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Incontri segreti e voti promessi il pressing dei clan su Dell'Utri

Post n°728 pubblicato il 24 Luglio 2008 da giromapa

Da Repubblica.it
Calabria, 18 arresti hanno decimato i vertici delle cosche Piromalli e Molè
Contro il 41 bis i boss della 'ndrangheta cercarono di avvicinare anche Mastella
dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI




Incontri segreti e voti promessi il pressing dei clan su Dell'Utri

Il porto di Gioia Tauro










REGGIO CALABRIA -
È la trama della 'ndrangheta che vuole liberarsi dalle catene del 41
bis. Una ragnatela che dalla piana di Gioia Tauro si spande a Roma, si
infiltra nei ministeri, raggiunge i bracci delle sezioni speciali delle
carceri italiane. Promesse di voti, mosse e contromosse per convincere
quei deputati o senatori che "possono fare qualcosa", ricatti, maneggi
per ottenere immunità diplomatiche, spiate di magistrati.





Non si fermano davanti a niente e a nessuno i capi della 'ndrangheta
pur di diventare dei detenuti come tutti gli altri. I personaggi di
questo intrigo sono i Piromalli e i Molè, forse i "capibastone" più
potenti della Calabria. In una retata che da queste parti ha pochi
precedenti per "portata" investigativa - è anche la prima grande
operazione firmata dal nuovo procurarore di Reggio Giuseppe Pignatone -
la squadra mobile e i ros dei carabinieri hanno decimato con 18 fermi i
vertici di due cosche che erano state solo sfiorate dalle
investigazioni negli anni passati. Le "famiglie" che soffocano il porto
di Gioia Tauro, quelle che come dice uno dei boss catturati "hanno
insieme cent'anni di storia".





Sono loro, i Piromalli soprattutto, che in giro per l'Italia hanno
sguinzagliato avvocati e compari e consigliori per agganciare il
senatore Marcello Dell'Utri e l'ex ministro della Giustizia Clemente
Mastella. Il primo ha ricevuto quei "calabresi" in almeno in due
occasioni (alla vigilia delle ultime elezioni politiche), il secondo ha
chiuso ogni contatto con loro dopo la prima telefonata. "Maledetto 41
bis, sto tentando di tutto, voglio percorrere una strada segretissima
anche al Vaticano", sibila uno di loro al telefono. E poi dice: "Ho
cercato anche con la massoneria, per quanto riguarda eventualmente
l'intervento di un giudice molto importante".





È alla fine dell'anno scorso che i Piromalli decidono di muovere tutte
le loro pedine. È il 3 dicembre del 2007 quando dalla Calabria
organizzano per Antonio Piromalli e per il suo amico Gioacchino
Arcidiaco (entrambi arrestati nella retata di martedì scorso) un
incontro con Marcello Dell'Utri. Dal senatore di Forza Italia vogliono
procurare una sorta di immunità attraverso il conferimento di una
funzione consolare. Una qualsiasi. Vogliono mettere al sicuro Antonio,
il rampollo della "famiglia" con un passaporto diplomatico. In cambio
offrono voti e si mettono a disposizione per i "circoli" del senatore
nel territorio di Gioia Tauro. Prima di contattare Dell'Utri Arcidiaco
chiede ad Aldo Micciché, un ex dc della Piana riparato in Venezuela per
sfuggire a grossi guai giudiziari in Italia: "Come mi devo proporre a
lui?".
Gli risponde Micciché da Caracas: "La Piana è cosa nostra facci
capisciri (fagli capire, ndr), il porto di Gioia Tauro l'abbiamo fatto
noi. Fagli capire che in Aspromonte e tutto quello che succede là sopra
è successo tramite noi". E ancora: "Ricordati che la politica si deve
saper fare. Ora fagli capire che in Calabria o si muove sulla Tirrenica
o si muove sulla Ionica o si muove al centro, ha bisogno di noi. Hai
capito il discorso? E quando dico noi, intendo dire Gioacchino e
Antonio (Piromalli, ndr), mi sono spiegato? Spiegagli chi siamo, che
cosa rappresentiamo per la Calabria... io gli ho già detto tante cose".
Gli ribatte l'altro: "Gli dico: ho avuto autorizzazione di dire che
possiamo garantire per Calabria e Sicilia".





Dopo un primo incontro il 3 dicembre a Milano fra Gioacchino Arcidiaco
e Marcello Dell'Utri (c'è con loro l'avvocato di Genova Francesco
Lima), ce n'è un secondo a Roma tre giorni prima delle elezioni
politiche del 13 aprile. L'inchiesta sta ancora scavando fra i
retroscena di quei faccia a faccia, il senatore Dell'Utri sarà
ascoltato come testimone.





Gli emissari della 'ndrangheta si sono mossi anche su altri fronti per
provare ad avere uno "sconto" sul carcere duro. Contattano una persona
- "un mio compare", dice Micciché - vicina al senatore Emilio Colombo,
vengono costantemente informati che molti dei loro telefoni sono
intercettati - "c'è tutta la rete sotto controllo" - , fanno cenno "a
un amico a Palazzo dei Marescialli", ricevono soffiate da due famosi
magistrati in pensione di Reggio. Incontrano. Parlano.


Garantiscono.






È sempre Aldo Micciché che informa i Piromalli. Una volta racconta che
il deputato dell'Udc Mario Tassone si sarebbe "messo a vostra
completissima disposizione" e "che tira aria di elezioni e diventerà il
segretario del partito al posto di Lorenzo Cesa", un'altra volta
ricorda che anche "il consigliere regionale Gianni Nucera li aspetta a
braccia aperte per tutto quello che avete bisogno". Poi si agita per
Veltroni che in comizio ha detto di non volere i voti di mafia: "Avete
capito il discorso? Quelli hanno respinto ogni forma, ogni cosa".





Il vecchio Giuseppe Piromalli nonostante le tante "amicizie" è però
sempre in una cella, isolato nel carcere di Tolmezzo. È a quel punto
che Aldo Micciché tenta di "avvicinare" il Guardasigilli Mastella. Il
ministro riceve una telefonata sul suo radiomobile il 7 dicembre 2007,
in un primo momento non risponde a quel numero sconosciuto ma poi
richiama. Sente una voce, quella di Micciché: "Clemente mio, meno male.
sto cercando di fare il possibile per aiutarti. Vediamo se recuperiamo
sul Lazio e su Roma. ti mando Francesco Tunzi, già hai conosciuto anche
altri amici. Noi e nostri". Appena riconosce l'interlocutore che
accenna a possibili aiuti elettorali, il ministro interrompe la
comunicazione. Ma i boss della già da mesi si aggiravano intorno al
ministero della Giustizia.





Cercavano un varco. È sempre la condizione carceraria di Giuseppe
Piromalli a impensierirli. Riferiscono al figlio Antonio: "Tuo padre è
esasperato, e lo diventa ancora di più quando gli vengono toccate le
cose di cui necessita di più, cioè la corrispondenza... gli stanno
controllando pure i peli".





È ancora Aldo Micciché che comunica al figlio del boss: "Sia Antonella
Pulo, sia la Zerbetto e sia Francesco Borromeo mi hanno fatto capire
che tenteranno di fare quello che. sottobanco devono farlo, perché tu
sai che c'è stato un irrigidimento dopo gli avvenimenti che tu sai". La
prima - Antonella Appulo - è stata identificata come un'esponente del
movimento giovanile dell'Udeur. La seconda - Adriana Zerbetto - era la
segretaria del ministro della Giustizia. Il terzo - Francesco Borgomeo
- era a capo della sua segreteria. Millanterie dell'uomo di Caracas? È
un altro dei filoni investigativi ancora in corso di approfondimento.





Comunque è lo stesso Micciché che urla un giorno al telefono: "Sto
cazzo di ministro non si può muovere in nessun modo. Devo fare un'altra
strada perché è già quasi arrivato il giorno. Sennò siamo fottuti". Il
giorno che avrebbero dovuto confermare il 41 bis a Giuseppe Piromalli.
I boss parlano a ruota libero, tranquilli, forti del loro "servizio
informativo" È Arcidiaco che per una volta avverte Aldo Micciché:
"Praticamente ieri ci hanno chiamato e ci hanno detto che due settimane
fa hanno tappezzato la macchina di mio cugino Antonio dell'ira di Dio".







Pensano di poter dire tutto su altri telefoni, si sentono "protetti".
Aldo Micciché si lascia sfuggire: "Ho ricevuto una telefonata da Reggio
da persone che nemmeno ti immagini, molto, molto in alto. Dobbiamo
stare molto attenti. Lo sai chi è Peppe T. o Peppe V., sai chi sono
questi, sono gente legata a mani piedi culo e poi c'è l'altro
personaggio importantissimo". Tutti magistrati. Amici di altri
magistrati. Amici dei boss della 'ndrangheta.






(24 luglio 2008)

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