mutamenti climatici
.

"Il
Protocollo di Kyoto è una conquista di grande importanza e, tuttavia, esso non
tocca il 75 per cento delle fonti di emissione: gli Stati Uniti, il paese che
più inquina, non lo ha ratificato. (Ora che il nuovo governo australiano lo ha
sottoscritto, gli Stati Uniti sono, tra i paesi industriali avanzati, l´unico a
essere rimasto fuori). Il Protocollo di Kyoto non contempla requisiti per i
paesi in via di sviluppo, eppure, in un futuro non troppo lontano, a questi
paesi potrà essere imputata la metà o più delle emissioni; e non prevede
inoltre niente contro la deforestazione che contribuisce quasi quanto gli Stati
Uniti all´aumento della concentrazione dei gas serra. Gli Stati Uniti e la Cina competono nella gara a
chi inquina di più. Gli Stati Uniti l´hanno vinta da parecchio tempo, ma nei
prossimi anni, la Cina
contenderà loro questo discutibile primato. L´Indonesia si colloca al terzo
posto per via della sua rapida deforestazione. Un´azione concreta che dovrebbe
essere decisa a Bali è il sostegno alla Rainforest Coalition, un gruppo di
paesi in via di sviluppo che chiedono di essere aiutati per preservare le loro foreste.
Questi paesi forniscono un servizio all´ambiente per il quale non sono
compensati. Per preservare le foreste hanno bisogno di risorse e di incentivi.
I benefici che deriverebbero a livello globale da un tale aiuto superano di
gran lunga i costi. Il momento in cui si svolge questa conferenza non è
propizio. George W. Bush, scettico da molto tempo sul riscaldamento globale e
da tempo impegnato a minare il multilateralismo, è ancora il presidente degli
Stati Uniti. A causa dei suoi stretti rapporti con il settore petrolifero, egli
detesta far pagare per le emissioni. Ciò nonostante, i partecipanti alla
conferenza di Bali possono trovare un accordo su alcuni princìpi guida per i
futuri negoziati. Tra questi, al primo posto, che le soluzioni contro il riscaldamento
globale richiedono la partecipazione di tutti i paesi. Secondo, che non ci può
essere chi non paga il biglietto e che quindi è possibile imporre e dovrebbero
essere imposte delle sanzioni commerciali – le uniche sanzioni efficaci di cui
può avvalersi la comunità internazionale – a quei paesi che non cooperano.
Terzo, che il problema del riscaldamento globale ha dimensioni tali da rendere
necessario l´utilizzo di ogni strumento disponibile. Nella soluzione devono
essere compresi incentivi migliori. Tuttavia, attorno a quale sia la strada più
efficace – quella delle quote e di un mercato dei diritti di emissione del
Protocollo di Kyoto oppure quella di una tassa sulla produzione dei gas serra,
la cosiddetta carbon tax – sussiste una furiosa controversia. Il problema del
sistema contemplato dal Protocollo di Kyoto è quello di stabilire dei tetti che
siano accettabili sia per i paesi sviluppati sia per i paesi in via di
sviluppo. Concedere dei vantaggi a livello delle quote di emissione è come
elargire denaro – potenzialmente centinaia di miliardi di dollari. Il principio
su cui si fonda il Protocollo di Kyoto – vale a dire che ai paesi che nel 1990
producevano più emissioni sia concesso di immettere anche nel futuro più gas
serra – è inaccettabile per i paesi in via di sviluppo, così come lo è anche la
concessione di maggiori diritti di emissioni per i paesi con un Pil più alto.
L´unico principio che ha una qualche base etica è quello che prevede pari
diritti di emissione pro capite (con alcuni aggiustamenti – per esempio, gli
Stati Uniti hanno consumato già la loro quota dell´atmosfera globale, quindi a
questo paese dovrebbe essere consentita una quota di emissioni inferiore).
Tuttavia, adottare questo principio implicherebbe un tale esborso dai paesi
sviluppati verso quelli in via di sviluppo che, purtroppo, difficilmente i
primi lo accetterebbero. L´efficienza economica esige che i paesi che producono
emissioni ne paghino il costo e il modo più semplice per costringerli a farlo è
una tassa sulle emissioni di anidride carbonica. Si potrebbe raggiungere un
accordo internazionale in virtù del quale ogni paese imporrebbe una carbon tax
basata su una aliquota concordata (che dovrebbe riflettere i costi sociali
globali). In effetti, è molto più sensato tassare ciò che non è virtuoso, come
l´inquinamento, che tassare le cose virtuose come il lavoro o il risparmio. La
carbon tax accrescerebbe l´efficienza a livello globale. Il sistema delle quote
di emissione e di un mercato di queste quote piace ovviamente ai settori
industriali che inquinano. Se da una parte offre loro un incentivo per non
inquinare, dall´altra, le quote di emissioni attribuite compensano buona parte
di ciò che questi settori pagherebbero in un sistema a tassazione. Alcune
aziende riescono persino a guadagnare da questo meccanismo. Inoltre, in Europa,
il concetto di tetti per le quote di emissione attribuite e del loro scambio è
consolidato e quindi molti sono restii a tentare vie alternative. Ciò
nonostante, non è stato ancora proposto un insieme di princìpi accettabile per
l´assegnazione dei diritti di emissione. Per alcuni ciò non rappresenta una
preoccupazione. Poiché i paesi in via di sviluppo sono destinati ad avere più
da perdere dei paesi sviluppati se non si fa niente riguardo al riscaldamento
globale, molti sono convinti che questi ultimi possano essere raggirati,
minacciati o indotti a sostenere un accordo globale. I paesi sviluppati
dovrebbero soltanto stabilire il prezzo minimo da pagare ai paesi in via di
sviluppo in cambio della loro cooperazione. I paesi in via di sviluppo tuttavia
sono preoccupati che un nuovo accordo globale sulle emissioni li collochi, come
tanti altri accordi internazionali, in una posizione di svantaggio. Alla fine
potrebbe prevalere la
Realpolitik. Ma il mondo di oggi è diverso da quello di
venticinque anni fa o da quello di soltanto dieci anni fa. Il fatto che in
molti paesi in via di sviluppo si faccia largo la democrazia implica che i
cittadini di questi paesi chiederanno un trattamento equo. I princìpi contano.
I partecipanti alla conferenza di Bali dovrebbero tenere presente che il
riscaldamento globale è una questione troppo importante per essere tenuta in
ostaggio da un altro tentativo di fare tirare la cinghia ai poveri."



 

 
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