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Benedetto XVI: oggi l' unico e vero Maestro è Gesù Cristo

Post n°221 pubblicato il 13 Novembre 2011 da Alberto_Giannino
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Benedetto XVI: oggi l' unico e vero Maestro è Gesù Cristo  

 

Benedetto XVI ci ha invitato sovente con grandissima fede, gioia, serenità, e pacatezza, nel suo magistero autorevole in questi sette anni di Pontificato, a porre sempre lo sguardo su Gesù, l'unico vero Maestro, a fissarlo, ad imitarlo, a convertirci (metanoia) e a metterci sempre alla sua sequela. Lo ha fatto anche all'Angelus di domenica 30 ottobre quando ha affermato: "Egli pratica per primo il comandamento dell'amore, che insegna a tutti, e può dire che esso è un peso leggero e soave proprio perché ci aiuta a portarlo insieme con Lui (cfr Mt 11,29-30)."

Benedetto XVI all'Angelus ci ha invitato a pensare ai maestri che opprimono la libertà altrui in nome della propria autorità (Augias, Pesce, Odifeddi, Mancuso, Hack ecc.) e a questo riguardo per replicare al loro pensiero debole egli ha citato San Bonaventura, se stesso, e il sacerdote filosofo Antonio Rosmini.

San Bonaventura dice chi è l'autentico Maestro, affermando: «Nessuno può insegnare e nemmeno operare, né raggiungere le verità conoscibili senza che sia presente il Figlio di Dio» (Sermo I de Tempore, Dom. XXII post Pentecosten, Opera omnia, IX, Quaracchi, 1901, 442). «Gesù siede sulla "cattedra" come il Mosè più grande, che estende l'Alleanza a tutti i popoli» (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Milano 2007, 89). È Lui il nostro vero e unico Maestro! Siamo, pertanto, chiamati a seguire il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, che esprime la verità del suo insegnamento attraverso la fedeltà alla volontà del Padre, attraverso il dono di se stesso. Scrive il beato Antonio Rosmini: «Il primo maestro forma tutti gli altri maestri, come pure forma gli stessi discepoli, perché [sia gli uni che gli altri] esistono soltanto in virtù di quel primo tacito, ma potentissimo magistero» (Idea della Sapienza, 82, in: Introduzione alla filosofia, vol. II, Roma 1934, 143). Gesù condanna fermamente anche la vanagloria e osserva che operare «per essere ammirati dalla gente» (Mt 23,5) pone in balia dell'approvazione umana, insidiando i valori che fondano l'autenticità della persona."

"Cari amici, - ha proseguito il Papa - il Signore Gesù si è presentato al mondo come servo, spogliando totalmente se stesso e abbassandosi fino a dare sulla croce la più eloquente lezione di umiltà e di amore. Dal suo esempio scaturisce la proposta di vita: «Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo» (Mt 23,11)."

Benedetto XVI, come si evince dal suo magistero, nelle Udienze Generali del mercoledi, nelle Omelie, nei Discorsi, nelle Giornate mondiali della Gioventù, negli Interventi nei Messaggi, nei Viaggi apostolici in Italia e all'estero afferma chi è l'unico e vero Maestro. E lo ha fatto anche nel recente passato scrivendo due libri su Gesù di Nazareth che, a dire del Papa, sono solo un contributo di un insigne studioso per conoscere Cristo e ha dichiarato che essi non fanno parte del magistero della Chiesa: sono due libri che ha scritto come teologo, ma non chiede di leggerli come se li avesse scritti il Vicario di Cristo sulla terra e successore di Pietro.

A questo punto, come credenti, dobbiamo porci la domanda: chi era Gesù? e qui la nostra fede esulta e afferma: è il Figlio di Dio fatto uomo; è il Messia che aspettavamo: è il Salvatore del mondo, è finalmente il Maestro della nostra vita; è il Pastore che guida gli uomini ai suoi pascoli nel tempo, ai suoi destini oltre il tempo, è la gioia del mondo; è l'immagine del Dio invisibile (Col. 1, 15); è la via, la verità, la vita (Gv 14, 6); è l'Amico interiore (Gv 15, 14-15); è Colui che ci conosce anche da lontano (Cfr. Gv 1, 48); sa i nostri pensieri (Lc 6, 8; Gv 2, 25); è Colui che ci può perdonare (Mt 9, 2), consolare (Gv 20, 13; Mc 5, 39), guarire (Lc 6, 19), risuscitare perfino (Lc 7, 14; Mt 9, 25; Gv 11, 43); ed è Colui, che ritornerà, Giudice di tutti e di ciascuno (Mt 25, 31),o nella pienezza della sua gloria (Ibid.) e della nostra eterna felicità. E questa litania potrebbe continuare, assumendo l'onda d'un canto cosmico, senza fine e senza confine (Cfr. Col. 2).

Ma esplosa la nostra anima in questo inno di gloria e di fede, possiamo noi dirci del tutto soddisfatti? o non rimane in fondo al nostro spirito un bisogno di conoscere meglio, di dire di più? Certamente, perché Gesù Cristo è mistero, cioè un Essere che supera la nostra capacità di comprendere e di esprimere; Egli c'incanta, ci inebria, e proprio così ci istruisce circa i nostri limiti e circa le necessità di studiare ancora, di approfondire di più, di esplorare meglio «quale sia la larghezza, e la lunghezza, e l'altezza, e la profondità» del suo mistero (Cfr. Eb 3, 13).

L'incontro con Gesù Cristo, è un incontro speciale dice papa Benedetto XVI. Cioè esso obbliga colui che lo celebra ad una riflessione radicale su la propria fede, su la propria opinione su Cristo, su la Sua definizione, su la sua Realtà. È questo un processo logico estremamente importante, quasi una necessità di pensiero, e non solo di pensiero speculativo, ma di determinazione totale del proprio modo di vivere, un epilogo interiore circa le questioni del rapporto fra noi e Cristo, rapporto da riconoscere e da perfezionare, come fanno i fedeli, ovvero rapporto da stabilire, in senso nuovo e positivo, come fanno, Dio li benedica dice Benedetto XVI, coloro che si « convertono », oppure in senso negativo, con terribile responsabilità esistenziale, coloro che vogliono rimanere indifferenti, estranei, ostili ad un rapporto, quale dev'essere, vitale e rinnovatore con Cristo incontrato sui molti sentieri sempre aperti della fede.

Si è parlato in questo periodo di cristianesimo, di agnosticismo e di indifferenza alla religione, in generale; poi si è parlato della novità del messaggio cristiano da riscoprire, della nuova evangelizzazione (per la quale Benedetto XVI ha creato nella Curia romana un Dicastero ad hoc affidato al teologo e arcivescovo mons. Rino Fisichella), cioè dell'avvento innovatore d'un sistema di pensare, di vivere, di comunicare con Dio e con gli uomini, sistema che possiamo includere nella formula di « regno dei cieli, o regno di Dio », di messaggio evangelico; poi abbiamo cercato la fonte di questo messaggio, e abbiamo riconosciuto in Gesù, che appariva in umili apparenze come un semplice artigiano, oriundo, agli occhi dell'opinione pubblica, di Nazareth, un uomo qualsiasi per l'occhio miope dell'osservatore profano; e ci siamo sentito ripetere dalle fonti, così dette, bene informate: « Non è costui il fabbro, il figlio di Maria? . . . » (Mc 6, 3), come Egli era di fatto; ma questa osservazione non esauriva la questione, perché, con meraviglia, la gente si interrogava donde mai Gesù attingesse tanta dottrina e come mai operasse miracoli. Era logico riconoscere in Lui un profeta, un maestro.

Benedetto XVI ha anche accennato al peso attribuito a questo titolo di Maestro, che Gesù stesso indicava quale prerogativa somma ed esclusiva all'atteso Messia, al Cristo. Ma questo stesso titolo di Maestro non diceva tutto di Gesù, il Quale lasciava capire essere Lui stesso il Maestro, il Messia, il Cristo, tanto atteso e tanto magnificato; così che, fin dall'inizio della sua entrata nella scena della vita pubblica, i primi discepoli intuirono che Gesù era un personaggio misterioso. Tra questi discepoli, ad esempio, Natanaele (Bartolomeo), all'incontro con Gesù, vistosi da Lui conosciuto con un infallibile sguardo introspettivo, esclamò: « Rabbi (cioè Maestro), Tu sei Figlio di Dio, Tu sei il Re d'Israele » (Gv 1, 49). La qualifica di Maestro non bastava quindi a definire Gesù; un altro titolo gli compete, quello di « Figlio di Dio », titolo difficile allora a spiegarsi, ma tale da amplificare la figura di Gesù, oltre quella del semplice Maestro e oltre quella del Messia, di statura semplicemente umana. Nello stesso quadro evangelico, verso le foci del Giordano nel Mar Morto, un'altra definizione di Gesù era risuonata: « Ecco l'Agnello di Dio », cioè la vittima privilegiata e predestinata ad un misterioso sacrificio (Ibid. 1, 29 et 36). La curiosità e la meraviglia crescevano, ,anche se Gesù, parlando di Se stesso, solo si qualificava abitualmente come « Figlio dell'uomo », altro titolo apparentemente modesto, ma pieno di reminiscenze bibliche e di significato profondo.

Parlare di Gesù, nello svolgimento del racconto evangelico, era diventata cosa attraente, impegnativa, inevitabile, ma nello stesso tempo cosa difficile e ambigua. Tanto che la questione: chi è Gesù? si prestava alle più varie risposte, e non era del tutto chiara anche nella mente dei discepoli quale dovesse essere. Fu allora - ci insegna nel suo magistero Papa Benedetto XVI - che Gesù stesso, andando con la piccola comitiva dei discepoli medesimi verso Cesarea di Filippo, al Nord della Palestina vicino al monte Hermon, pose una domanda esplorativa: « chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo? »; e dopo le risposte diverse e confuse, desunte dall'opinione pubblica, Gesù incalzò il discorso ponendo la domanda diretta ai suoi futuri apostoli: « E voi chi dite ch'io sia? ». E fu allora che Pietro, illuminato da Dio-Padre, rispose, certamente anche a nome degli altri, la celebre, invincibile definizione di Gesù: « Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente » (Mt 16, 16).

Ora non diremo di più sul contenuto e su la storia di questa rivelazione. Del resto, i credenti conoscono come nel seguito del Vangelo, specialmente nella narrazione dell'Evangelista Giovanni, la questione circa la identità misteriosa di Gesù prende la parte maggiore, e si fa drammatica per l'opposizione radicale dei Farisei, degli Scribi, dei Sadducei e per l'interesse crescente del Popolo (Cfr. Gv 12, 12); si fa poi ufficiale e tragica, perché proprio il titolo messianico e divino di Figlio di Dio, che Gesù, Figlio dell'uomo, nel suo duplice processo religioso e politico, rivendica a Sé, sarà il titolo per la sua condanna alla Croce. Gesù muore vittima e martire della sua misteriosa identità: di Uomo-Dio; e per tale Sua identità risorgerà al terzo giorno e sarà così il Salvatore del mondo.

Teniamo - come ci esorta l'Arcivescovo di Milano Angelo Scola - tutti ben fissa nel pensiero, nel cuore, nella vita questa verità certissima e ineffabile circa nostro Signore Gesù Cristo, unico nella Persona divina dell'unigenito Figlio di Dio; eterno nella natura del Verbo, incarnato nella natura umana in Maria per opera dello Spirito Santo. Ricordiamoci di questo mistero reale e incombente su tutta la storia e su tutta la sorte dell'umanità, il mistero dell'unica Persona del Verbo di Dio, vivente nella natura divina e nella natura umana di Gesù.

È dogma sovrano, che noi professiamo nella Messa d'ogni domenica e d'ogni solennità cantando il Credo; è la base della nostra fede cristiana e della nostra salvezza. Ricordiamoci tutti che abbiamo professato con esplicita adesione e con inesauribile felicità la confessione di Pietro con la sicurezza che è fondato sulla roccia apostolica (Mt 16, 18), anzi su la pietra angolare ch'è Cristo stesso (1 Petr. 2, 6; Mt 21, 42) l'edificio, ch'Egli, facendo di noi pietre vive (1 Petr. 2, 5), sta costruendo, e che non può crollare (Mt 16, 18), né col tempo che passa, né con la morte che tutto sembra distruggere: è la sua Chiesa, santa ed immortale, a cui noi abbiamo la fortuna di appartenere e da cui riceviamo Cristo medesimo, Pane di vita eterna (Gv 6, 51).

Qui la fede appare nella sua suprema importanza e necessità, nella sua origine, come dono attivo di Dio, e come umile ed onesta apertura soggettiva nostra alla Parola di Lui (Cfr. cfr. 1, 12; 3, 21; etc.). E con un atto di fede, cioè di accettazione di Verità divina, che trascende il nostro potere conoscitivo e sperimentale, salutiamo Gesù Cristo, ancora con parole di Simone Pietro: « Signore, a chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna. E noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Cristo Figlio di Dio » (Gv 6, 69).

Alberto Giannino
email: alberto.giannino@gmail.com

 
 
 
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