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LA SOLITA NOTTE DI LUNA PIENA, AL SOLITO CASTELLO...

Post n°24 pubblicato il 12 Settembre 2012 da duetalleri
 
Foto di duetalleri

 

C’era una volta il solito castello, che si ergeva cupo e possente a dominare la solita foresta oscura e impenetrabile. Giù in basso scorreva quasi allegro il solito torrentello di acque limpide, ma nessuno ci faceva caso. Non quella notte, almeno, perché faceva così freddo, ma così freddo che tutti gli abitanti del solito castello si erano stretti intorno al solito camino ad ascoltare le solite storie raccontate dalle nonne, mentre i bambini pisolavano dentro le ampie gonne. Anche la luna piena si sarebbe fatta volentieri un sonnellino in mezzo a soffici nubi tiepidine, ma guarda caso quella notte non c’era nemmeno una nuvola in tutto il cielo nero. Non era ancora arrivata l'ora di andare a dormire e il Re, come al solito, si annoiava. Si stringeva nel suo solito mantello di ermellino ma non riusciva né a scaldarsi, né a star fermo.

- Uffa, sempre le solite storie, che noia - disse alla Regina, che come al solito nemmeno alzò lo sguardo dal suo solito ricamo. Era almeno la ventesima volta, quella sera, che il Re ripeteva la solita frase annoiando tutti.

Erano tutti così annoiati e addormentati che quasi non si accorsero che stava succedendo qualcosa di insolito. Qualcuno bussava alla porta, con insistenza.

- Ollapeppa! - disse il Re quando finalmente se ne accorse – Che qualcuno vada a vedere, presto!

- Sarà il solito cavaliere che si è perso e chiede ospitalità per la notte - disse la Regina, ma intanto allungava la testa verso la porta per vedere qualcosa in più, tutta contenta della novità.

Uno dei servi era corso ad aprire e ora faceva strada a due strane figure, una alta alta vestita tutta di verde e una bassa bassa vestita tutta d’argento.

- Ohibò! - disse il Re, che era solito usare i soliti modi di dire che si usano solo nelle fiabe - Che strani figùri ci ha portato questa notte di luna piena?

- Buonasera, Sire! - disse il più alto - Siamo solo un povero cavaliere e un povero giullare che chiedono ospitalità per la notte.

Il Re, che al sentir narrare le solite storie si era in verità un po’ appisolato e nemmeno ora era proprio sveglio sveglio, continuava a spostare lo sguardo dal cavaliere verde al giullare argentato, incuriosito e perplesso, senza dire nemmeno una parola. Fino a che la Regina sua moglie gli diede una gran gomitata, cosa che forse gli fece fare un bel sobbalzo ma di sicuro lo svegliò del tutto.

- Ah sì ah sì, bene bene - disse il Re prendendo tempo - ma sì, certo, sicuro, restate pure come nostri ospiti stanotte, di spazio ce n’è così tanto…

- Grazie, Sire, la Vostra generosità Vi fa onore. Possiamo fare qualcosa per sdebitarci?

Il Re nel frattempo continuava a guardare la figura vestita d’argento…così bassa bassa, così tozza tozza, così…beh, ecco, così ridicola…che gli venne un’idea.

- Valoroso cavaliere - disse quindi - qui abbiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno ma, ecco, ci annoiamo un po’. Ditemi dunque: questo Vostro strano compagno è davvero un giullare? Uno di quelli che sanno far ridere le corti degli imperatori, che sanno alleviare lo spirito dei potenti, che sanno inventare giochi di prestigio e cantar motti?

- Oh, Sire, lo è di certo, ma è anche molto di più! Egli noto tra i vari regni con il nome di Libertà.

A questo punto il Re era sempre più curioso e aveva sempre più voglia di trattenere quell’insolito ometto con sé, presso la sua corte. Ma era ancora un po’ timoroso, quindi si grattò la solita barba folta e grigia e disse:

- Libertà?? Volete dire che è…un licenzioso? Che si prende delle libertà che non dovrebbe?

- Certo che no, Sire. Lo chiamano così perché quando lo si lascia fare, si ha l’occasione di imparare qualcosa su che cos’è la libertà.

Il Re scoppiò allora in una grande risata. Tutto d’un botto gli venne da ridere così tanto ma così tanto che a momenti si strozzava, così cominciò a tossire, tossire e ancora tossire senza riuscire a prendere fiato. La Regina e l’intera corte lo guardavano preoccupati, ma nessuno fece nulla perché tutti sapevano che in quei casi era meglio star lontani, il Re poteva passare dal riso alla collera in un battibaleno. Quando finalmente si riprese, il Re per fortuna era ancora di buon umore e spiegò al cavaliere, tra un risolino e un colpo di tosse:

- Perdonate buon uomo il mio accesso di risate; ma è davvero così buffo pensare che un omuncolo così possa insegnare la libertà ad un Re, che è il più libero di tutti. Ma sia, ci voglio credere. Perché allora non lo lasciate qualche tempo con me, così che possa insegnarmi questa cosa per benino? Così avrete anche ripagato il Vostro debito.

Il cavaliere verde, appoggiò la mano sopra la spalla del suo piccolo compagno, che ancora non aveva aperto bocca, e disse:

- Libertà è un uomo libero e deve decidere da sé. Se lui acconsente, già vi posso dire che potrà fermarsi solo una notte in più, perché tra pochi giorni deve presentarsi alla corte dell’Imperatore, che certo non tollera ritardi.

Il Re certo non poteva farsi sfuggire l’occasione di vedere per primo uno spettacolo che sarebbe stato presentato addirittura all’imperatore, di lì a pochi giorni!

- Va bene, va bene. E sia! Se lo vorrà, si fermerà da me anche domani notte, poi al mattino potrà riprendere la strada per la corte imperiale - e così dicendo guardò il giullare per avere una conferma. Il giullare fece cenno di sì con la testa, continuando a guardare il Re fisso fisso negli occhi.

- E ora, tutti a dormire! - disse il Re distogliendo lo sguardo, un po’ a disagio - Ovviamente, se il nobile cavaliere volesse fermarsi anche domani , sarà anche lui un gradito ospite.

In effetti, se prima aveva sperato che il cavaliere se ne andasse in modo da poter costringere il giullare a farlo ridere notte e dì, ora gli era entrato un vago senso di inquietudine all’idea di trascorrere da solo l’intera giornata con lo strano personaggio.

- Grazie, Sire, ma domani ho delle commissioni da fare e partirò prima dell’alba. Libertà mi raggiungerà sulla strada il giorno seguente, è un tipetto dalle gambe corte ma svelte. Comunque non preoccupatevi, anche se a volte parla poco, sono sicuro che il mio amico vi farà divertire molto e, se sarete capace di lasciarlo fare, riceverete anche un dono prezioso.

E così avvenne che il cavaliere ripartì in fretta che faceva ancora buio e il giullare, prima ancora che il Re si alzasse, aveva già fatto ridere tutti i servi della cucina, le cuoche, i fornai, le sarte, i maniscalchi, le nonne, i bambini. Tutti insomma, compresa la Regina che ormai si asciugava le lacrime tenendosi la pancia, tranne il Re che era ancora a letto e che fu proprio svegliato dalla allegra insolita confusione.

Chissà che succede al piano di sotto diceva tra sé, poi si ricordò della sera precedente e dei suoi strani ospiti, così scelse il mantello più elegante che aveva e si preparò per scendere. Un paggio era pronto come al solito a servirlo, ma gli si vedeva in faccia che moriva dalla voglia di non essere lì, ma a ridere a crepapelle con tutti gli altri intorno al giullare.

- Vai vai - gli disse il Re - oggi mi arrangio da solo.

Quello non se lo fece ripetere due volte e sparì giù per le scale. Rimasto il solo, al Re venne un’idea: non era forse quella un’ottima occasione per far impressione sul giullare, che quindi avrebbe raccontato alla corte dell’Imperatore di quanto buon gusto e ricchezza aveva il Re che generosamente lo aveva ospitato? Si vestì quindi di tutto punto con una casacca della lana più morbida e costosa sopra la quale indossò una tunica di seta azzurra e rossa orlata d’oro, un bel corpetto di robusto cuoio nero che lo faceva sembrare giovane e forte, un cinturone con una enorme fibbia d’oro in cui infilò due pugnali (in realtà avrebbe preferito la spada, ma non voleva sembrare esagerato), due grossi bracciali d’argento sul braccio sinistro e sul polso destro la protezione di cuoio che usava per la caccia al falcone. Si rimise quindi sulle spalle il mantello di pelliccia che già aveva scelto prima, si guardò soddisfatto nello specchio d’argento e cominciò a scendere trionfalmente le scale, stampandosi un enorme sorriso benevolo sul volto. Al secondo gradino, si ricordò però che aveva dimenticato la corona e in tutta fretta tornò in camera a prenderla. Fortuna che lo scalone era abbastanza ampio, altrimenti con tutta quella bardatura probabilmente si sarebbe incastrato e ora sarebbe ancora lì. Sia come sia, il Re riuscì a sistemarsi la corona sul capo, con cura, badando a far uscire qua e là qualche ribelle ricciolo grigio molto regale, per poi presentarsi finalmente al piano di sotto.

Come appariva insolito ora il solito salone del solito castello, con tutti che sorridevano e chiedevano al giullare un canto in più, un racconto in più! Il Re dapprima si rallegrò molto perché la noia sembrava magicamente sparita dal suo castello, poi però cominciò a sentirsi irritato perché nessuno badava a lui. Tossicchiò un paio di volte. Che diamine, era lui il Re!

Il giullare fu il primo ad accorgersi del nuovo arrivato e con un gran balzo si portò davanti al Re, salutandolo con un profondo inchino.

- Buongiorno, Sire - gli disse con una voce che sembrava l’incrocio tra quella di un angelo e quella di un tacchino.

- Buongiorno, buongiorno, allora la voce ce l'hai, eh? E che voce...ehm...celestiale! - disse il Re nascondendo un risolino perché intanto il malumore gli era passato. - Dunque, cosa ci farai vedere di bello oggi?

- Quello che mi chiederete Voi, Sire, per tutto il giorno. Fino a stanotte, quando invece sarò io a proporre un numero, scelto apposta per la vostra regale persona. Sono certo che Libertà non vi deluderà.

E così andò. Per tutto il giorno l’instancabile giullare saltò, ballò, cantò e recitò in così tanti modi diversi, con così tante voci diverse che l’intero castello sembrò invaso da una allegra brigata di ometti argentati, invece che da un solo ometto vestito d’argento e alto una spanna o poco più. Il Re e la sua corte non si erano mai divertiti così tanto, e addirittura fu necessario richiamare i cuochi e le serve a preparare il desinare perché se ne erano completamente dimenticati. Anche le nonne, per la prima volta dopo tanti anni, quel giorno si erano dimenticate di fare il loro riposino pomeridiano. Alla fine però, il più contento di tutti era proprio il Re che, soddisfattissimo della proposta che aveva fatto il cavaliere, già pregustava lo spettacolo finale fatto su misura per lui.

Al calar della sera tutti erano ormai così stanchi di ridere, cantare e ballare che ad uno ad uno cominciarono a ritirarsi nelle proprie stanze. Alla fine anche la Regina salutò il Re e il Giullare scusandosi che proprio non riusciva a reggersi in piedi e con fatica si trascinò alle camere reali, sbadigliando in continuazione.

Anche il Re, a dire il vero, si sentiva molto stanco; gli occhi gli si chiudevano e la testa cominciava a ciondolare ma di certo non voleva rinunciare al gran finale. Fece quindi un gesto al giullare, per invitarlo a cominciare.

L’ometto vestito d’argento intonò allora una melodia che fino ad allora non aveva ancora cantato e che al Re ricordava molto la ninna nanna con cui lo cullava la sua balia…così a poco a poco il Re scivolò nel sonno mentre il giullare continuava a cantare e danzargli intorno, senza fermarsi. Il silenzio regnava nel castello, interrotto di quando in quando dal gran russare di un servo o della Regina. Ad un tratto, forse tirandola fuori da qualche tasca nascosta del suo sfavillante vestito, Libertà fece apparire una catenella d’argento, lunga e sottilissima. Silenzioso come un gatto dei boschi fece passare la catenella attraverso i bracciali del Re, le maniche delle vesti, il cinturone, le asole del mantello, avanti e indietro e intorno al trono. Non tralasciò nemmeno la corona, ma i suoi movimenti erano talmente delicati che il Re non solo non si svegliò, ma di tanto in tanto mandava un risolino come se fosse solleticato da un bel sogno. Alla fine, Libertà avvicinò le due estremità della catenella e quelle si unirono saldamente l’una all’altra, come se non fossero mai state separate.

Al mattino successivo, la Regina si alzò prima di tutti. Non aveva avuto cuore di svegliare la sua damigella che dormiva profondamente con un gran sorriso sulle labbra, ma avendo una gran sete decise di andare a prendersi da sola del succo di mela dalle cucine. Passando per il salone, vide il marito che stava ancora dormendo della grossa stravaccato sulla suo regale trono imbottito, succhiandosi il pollicione con gran soddisfazione. Lo guardò con tenerezza e solo ad una seconda occhiata si accorse della catenella d’argento che legava, non strettamente ma di sicuro tenacemente, il suo ingombrante marito ancora tutto agghindato con le vesti e i gioielli di cui si era bardato il giorno prima. Cominciando ad intuire che si trattava di uno “scherzetto” fatto dal giullare si guardò intorno ma, come si aspettava, di lui non c’era più alcuna traccia. Per un breve momento pensò che l’ometto aveva giocato al Re un tiro proprio cattivo, approfittando della stanchezza, ma poi si ricordò di quanto Libertà si era dimostrato amabile, intelligente, sottile e senza mai allontanarsi dal buon gusto. Ripensò quindi alle parole del cavaliere, che per ben due volte aveva parlato di lasciarlo fare, e si tranquillizzò. Anzi, si può dire che le venne pure da ridere per come suo marito si era lasciato abbindolare a causa del suo punto debole, la ricchezza.

- Ti han incastrato bene, è l’ora delle catene… - le venne spontaneo canticchiare, ma senza cattiveria perché ben sapeva che ci sarebbe caduta pure lei.

- Cosa, cosa, moglie mia? - brontolò il Re, cominciando ad aprire mezzo occhio - sapessi che strano sogno ho fatto...però come ho dormito bene!

- Dormi ancora un po', marito mio, che quando sarai ben sveglio avremo un problemino da risolvere, io e te!

- Eh? Cosa, cosa, moglie mia? Di cosa parli? - e così dicendo provò ad allungare una gamba per stiracchiarsi, ma non ci riuscì.

- Aiuto, aiuto! Aiutami ad uscire di qui, cosa mai mi è successo? - ma più si agitava, più le catene si stringevano. - Ah che brutto scherzo mi ha giocato quel farabutto! Chiama un servo che mi tolga le catene!

La Regina, che ormai cominciava ad intuire qualcosa, si prese una seggiola e si sedette davanti al Re.

- Calmati ora - gli disse - Ho idea che neanche il fabbro riuscirebbe a tagliare questa catenella pur così sottile; ascolta, è molto meglio se cerchiamo di capire cosa Libertà volesse insegnarci con questo trucchetto.

Ci volle un po’ ma alla fine il Re si calmò un po’ mentre tra sé e sé continuava a ripetersi le frasi che gli aveva detto il Cavaliere Verde due giorni prima: “… se sarete capace di lasciarlo fare, riceverete anche un dono prezioso.” Ma quale dono prezioso, lui era lì imprigionato e di libertà ne aveva veramente gran poca. E anche poca voglia di scherzare. Mica come sua moglie che continuava a prenderlo in giro affettuosamente.

Alla fine fu proprio la Regina, guardando il marito intrappolato tra vesti d’oro e sempre più arrabbiato, che capì cosa dovesse fare per liberarsi. Capì anche con chiarezza che non sarebbe stato facile convincere il marito.

- Guarda bene - provò a dirgli - il giullare non ti ha legato né le mani, né i piedi, né il collo, e nemmeno la vita.

- Ah no? E cosa avrebbe legato allora? Io non riesco a muovermi.

- I vestiti, caro, i vestiti. Libertà ha legato al tuo trono tutti i tuoi vestiti, i tuoi gioielli, la tua corona. Tutte quelle cose insomma che ci sembrano così tanto importanti che alla fine ne diventiamo schiavi.

- Stai scherzando? Vuoi dire che per essere libero dovrei essere…nudo? O in mutande, visto che quel disgraziato forse ha avuto la decenza di lasciarle libere? Ma sei pazza? Cosa mai diranno di me i servi, le cuoche, i fornai, le sarte, i maniscalchi, le nonne, i bambini? E gli altri re? E l'imperatore?

Così lamentandosi il Re si raggomitolava sempre di più tra le sue sontuose vesti, chiedendosi quando mai avrebbe trovato il coraggio di tirarsi fuori di là.

Non so bene come poi andarono a finire le cose, ma ho il presentimento che se un bel giorno vi trovaste a passare dalle parti di un certo solito castello che si erge cupo e possente a dominare la solita foresta eccetera eccetera, probabilmente sbirciando da una finestra trovereste il Re ancora là, incatenato al suo bel trono da una catenella che in realtà non lo lega affatto; gli fa compagnia la Regina che, senza alzare gli occhi dal suo solito ricamo, ogni tanto gli ricanta la solita canzoncina…

- Ti han incastrato bene, è l’ora delle catene!

 
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