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EduSphere - racconto arrabbiato in 6 puntate - cap. 6

Post n°29 pubblicato il 24 Novembre 2012 da duetalleri
Foto di duetalleri

 

EduSfere

Capitolo 6.  La Resistenza


“Come sarebbe a dire?”

“Una volta distrutta la EduSfera” raccontò Alma malinconicamente ”ad Oreste nessuno ne ha mai fornita una seconda. Sono strumenti costosi e il Ministero riesce a pagarne al massimo una per insegnante. La cosa triste è, come puoi vedere, che Oreste ormai non ne ha più bisogno. Non ha più la sua EduSfera ma è come se l’avesse ancora. E’ successo così anche a mio marito, al marito di Silvia e a tanti altri. Guarda, l’intero album è pieno di fotografie analoghe.”

“Ma non capisco...” Simona era sempre più confusa e impaurita.

Silvia si sedette sul letto e le passò un braccio intorno alle spalle.

“Ti aspettavamo, Simona, è vero. Ti aspettavo soprattutto io, che non a caso faccio più ore del dovuto al Pronto Soccorso. Aspettavo te e tante altre mogli di Neo Professori. Non ti aspettavo così presto, però. In genere la prima crisi arriva a Natale o tuttalpiù alle vacanze di Pasqua, qualche volta passa anche un anno. Il vero problema è che il sistema neurale della EduSfera agisce sulla psiche, ma non la stravolge del tutto. Non subito, almeno. E’ studiato per far leva sull’egocentrismo già presente in ognuno di noi, sull’istinto di predominio sugli altri. Tutti lo abbiamo, chi più chi meno, per questo la EduSfera funziona su tutti, con risultati però più stabili sulla popolazione maschile. Spiriti equilibrati resistono più a lungo, mentre caratteri ribelli o particolarmente insicuri non hanno invece grosse possibilità di difesa, nel senso che saranno essi stessi a ricercare sempre più la sensazione di potere che la Sfera instilla, diventandone dipendenti in brevissimo tempo”. Lanciò a Simona uno sguardo significativo, che abbassò il suo.

“Speravo non succedesse mai. E invece…avevo intuito che qualcosa stava cominciando a non andare per il verso giusto.”

“No, Simona, non è cominciato ora. Il vero cambiamento è cominciato ben prima. Dalla prima volta che ne ha indossata una, in genere al primo anno di Università. Anche se gli allievi non se ne rendono conto consciamente, tutto il successivo percorso formativo spesso si riduce ad una corsa ad imparare sempre di più e sempre più in fretta in modo da essere ammessi quanto prima all’insegnamento. E all’uso delle EduSfere.”

“Ma è terribile! Non può essere vero! Al mio Enrico piaceva sul serio insegnare!”

“Strano, vero?” sogghignò Alma, “E magari quando aveva la possibilità di illuminarti su qualche argomento che lui conosceva bene finiva per parlare per ore e dimenticarsi di tutto il resto?”

“Sì, ma…”

“E ti parlava come se il tuo parere fosse quello di una povera ignorante che doveva essere portata ad un livello superiore mediante il suo insegnamento?” incalzò Silvia.

“Sì, ma…”

“E, proprio lui in genere così mite, con lo stesso tono di superiorità ti parlava dei più disparati argomenti di cui lui avesse delle basi anche vaghe, inclusi quelli di cui tu hai una conoscenza decisamente superiore?” era stato il turno di Rosita ad infierire.

“Sì, è così” ammise finalmente Simona, sconfitta.

“Non essere triste, non è colpa né tua né sua. E’ colpa di quella stramaledetta macchina. Fin dalla prima attivazione ti mette qualcosa in testa di cui non ti puoi più liberare, e cresce. L’utilizzo continuativo delle EduSfere porta all’estremo il processo, ma esso progredisce anche da solo. In qualche anno il tuo Enrico si sarebbe ridotto né più né meno nelle stesse condizioni, fattene una ragione. Diciamo che è un effetto secondario dell’insegnamento. Per questo anche se una EduSfera và perduta, non ne viene fornita un'altra. Non serve, il cervello autoproduce autonomamente tutti gli stimoli di cui ha bisogno. Compreso quello di “vedere” una EduSfera che in effetti non c’è più e di continuare ad utilizzare un inesistente pulsante verde per entrare e un altrettanto inesistente pulsante azzurro per uscire.”

“Ma la sicurezza?”

“Intendi dire a scuola? Quale alunno mai oserebbe attaccare un insegnante che dovrebbe indossare una EduSfera, che con ogni probabilità la indossa sul serio e che, soprattutto, si comporta come se ce l’avesse davvero?”

Simona a quel punto capitolò sul serio. Il quadro si completava, rimaneva da chiarire il suo ruolo in tutto questo. O una via d’uscita.

“E io cosa posso fare?”, chiese con voce incerta.

Le tre donne si guardarono tra loro e fu Alma, come al solito, a prendere la parola.

“Puoi scappare e rifarti una vita lontano dalle scuole. Puoi lanciarti a morire contro la EduSferadi tuo marito come una falena impazzita. Puoi anche iscriverti all’Università se ti va. Due Professori nella stessa famiglia fanno fuoco e fiamme, ma riescono in genere a sopravviversi a vicenda. Alcune di noi l’hanno fatto…e naturalmente ora non sono più nel nostro piccolo Sindacato.”

“Oppure?” Simona si era alzata in piedi, quasi completamente tornata in sé. Guardò Alma dritto negli occhi, con aria di sfida.

Con sorpresa di Simona, le altre due tirarono un sospiro di sollievo.

“Oppure” fece Alma con un lampo di sincera allegria negli occhi “vieni con noi a bere un cappuccio ogni sabato mattina ed entri nel Sindacato delle Sopravviventi. Lezioni di autocontrollo tutti i lunedì ore 18 (tanto i maritini sono in Consiglio Docenti) e ogni quindici giorni alterniamo il Laboratorio di Dialettica Applicata con quello di Ascolto Selettivo. Assistenza psicologica e condivisione esperienziale continua, a richiesta. Ah sì, fino a Natale corsi intensivi di pronto soccorso psicologico, ci sono almeno altre tre “colleghe” a rischio quest’anno…Ma sì, non guardarmi con gli occhi così sbarrati, ci sono state tre altre assunzioni al Ministero oltre al tuo Enrico, no?”

“Ma…ma io con che coraggio posso tornare a casa oggi e stare ad aspettare un…un estraneo?”

“Mia cara, non è del tutto un estraneo. Il Professor Enrico nasconde ancora in sé una parte del tuo Enrico, ma per farla uscire devi far sì che lui abbia voglia di togliersi la EduSfera, reale o fittizia che sia, non appena rientra a casa. E non credo di dover stare a spiegare a te come fare, non credi? ” Alma lanciò un ultimo sguardo malizioso a Simona, prese il cappotto e fece per uscire.

“E ti consiglio di provarci subito, già stasera stessa. Uh, vedrai che ne avrai di cosette da raccontarci sabato prossimo…ti aspetto al Centrale, allora. Baci baci!”

 
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