Creato da ElettrikaPsike il 17/12/2012

ElettriKaMente

Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)

 

Messaggi di Dicembre 2017

UN BUON NON COMPLEANNO A ME E BUON NATALE A TUTTI!

 

 

 

 

 - Ma, voglio dire che cosa è un dono ingenetliaco? - chiese Alice.

- Un dono che ti si offre quando non è il tuo genetliaco, è chiaro - spiegò Humpty Dumpty/Unto Dunto.

Alice ci stette un po' a pensare ed alla fine concluse:

- Mi piacciono più i doni genetliaci -

- Tu non sai quel che ti dici - gridò Humpty Dumpty - Quanti sono i giorni in un anno?-

- Trecentosessantacinque - rispose Alice.

- E quanti genetliaci hai? -

- Uno -

- E se togli uno da trecentosessantacinque, che rimane? - la incalzò Humpty Dumpty.

- Semplice - rispose Alice - trecentosessantaquattro.

- Questo dimostra che vi sono trecentosessantaquattro giorni nei quali ti può essere offerto un dono ingenetliaco…-

 

 

Natale è una condizione e si può scegliere se considerarlo come mezzo di qualche dono genetliaco o di quotidiani doni ingenetliaci…

A noi la scelta, perché si possa dire ogni giorno “Auguri! Buon Natale.”

 


                 

 

 

 

 
 
 

MATTA IN MEZZO AI MATTI

 

 

 

 “Ma io non voglio andare fra i matti” osservò Alice.

“Be’, non hai altra scelta” disse il Gatto.

“Qui siamo tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta.”

“E come lo sai che sono matta?” chiese Alice.

“Per forza,” disse il Gatto,

“altrimenti non saresti venuta qui…”

 

 

Ero matta in mezzo ai matti. I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì, le mie più belle amicizie. I matti sono simpatici, non così i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita.

Queste sono parole di Alda Merini.

Ma sia che si voglia considerare la follia da un punto di vista essenzialmente clinico come uno stato di alterazione mentale privato del giudizio ed espresso da evidenti incapacità adattive nei confronti della società, il tutto accompagnato da stati psichici alterati che causano disagio o sofferenza psicologica e, talvolta, da comportamenti lesivi, o che la si voglia, invece, guardare come la platonica divina mania, esaltazione profetica d’ispirazione mistica, come l'estro geniale e visionario di un dono creativo o, semplicemente, una condizione molto umana di euforia d’amore, una cosa, però, è certa: ognuno di noi, nelle nostre menti, nasconde una parte sana ed una parte malata.Ed è solo una paziente negoziazione fra queste due parti a renderci la misura di quella condizione che viene definita come “normalità”.

Si dice che l’uomo savio sia colui che aspetta il momento giusto, che il folle sia colui che lo anticipa e che lo stolto, invece, sia colui che se lo lascia passare…

Il pazzo non si dimentica di afferrare un momento, il pazzo i momenti li vive.

Certo, con modi differenti, tempi differiti e luoghi mentali lontani da quelli abitati dalla “normalità”; cionondiméno vive senza tralasciare quello che desidera e senza farsi ingannare dal tempo.

Perché il tempo, per la follia (psichica, amorosa o artistica) ha sempre una durata elastica.

 

 

 

                                   

 

 

Dal 1500, con Erasmo da Rotterdam ed il suo elogio alla condizione della pazzia, la Follia diventa ufficialmente pietosa dispensatrice di doni:

E' per merito mio che i giovani sono così privi di senno; è per questo che sono sempre di buon umore. Mentirei, tuttavia, se non ammettessi che appena sono un po' cresciuti, e con l'esperienza e l'educazione cominciano ad acquistare una certa maturità, subito sfiorisce la loro bellezza, s'illanguidisce la loro alacrità, s'inaridisce la loro attrattiva, vien meno il loro vigore. Quanto più si allontanano da me, tanto meno vivono, finché non sopraggiunge la gravosa vecchiaia, la molesta vecchiaia, odiosa non solo agli altri, ma anche a se stessa. Nessuno dei mortali riuscirebbe a sopportarla se, ancora una volta, impietosita da tanto soffrire non venissi in aiuto io, e, a quel modo che gli Dèi della fiaba di solito soccorrono con qualche metamorfosi chi è sul punto di perire, anch'io, per quanto è possibile, non riportassi all'infanzia quanti sono prossimi alla tomba, onde il volgo, non senza fondamento, usa chiamarli rimbambiti.

 

Ed è questo che significa tornare fanciulli: delirare e non avere senno.

E così, è per elargizione concessa dalla Follia che il vecchio, alla fine dei suoi giorni, delira. Tornando a parlare lo stesso linguaggio dell’infante.

Ed è per questo che i bambini autenticamente ancora bambini ed i vecchi realmente già vecchi si comprendono e si cercano, perché il dio spinge sempre il simile verso il simile.

In che differiscono, infatti, se non nelle rughe e negli anni che nel vecchio sono di più?

Per il resto, capelli sbiaditi, bocca sdentata, corporatura ridotta, desiderio di latte, balbuzie, garrulità, mancanza di senno, smemoratezza, irriflessione: in breve, sotto ogni altro aspetto si accordano. Quanto più invecchiano, tanto più somigliano ai bambini, finché, come bambini, senza il tedio della vita, senza il senso della morte, abbandonano la vita.

 

I bambini, gli artisti, i pazzi ed i vecchi lo sanno che il solo modo per considerare saviamente il tempo è quello suggerito da Albert Einstein in una lettera scritta dopo la morte di un suo prezioso amico, vale a dire che la separazione tra passato, presente e futuro è solo una nostra illusione. E che, per quanto tenace, resta pur sempre un'illusione...

Ma tutti gli altri?

Inconsciamente ognuno di noi conosce la risposta e probabilmente sa, anche senza comprenderne il motivo, che a metà fra quell'arco temporale definito “passato” e quello chiamiato “futuro” c’è un qualcos’altro che non è solo un effimero ed istantaneo “presente”...ma un di più, una zona intermedia.

E se, certamente, o forse dovremmo dire convenzionalmente, nelle nostre esistenze, a garantire un andamento "normale" all'interno di un percorso quotidiano di vita, il tempo c'è, lo stabiliamo, lo organizziamo, lo contiamo e in un certo senso lo inventiamo anche, ciò non toglie che un “questo momento” per l'universo, comunque, non esista...

 

 

 

 

 

 

Alice: “Per quanto tempo è per sempre?”

Bianconiglio: “A volte soltanto per un secondo.”

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

MATEMATICA E POESIA

 

 

«2 + 2 = 4 è giusto; 2 + 2 = 5 è meraviglioso»

Fëdor Michajlovič Dostoevskij

 


Non solo la matematica e la filosofia sono figli legittimi della logica, anche la grammatica è una sua regolare erede.

Dostoevskij riteneva che ci dovesse essere un segreto accordo mentale fra la matematica e la poesia e che ogni qual volta le espressioni della prima si congiungono a quelle della seconda, il risultato fosse la meraviglia del nonsense.

Ma talvolta, paradosso dei paradossi, accade che proprio dal nonsense scaturisca un soccorso alla logica più inattaccabile.

Prendiamo il dialogo fra la Lepre marzolina, altrimenti detta Leprotto bisestile e la sempre più spaesata Alice in un paese (anche) di meraviglie sillogistiche…

 

"Allora dovresti dire quello a cui credi", riprese la Lepre Marzolina.

"È quello che faccio" - rispose subito Alice - " O, almeno credo a quello che dico…il che poi è la stessa cosa."

"Niente affatto, non è la stessa cosa!"- puntualizzò il Cappellaio - "E’ come se tu sostenessi che affermare vedo quello che mangio sia equivalente a dire mangio quello che vedo!"

 

Ed in effetti, la precisazione del Cappellaio matto, è perfettamente logica e pertinente.

Affermare quello in cui si crede, infatti, non equivale al credere a quello che si dice.

Il primo caso – dire quello in cui si crede - implica il presupposto che ogni volta si crede a qualcosa, la si dica.

Il secondo caso, invece, non implica affatto questo presupposto come una conditio sine qua non, e non ritiene che l’affermare qualsivoglia cosa sia una conseguenza diretta del credere. Presuppone, invece, che quando (e se) si esprime qualcosa, se ne sia convinti.

Il che, però, non significa necessariamente che, pur essendo convinti di qualcosa, la si debba obbligatoriamente dichiarare (come, al contrario, viene evidenziato nel primo caso).

Il fatto è che non è difficile distrarci e, per lassismo o per eccessiva ansia di semplificazione, talvolta capita che non ci si renda neppure conto di articolare un concetto con un significato molto lontano da quello che si credeva di esprimere.

Un po' come succede ad Alice, sempre precipitosamente certa delle sue acquisite convinzioni...

E su di lei, infatti, Carrol precisa che “siccome non era in grado di rispondere a nessuna delle domande, non dava molto peso alla maniera in cui se le poneva.”

 

Conclusione? Se per l’aritmetica 2 + 2 = 4 è giusto e per la letteratura 2 + 2 = 5 è meraviglioso…per me, invece, è semplicemente fantastico che dalla follia possa scaturire la più lucida delle ragioni…

 

 

“Alice, ma tu ogni tanto impari qualcosa dalle tue esperienze passate o cosa?”

“Cosa.”

 

 

 

 

 

NOTA: L'immagine utilizzata per il post è stata reperita dal web e non è stato possibile risalire all'autore. Pertanto, qualora il legittimo proprietario lo richiedesse verrà subito rimossa. Grazie!


 


 
 
 

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