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I MIEI PROBLEMI CON DOMENICO RUSSO IN OSPEDALE

Post n°17 pubblicato il 08 Marzo 2012 da sticcoenzo

 
Sembrava che tutto procedesse nel migliore dei modi e che ci attendesse una vecchiaia serena confortata dalle attenzioni dei nostri due figli adottivi quando, circa due anni fa, il mondo ci crollò addosso in seguito alla diagnosi infausta di una grave malattia che aveva colpito il mio compagno. Cominciò così il calvario del mio partner e, in un certo senso, anche il mio per le difficoltà che incontrai, dopo il ricovero in chirurgia, allorché volli assisterlo fino alla fine. Per riuscirci dovetti fare appello a tutto il coraggio e alla grinta che la disperazione mi indusse a trovare in me stesso. Per essere più preciso, devo fare una distinzione tra i due reparti: chirurgia e rianimazione. In chirurgia non ebbi problemi. In quel reparto l’accesso dei visitatori era disciplinato da regole più elastiche . Inoltre lo staff del reparto era perfettamente a conoscenza del rapporto che intercorreva tra noi due dato che Domenico mi aveva presentato come suo compagno ed eravamo sempre andati insieme alle visite e alle sedute sulla diagnosi e la prognosi.


Devo precisare che molto prima di quella diagnosi mi ero posto il problema dei rapporti con la famiglia di Domenico nel caso di un suo ricovero in ospedale, poichè l’argomento della nostra relazione non era mai stato trattato apertamente ed entrambi conoscevamo benissimo i problemi che potevano insorgere nel caso che il compagno del ricoverato non fosse ben accolto dai parenti del medesimo. Ma Domenico, benché fosse ben noto come attivista del “Davide e Gionata”, non aveva mai voluto affrontare l’argomento apertamente con i suoi, sostenendo che le sue sorelle avevano capito tutto e che,pertanto, c’era un tacito accordo in forza del quale io facevo parte della famiglia. Non era forse vero che tutte le volte che invitavano a pranzo lui invitavano anche me? Non era forse vero che tutte le volte che la Mamma non mi vedeva,chiedeva di me ,chiamandomi Enzino, e questo da più di trent’anni? Io non ero del tutto convinto ma lui era così persuaso che, un suo ricovero non avrebbe creato problemi e tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modo al punto da compiere un atto quanto mai sventato: si fece promettere dal figlio adottivo El Mehdi che, nel caso che le cose si fossero messe male per lui, questi si sarebbe occupato di me ed attivò sul mio telefonino un tasto di emergenza che corrispondeva al cellulare di Mehdi. Purtroppo, appena fu noto che l’operazione non era andata a buon fine ed il paziente fu trasferito in pericolo di vita al reparto rianimazione dove non mi conoscevano, fu proprio El Mehdi a dimostrarsi il mio più accanito avversario, contestando la mia presenza in ospedale, seguito a ruota dalle due sorelle che finsero di cascare dalle nuvole quando volli chiarire con loro la situazione. Ho detto “finsero” perché mi sembra incredibile una così macroscopica mancanza di perspicacia, dato che mi conoscevano da 39 anni, sapevano che avevamo sempre convissuto pur cambiando residenza e ci avevano sempre visti legati l’uno all’altro in modo inequivocabile. Sapevano anche che i nostri beni erano cointestati. E questo fu il nostro errore più grave. Orbene, anche loro, approfittando del fatto che Domenico non era più in grado di intendere e volere, pretesero il mio allontanamento dal giaciglio del moribondo, affermando che ero un estraneo. Ho appreso da una recente notizia che hanno concesso ad una anziana signora ricoverata in una clinica la presenza del suo cane, benché  contraria al regolamento.. Perciò si può affermare che I parenti di Domenico ed il figlio adottivo pretesero che fossi trattato peggio di un cane.


E’ vero: Per la legge ero un estraneo e naturalmente non intendo neppure tentare di interpretare la normativa a mio favore: sarebbe un’impresa impossibile. Ma de jure condendo non è fuori luogo fare un confronto fra conviventi e consanguinei. I consanguinei ci vengono assegnati dal fato; i conviventi, specialmente se non esiste alcun vincolo giuridico, sono frutto di una scelta che viene rinnovata tacitamente ogni giorno, per tutta la durata del rapporto. Quindi , disprezzare la persona con la quale tuo fratello ha deciso di convivere per 39 anni, rifiutando di vivere con te che abiti nella stessa città, è soprattutto un’offesa a tuo fratello. E poi, passando dal mondo delle Pandette a quello dei sentimenti, ammesso anche che per la legge ero un estraneo, perché non rispettare il mio dolore devastante e impedirmi di essere vicino al mio amato compagno nel momento del trapasso?


Fu in quella drammatica circostanza che, mentre scrivo, sto rivivendo con tutta la tensione emotiva di quei giorni , che rivendicai il diritto a rendere noto a tutti il mio orientamento sessuale e pretesi anche rispetto del il mio tormento  per l’imminente perdita della persona che amavo e che mi aveva amato, perché l’amore è un sentimento nobile, rappresenta quanto di meglio l’uomo sa distillare dalla propria umanità e deve essere sempre trattato con deferenza anche quando esula dai parametri imposti dall’establishment. Le mie parole toccarono nel profondo il personale medico e paramedico e da allora ebbi libero accesso al giaciglio del mio sventurato compagno che, con la sua morte, si sarebbe portata via anche una parte importante di me stesso. Naturalmente, in quella situazione di emergenza, pensai di ricorrere all'aiuto di Don Ciotti, ma il prelato, assorbito da altri interessi, era diventato una primadonna e non era più reperibile per banalità di questo tipo. 


Purtroppo non tutti i gay nella mia situazione hanno avuto la stessa mia sorte. So di un mio amico che, a causa dell’opposizione dei parenti del suo partner, non è mai potuto andare al suo capezzale. E. solo dopo il decesso di quest’ultimo, ne è stato ufficiosamente informato da un infermiere fuori servizio, che gli ha anche indicato l’ubicazione della tomba. Sembra una cronaca medioevale ma è accaduto solo qualche anno fa nella civilissima Emilia.

 
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