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Veronesi, le sfide decisivegli anni della speranz

Post n°97 pubblicato il 28 Gennaio 2008 da giromapa

Da Repubblica
La lotta al cancro, senza illusioni, ma anche con la convinzione
di poter sconfiggere "il male". La storia di un protagonista


di DARIO CRESTO-DINA



BVeronesi, le sfide decisivebrgli anni della speranza  /B

Il professor Veronesi










MILANO
-Quasi sessant'anni fa Umberto Veronesi cominciava il suo lavoro di
oncologo all'Istituto tumori di Milano. Fra qualche mese, a aprile, si
ritroverà un'altra volta con i colleghi di tutto il mondo per scrivere
la strategia dei prossimi cinque anni di battaglia contro il cancro.
Saranno tutti disincantati e autocritici, un po' come gli illusionisti
che però restano convinti che dietro all'illusione si nasconda spesso
la verità. "Abbiamo garantito troppo, ma in buona fede. Questa volta
però vediamo delle promesse, dobbiamo investire i nostri sforzi nella
ricerca virologica, immunologica e genetica".




La scienza medica, grazie al supporto
della tecnologia, sta facendo progressi straordinari anche se su
piccola scala e soprattutto in laboratorio, ma si presume che i
prossimi dieci anni potranno essere decisivi nella lotta ai tumori,
anche se nemmeno i più ottimisti hanno il coraggio di annunciare il
traguardo di una vittoria finale. Il cancro resta la nostra più grande
paura, lo spettro numero uno per l'84 per cento degli italiani.
Esattamente come 50 anni fa, prima del boom tecnologico, prima dell'era
dell'iper-informazione sul web, prima che, con lo svelamento del Dna,
l'uomo si sentisse un poco più padrone del proprio destino.




Chiedo a Veronesi se siamo di fronte a
un grande equivoco o a una sfida impossibile. "Il cancro vive anche dei
suoi fantasmi. Io posso togliere un tumore dal seno di una donna, ma
non riuscire a strapparlo dalla sua mente. L'immagine del cancro va
oltre la dimensione delle cellule, è come un altro se stesso che si
sviluppa subdolamente dentro di noi, mentre il nostro corpo rimane
spettatore indifferente. Filosoficamente possiamo dire che la cellula
del cancro ha perso il bisogno di morire e poiché morire è una
necessità biologica, la sua immortalità va contro la natura. Crea una
serie di squilibri nell'armonica programmazione del nostro organismo".









Ora il compito dei medici e della ricerca è
ripartire da una sorta di paradosso difficile da fare accettare ai
malati. Che l'origine di questa cellula "supervitale" non è un evento
malefico, ma un semplice danno del Dna che i nostri geni non riescono a
riparare.




"Il problema in questo momento è che
non conosciamo tutti i nostri geni riparatori e tutti i meccanismi in
base ai quali essi si attivano o restano si potrebbe dire con le mani
in mano. E' un processo complesso da decodificare, riguarda varie
strutture cellulari e le loro interazioni, ma non ha nulla di arcano.
Purtroppo la maggior parte di noi confonde la non-conoscenza con la
maledizione e la colpa è soprattutto dei medici. Lo straordinario
progresso dell'oncologia non è andato di pari passo con l'attenzione
alla percezione e agli aspetti psicologici della malattia. Ci siamo
dimenticati di curare l'anima. Il rapporto tra medico e paziente è
inchiodato al tecnicismo e al paternalismo, mentre il malato ha bisogno
di ricevere spiegazioni, di essere ascoltato, di capire e di essere
capito".




La verità è che si continuano a
contare i morti, ma sul fronte degli oncologi, parrà cinico dirlo,
soprattutto i successi e le speranze. È un successo l'informatica
applicata alla medicina, in particolare la diagnostica per immagini che
permette di esplorare virtualmente tutto il nostro corpo per trovare
lesioni microscopiche, che neppure si immaginava potessero esistere
solo pochi ani fa. "Intervenire su queste forme iniziali, o addirittura
precancerose, equivale a guarire la malattia nella maggioranza dei
casi. È un successo la chirurgia radioguidata e robotizzata, che ha
aperto le porte a interventi chirurgici che rispettano il corpo e la
qualità di vita della persona. E' una speranza la ricerca virologica:
già conosciamo il legame fra virus e tumori e disponiamo del primo
vaccino anticancro per proteggere le nuove generazioni dal tumore del
collo dell'utero. È un successo la ricerca immunologica: stiamo
studiando come stimolare il sistema immunitario perché riconosca e
combatta le cellule tumorali, appunto come non self, proprio come già
fa con i virus, i batteri e le infezioni da cui siamo sistematicamente
attaccati".





Tra le promesse disattese ci sono
sicuramente quelle sui farmaci. I nuovi farmaci molecolari (i
cosiddetti intelligenti perché mirati selettivamente sulle cellule
tumorali) sono ancora pochi e le novità tardano a arrivare, più di
quanto si pensasse cinque anni fa, quando è cominciata l'autentica era
della genomica, dai laboratori al letto del malato. "Con la
chemioterapia tradizionale - dice Veronesi - oggi curiamo le leucemie,
i linfomi, molti tumori infantili e tipici dei più giovani, come quello
del testicolo. Funzionano le cure ormonali per i tumori della mammella
e della prostata. Ma per la maggioranza dei tumori solidi, la
chemioterapia ha un'efficacia limitata e in molti casi è troppo tossica
rispetto ai benefici che garantisce al paziente. Capita che per offrire
comunque una chance di cura, il medico scivoli nell'accanimento
terapeutico, senza tenere conto della situazione e della storia
personale del malato".





Gli ultimi dati sulla ricerca per la
lotta al cancro, noti per ora soltanto agli addetti ai lavori, sulla
situazione italiana sono contraddittori. Ogni cittadino italiano
investe due euro ogni anno, contro i quattordici della Gran Bretagna, i
quasi sette della Svezia e i 18 degli Stati Uniti. Il governo investe
54 milioni di euro (contro i 387 dell'Inghilterra e i 184 della
Germania), ma le nostre charity fanno di più, donando alla speranza 61
milioni di euro l'anno, generosità che ci colloca al quarto posto
europeo, anche se ancora molto lontani dalla vetta inglese (396
milioni). Dice Veronesi: "Siamo fra i paesi in cui la ricerca ha le
sovvenzioni più scarse, in cui la cultura scientifica è latitante, ma
allo stesso tempo la produttività scientifica è molto elevata. Questo
significa che ogni centesimo in Italia è speso bene e soprattutto che
se avessimo, accanto ad un volontariato forte, anche un investimento
pubblico adeguato, potremmo davvero conquistare un ruolo trainante in
Europa".





Nell'ottimismo c'è una statistica
che pesa come una pietra tombale. Il numero dei malati è in crescita in
tutto il mondo. "Prima di tutto va detto che l'incidenza della malattia
aumenta, ma la mortalità diminuisce. Fino al 1990 le curve di incidenza
e mortalità erano sovrapposte e in crescita costante, oggi sono
incrociate. Poi cambia la mappa del cancro nel mondo. Oggi
diagnostichiamo tumori occulti che forse non si sarebbero neppure
manifestati. Questo avanzamento diagnostico ha trascinato con sé un
tipo diverso di malattia. Per il seno, per esempio oggi le donne che si
presentano al medico con un tumore piccolo (T1 lo chiamiamo noi) sono
l'80%, mentre nel '75 erano tra il 15 e il 20 per cento. Questo vuol
dire che è aumentata esponenzialmente l'operabilità e con essa le
possibilità di guarigione. Certo la mappa è cambiata anche per i nostri
nuovi stili di vita. Restando nel mondo femminile, un tempo le donne
morivano per cancro dell'utero e dello stomaco. Oggi grazie al pap test
la mortalità per il tumore del collo dell'utero è crollata
drasticamente e, con il miglioramento dell'alimentazione, il cancro
dello stomaco è quasi scomparso. Sono aumentati però i tumori del seno,
perché il seno è diventato un organo in disarmo. Ancora non sappiamo
esattamente perché, ma siamo certi che il fatto che la ghiandola
mammaria lavori di meno (le donne hanno meno figli, li fanno in età più
avanzata e tendono a non allattare) aumenta le probabilità di
ammalarsi. E' il prezzo che le donne pagano per l'evoluzione del loro
ruolo. Tutti noi, del resto, paghiamo al cancro il prezzo della civiltà
industriale. Il tumore è una malattia ambientale".





"I cancerogeni che respiriamo sono
una percentuale minima: si stima che non più del quattro per cento dei
tumori sia dovuto all'inquinamento dell'aria. Più consistente è invece
il rischio legato a ciò che mangiamo: il 30 per cento dei casi è
direttamente legato all'alimentazione. Il rischio è duplice. Alcuni
elementi, come i grassi di origine animale, sono dannosi in sé e
inoltre sono un veicolo dei cancerogeni presenti nell'ambiente, per cui
funzionano da deposito. Fra gli animali domestici il gatto è quello che
più di frequente si ammala di cancro, non certo perché respira, ma
perché si pulisce leccandosi il pelo e così facendo ingerisce nel corpo
il fall out dei cancerogeni ambientali".





Come possiamo proteggerci? "Stiamo
attenti a ciò che mangiamo. Evitiamo l'iperalimentazione, limitiamo i
grassi di origine animale e gli eccessi di alcol. Teniamo presente che
accanto ai cibi pericolosi, ci sono anche alimenti protettivi come la
frutta e la verdura, in particolare le crucifere (cavoli, broccoli) e
le arance. Evitiamo di fumare, la sigaretta contiene otto tipi di
cancerogeni letali. Facciamo esercizio fisico che migliora il
metabolismo, e soprattutto non dimentichiamo i controlli di diagnosi
precoce. Per le donne: pap test a partire dai 25 anni, ecografia al
seno dopo i trenta, mammografia e eventualmente ecografia dopo i
quaranta. Per l'uomo: dosaggio del Psa dopo i 50 anni. Per i fumatori:
tac spirale dopo i 50 anni. Per tutti: colonscopia ogni anno dopo i
cinquanta e esame dermatologico della pelle almeno una volta nella
vita".














(25 gennaio 2008)

 
 
 
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