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Post n°2751 pubblicato il 14 Febbraio 2022 da donmichelangelotondo

Siamo poco erotici...
Di
Michela Conte -
14 Febbraio 2022

Altro che festa dell'amore: tocca tornare a innamorarsi!

È San Valentino, la festa degli innamorati. O dei cretini, dicono gli scettici, che forse sono solo invidiosi. O del consumo, dicono i saggi moralisti. Ed è subito gara di meme, post, commenti, riflessioni, pareri, conditi con impressionante acidità, scritti in competenzese moderno. Come è stato per il Festival di Sanremo, ma anche per Natale, per il black Friday, per Halloween: giorni e giorni di opinioni, accuse e difese improntate a un criticismo da fare invidia a Kant. Quello che è evidente è un irrefrenabile impulso a prendere la parola. O meglio, a digitarla.

Secondo recenti indagini, siamo un popolo intristito e arrabbiato: sarebbe questa la radice della propensione alla critica continua e del bisogno compulsivo di uno spazio di espressione, fondato sulla convinzione che certe cose, certi eventi e certe scadenze richiedano necessariamente il nostro intervento. Ma soprattutto senza il benché minimo dubbio.

Dubitare è un'arte e la sua etimologia parla di relazione: "dubbio" deriva dalla radice sanscrita dva- o dvi-, la stessa della parola "due". Dubitare, in effetti, è abdicare alla certezza assoluta, fare i conti con il bivio, con la presenza di almeno due opzioni, due alternative, due possibilità. Non solo: questa dualità racconta la relazione come palestra di salutare dubbio, come esercizio di decentramento dell'io. Essere due nella relazione (non solo quella di coppia!) è dubitare della propria autosufficienza e competenza. Perché in ogni autentica relazione vi è di mezzo l'amore, la passione viscerale che confonde le convinzioni, l'attrazione integrale che mette in crisi le convenzioni, come suggerito dal sanscrito kama, che è all'origine di una delle possibili etimologie.

Un'altra etimologia della parola amore potrebbe essere legata al verbo greco mao, "desiderare". Ma la più bella, che è anche la più discussa, dice che amore deriva da a-mors, cioè "senza morte". Non è forse il desiderio di qualcosa che ci mantiene in vita? Non è forse la passione a sottrarci ai morsi mortiferi dell'esistenza? Ogni forma d'amore porta con sé il germe della nascita e della rinascita: per questo non possiamo farne a meno.

Ma l'amore, come la vita, è esigente. Esige quel decentramento prima citato. Le parole di chi ama non sono mai assertive. Il tono di chi ama non è mai netto. Perché chi ama è fragile: non debole, non insicuro, non passivo, non sottomesso, ma fragile, cioè non infrangibile, come i toni e i pareri delle nostre impietose critiche su tutto e tutti. Per questo mi viene da dire che, forse, siamo un popolo non solo più triste e arrabbiato, ma meno innamorato e meno predisposto a lasciarsi trafiggere dalle scintille della passione. L'avversione alla giornata di San Valentino racconta spesso un vuoto di eros nelle nostre esistenze, senza che il termine rimandi immediatamente all'esercizio della sessualità, che ne è un aspetto importante, ma pur sempre parziale.

Siamo poco erotici a casa, in cucina, al lavoro, al supermercato, in macchina. Siamo sempre troppo poco innamorati, troppo poco passionali: guardiamo poche albe, ci accorgiamo tardi dei tramonti. Non facciamo caso ai dettagli, alle rughe di espressione, alle sfumature delle voci. Non teniamo abbastanza ai nostri hobby. Non custodiamo come si deve il fuoco delle prime volte. Ci rattristiamo superficialmente e gioiamo con stucchevole pudore. Giudichiamo la rabbia e addomestichiamo il disgusto. E non piangiamo, mai! L'eros è anche questo e la sua mancanza è la genitrice della nostra tristezza, quella che ci spinge a voler colmare i vuoti a tutti i costi, quella che ci convince a parlare, parlare, parlare sempre e su tutto, quella che ci disinnamora dei silenzi dovuti e dei dubbi salvifici.

Allora, quello che mi auguro e auguro a tutti, per questa giornata e per quelle che verranno, è di ricominciare a innamorarsi di cose, animali e persone, a partire da quelle vicinissime e inevitabili. Di essere due (almeno) in ogni dove e in ogni quando. Di partire dal dubbio dell'autosufficienza per culminare nel dubbio del parlare, del commentare, del criticare. Di ripulire la nostra idea di erotismo da ogni distorsione e di recuperarne la portata esistenziale. Perché di mezzo vi è la nostra felicità. Perché, per citare un noto monologo di Benigni, "se non ci innamoriamo è tutto morto". E il continuo metter bocca su tutto è un indiscutibile accertamento di morte interiore e relazionale.

 

 
 
 
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