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2 maggio 2022, 2

Post n°3030 pubblicato il 02 Maggio 2022 da donmichelangelotondo

Il dubbio di Dante (Paradiso VII)
Di
Paolo Farina -
1 Maggio 2022
«Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!'
fra me, ‘dille', dicea, ‘a la mia donna
che mi diseta con le dolci stille'»
(Paradiso VII, vv.10-12)

Il settimo canto del Paradiso è uno di quelli che non passerà alla storia: se viene citato, è più per negazione che per attestazione. Nessuno lo ricorda tra i canti più belli. Diversi, e a giusta ragione, lo hanno tirato in ballo per contestarlo.

Dal punto di vista narrativo, è una diretta conseguenza del canto che lo precede e segna una lunga pausa didascalica. Beatrice, che legge l'esitazione di Dante nella sua mente e nel suo volto, tiene ben tre lezioni mutuate, more solito, dalla teologia tomistica.

In primo luogo, vuol chiarire le parole di Giustiniano: «Poscia con Tito a far vendetta corse» (Paradiso VI, 91-93); successivamente vuol spiegare come, in Dio, si possano conciliare giustizia e misericordia; infine, si attarda su una arida illustrazione relativa alla corruttibilità degli elementi.

Almeno l'ultima avrebbe potuto risparmiarcela e, infatti, su essa non dirò oltre. Quanto alle prime due, una qualche "storta sillaba" va scritta.

La "vendetta di Tito" sarebbe, come è noto, quella che ha comportato la distruzione del tempio di Gerusalemme, in realtà opera di suo padre Vespasiano, e segna dunque l'inizio del castigo degli Ebrei, rei di essere "deicidi". Tutti sanno quanto un simile modo di pensare abbia dato la stura al più becero antisemitismo, già diffuso in tempo medioevale, in particolare in ambiti ecclesiastici, e come questo abbia poi trovato tragico e inqualificabile epilogo nella Shoah. Che Dante non potesse prevedere una tale "soluzione finale" non rileva e non lo scusa. Quel che è grave è l'assunto, al di là delle sue intenzioni. Quel che è tragico è che, ancora fino al 1962, nel Messale Romano si pregasse pro perfidis Iudaeis... Sono sgomento.

Quanto alla dottrina tomistica secondo la quale Dio, tra misericordia e giustizia, tra perdono e castigo del peccato originale, avrebbe scelto entrambe le vie per mostrare la sua infinita liberalità, mi limito a osservare che si tratta di un ragionamento artificioso, di certo, e per fortuna lontano dalla nostra attuale sensibilità religiosa. Dio è amore: questo sente la fede. La croce è follia e mistero: questo osserva l'uomo. E questo ci lacera. Punto.

Ecco perché, in ben centoquarantotto versi di dottrina, quel che mi affascina è, in verità, il dubbio di Dante. Quel dubbio che lui stesso teme di confessare, e che invece lo rende grande, ben al di qua delle risposte della sua Beatrice: Io ero attraversato dal dubbio e continuavo a ripetermi: Diglielo! Diglielo! Di' alla mia donna...

Ma Dante tace. E lascia parlare Beatrice che tutto vede e sa.

Solo che io preferisco il suo silenzio.

Quello di Dante.

Bertrand Russell: «Il problema dell'umanità è che gli stupidi sono sempre sicurissimi, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi».

Roberto Gervaso: «Chi non dubita di nulla è capace di tutto».

Mario Marchisio: «La certezza incrollabile è un'invenzione dei fanatici, dei disumani. Dio stesso non sgradisce una piccola ombra di dubbio nella nostra fede in Lui».

 

 
 
 
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