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Irrazionalità

Post n°292 pubblicato il 08 Novembre 2006 da tanksgodisfriday
 

Ieri Sblog scriveva sul blog di SandaliAlSole di PiGreco e dell'irrazionalità.
E quindi del problema di definire con esattezza un numero che, scritto in notazione decimale, non termina mai.
Potrei obiettare che un numero esiste prima che lo si utilizzi come misura di qualcosa, ed è definibile con rigore mediante una sua proprietà, non necessariamente come una sequenza finita o predicibile di cifre.
Ma lui potrebbe rispondere con Leopold Kronecker: «Dio ha creato i numeri naturali; tutto il resto è opera dell'uomo», e sottolineare che PiGreco è una creatura sfuggente, incompleta, non puoi indicare qualcosa e dire: «ecco, vedi, questo è PiGreco».
Il tema dell'irrazionalità dei numeri mi ha fatto riaffiorare il ricordo sepolto di un vecchio amico, e ripensare ad una recente conoscenza. Il tutto pensando ad una bestia simile a PiGreco: la radice quadrata di due, 1,414213...

Il vecchio amico è Socrate, nelle parole di Platone, che ci racconta come Socrate convinca Menone della bontà della sua teoria dell' anamnesi. Senza addentrarmi nelle (per me) sabbie mobili della filosofia, ricordo solo che Socrate conduce per mano uno schiavo, che nulla sa di geometria, fino a costruire un quadrato doppio di un quadrato dato. Quindi con un lato che misura esattamente "radice di due" volte il lato del primo quadrato.
E lo fa in modo semplice, senza sporcarsi le mani con numeri o frazioni. Disegna sul terreno un quadrato di area 1, poi accanto un altro e sotto altri due, in modo da avere quattro quadrati a formare un quadrato di area 4.
A questo punto guida lo schiavo a tracciare una diagonale per ogni quadrato, in modo da formare un rombo, che poi è anch'esso un quadrato e, essendo composto da quattro metà di quadrati, ha l'area che misura due. E quindi il suo lato è "esattamente" radice di due, ma l'irrazionalità sfuggiva a quel tempo.
Questo era il modo greco di pensare alla matematica, o meglio alla geometria. Forse solo perché i greci non seppero mai dotarsi di un sistema di numerazione efficiente, scrivevano i numeri usando una variazione farraginosa dell'alfabeto. Ma questo ragionare, evitando di buttarsi immediatamente sui calcoli, ha cambiato il destino dell'uomo.

Spostiamoci indietro di circa quattrocento anni e un po' più in là, in India.
Baudhayana, un sacerdote, scrive un manuale sulla costruzione degli altari, un Sulbasustra. C'è molto di rituale negli scritti, ma anche una regola pratica per costruire un quadrato doppio di un altro.
L'approccio è completamente diverso: dati due quadrati uguali, ci si propone di scomporne uno, e poi di ridistribuirne i pezzi intorno all'altro, in modo da formare un quadrato di area doppia.
E allora si taglia un quadrato in tre strisce verticali uguali, da una striscia si ricava un quadratino, e la parte restante la si divide in otto rettangolini uguali.
L'immagine mostra il risultato a questo punto: il primo quadrato è quello grigio, il secondo è quello azzurrino, scomposto e poi ricomposto intorno al primo. Il quadrato che si costruisce è un pochino più grande di quanto serva, perché, per completarlo, ci vorrebbe quel minuscolo quadratino nero in basso a destra. Ma Baudhayana non si scoraggia: taglia via una strisciolina, piccola, appena un trentaquattresimo in altezza, da ciascuna delle due sequenze di rettangolini, in modo da compensare l'eccesso. Beh, quasi compensare. Baudhayana è consapevole del quasi, e infatti dice che il lato del quadrato di area doppia misura:
uno, più un terzo, più un quarto di un terzo, meno un trentaquattresimo di un quarto di un terzo. Questo è il valore, con una quantità speciale in eccesso.
Per la cronaca, il valore che si ottiene, consapevolmente approssimato,  ha un errore di meno di 0,000003.

Due modi totalmente diversi di pensare: il primo ha capacità di astrazione, il secondo concretezza, senso pratico. Sono serviti, e servono, tutti e due.
Però, quanto è bello calcolare ...

Buon mercoledì.

 
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