Creato da elioerato il 06/07/2009

Di Noi Due

una storia

 

 

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capitolo 25

Post n°25 pubblicato il 17 Gennaio 2010 da elioerato
 

Lisa finiva di truccarsi, sovrappensiero. Anche se era sabato mattina, si stava già preparando per uscire. Lucida e razionale, pensava al lavoro. Non intendeva rinunciare a quel prezioso disegno, e adesso continuare con dei sotterfugi era inutile, chissà dov'era stato nascosto. Certo lo aveva portato con sè Valerio, senza nemmeno immaginare quanto valesse in realtà, ben più di quanto immaginava lo stesso proprietario. Erano originariamente cinque fogli, lei ne possedeva già due, riuscire a completare la collezione avrebbe moltiplicato il valore e forse avrebbe permesso di studiare quello strano codice di lettere e simboli nascosti tra i volti. A questo punto era necessario giocare a volto scoperto, entrare in trattativa per acquistarlo, sperando che non sapessero di cosa si stesse trattando.
Uscendo dal bagno incrociò Lorenza nel corridoio, le sorrise lievemente:
- Buongiorno!
La vide abbassare lo sguardo e rispondere arrossendo:
- Ciao...
Lisa la aspettò in cucina preparando il caffè. Le spiaceva aver disintegrato l'equilibrio che c'era tra loro. Anzi, no. Soprattutto le spiaceva non provare niente. Guardarsi interiormente era devastante: un inutile susseguirsi di storie, da un letto all'altro, da un'esperienza all'altra, sempre spingendosi oltre per vedere se esiste la passione devastante che annulla la mente. E quella cosa bella che sentiva, da quella notte in Marocco, in cui si erano (quasi) baciate, quella fantasia dolce, quella tensione emotiva che provava per Lorenza, adesso era sfumata, bruciata, persa per sempre. E peggio, forse era perso per sempre anche quel loro rapporto complice e intuitivo. Non voleva perdere l'unica amica di cui si fosse mai fidata. E non voleva soffermarsi troppo ad analizzare l'aridità di cui era capace.
Quando lei entrò nella stanza il silenzio si fece opprimente.
- Hai mal di testa Lory? Non hai dormito bene? Hai una faccia...
- No, grazie. Prendo un caffè e passa tutto.
Rispose sedendosi, sempre celando quell'imbarazzo che temeva avrebbe fatto parte di lei per sempre ormai.
- Hai bevuto troppo ieri sera...
- mmm... forse...
- Hai fatto sogni agitati stanotte...
- mmm... Dici?
- Dico.
L'accenno di sorriso di Lisa diceva tutto: "facciamo finta di niente, facciamo che l'abbiamo solo sognato, non è mai esistita questa notte..."
- Hai bevuto anche tu però. Hai sognato anche tu?
Si scioglieva ormai il gelo tra loro, Lorenza accettava volentieri questa soluzione del gioco.
- Credo di aver fatto un sogno strano e complicato... Ma non ricordo più cos'era.
Le diede un bacio sulla fronte per salutarla per uscire, come faceva sempre.
- Fai pure con comodo, io credo di stare via tutta la mattina... Ci sentiamo per pranzo magari?
Ma prima che Lorenza potesse rispondere lei era già uscita.

In taxi Lisa fece delle telefonate per organizzare l'incontro con Paolo Sassi, l'attuale proprietario di quel disegno: stabilire un contatto, riallacciare i rapporti. Era stato un grande frequentatore della sua galleria e la mossa giusta poteva essere rendersi semplicemente "disponibili" a qualunque accordo. Nell'ambiente in fondo si sa tutto di tutti: dopo il tracollo dell'azienda di famiglia in seguito alla giuda incapace del figlio maggiore, poi morto suicida appena un anno prima, Sassi stava cercando di salvare il salvabile prima di dichiarare il fallimento ufficialmente. Lei intendeva offrirsi per custodire i suoi tesori artistici nella sua galleria. Nessun accenno diretto al disegno, nessun rischio di svelare il suo fine ultimo. Seguiva questi pensieri mentre ascoltava al telefono la musichetta di attesa del centralino che avrebbe dovuto metterla in contatto con Sassi. Inutilmente. Chiuse la comunicazione con stizza, guardò fuori per raccogliere le idee. Poi diede al tassista un altro indirizzo. Non intendeva rinunciare.

La finesta dell'ufficio di Diego Sassi affacciava su un piccolo parco cittadino. La redazione silenziosa del sabato mattina era sembrata il rifugio ideale per trovare distrazione e quiete allo stesso tempo. Aveva vari pensieri per la testa, e sperava di trovare pace nell'ambiente del lavoro, l'unico campo in cui aveva avuto soddisfazione. Nella direzione del Cryptex aveva puntato su scelte nette: aveva preferito l'uscita mensile, per curare con migliore qualità i servizi. E un'impaginazione ampia per lasciare più spazio alle foto, spesso di valore artistico. E aveva curato la scelta della carta, la scelta dei colori, voleva creare un qualcosa di prezioso, che il pubblico avrebbe conservato per consultarlo poi, o semplicemente per averne riconosciuto il prestigio. Questo aveva alzato i costi del prodotto, ma restava a pari prezzo di altri mensili concorrenti. Risparmiava sulla pubblicità, comunicavano l'uscita del nuovo numero solo in rete o in radio, molto semplice ed economico, anche se la popolarità aumentava grazie soprattutto al passaparola degli assidui lettori. Tra cui spiccavano grandi nomi della musica e dello spettacolo che non perdevano occasione di adulare il Cryptex, ormai comparire tra le pagine della sua rivista era una garanzia di qualità.
Ma quella mattina non trovava consolazione nei suoi successi. Pensava a suo fratello, a come vivesse come sfida e competizione ogni piccola cosa, senza pensare, senza capire. Fino a perdersi, fino ad arrendersi tutto in una volta, fino a spararsi per non affrontare i suoi errori, o per la vergogna di averne commessi tanti, o per non essersi perdonato il proprio fallimento. Pensava a suo padre che cercava di districarsi da un anno tra debiti e investimenti sbagliati, e ora lo vedeva chiudere il lavoro di tutta la sua vita, implicato in chissà quali strategie, lecite o no, nel giro di un mese. Pensava a chi rinuncia, a chi non lo fa in tempo. E a chi invece ci riesce. Pensava a Valerio, l'amico che più stimava, sempre in conflitto con cosa è giusto e cosa è utile fare, sempre onesto nelle sue confuse idee. E faticava ad ammettere con se stesso quel livore sottile della sera prima, a confessarsi che fosse sana gelosia. Non aveva mai visto Alessandra così felice, così euforica, così innamorata. Quando stavano insieme lei non era così. Quando stavano insieme lei era...

Quando ci si perde nei propri pensieri si entra in un'altra dimensione. Il corpo resta qui, magari impegnato in qualche attività, ma la mente è via, da un'altra parte, a vivere un'altra storia, a sentire un'altro mondo. Quando Lisa è entrata nella stanza fu come l'improvviso tuono di una tempesta. E non è facile richiamare i sensi da quel mondo, così, tutti in una volta. Il viso accenna espressioni discordanti, sorriso, serietà, disappunto, di nuovo sorriso. E gli occhi hanno quella luce particolare, ci mettono un po' a perdere brillantezza e tornare in sè, normali. E' come rientrare dopo un viaggio, spaesati e distratti. Ma è questione solo di un attimo e tutto torna alla normalità.
Accorgersi di questo momento è come commettere un furto. Ma non tutti ne sono in grado, le persone spesso sottovalutano i dettagli, non si rendono conto di quando uno sta volando via, di quando non vorrebbe ancora tornare. Lisa si sentiva imbarazzata per quell'intrusione.
- Scusa, ho trovato il portone aperto... credevo foste aperti.
- Ah... Eh... No, la redazione salvo casi eccezionali il sabato è chiusa. Signorina...?
Ecco di nuovo il controllo, l'uomo giusto al posto giusto, il direttore che parla mentre è ancora girato di spalle.
- Sono io, Lisa Corona. Diego, non ti ricordi di me?
- Ma no, scusami tu... Ciao.
Si erano incontrati in varie circostanze, feste mondane, presentazioni di libri o mostre. Lisa voleva inizare una breve conversazione di circostanza, poi cadere sul discorso delle imprese Sassi e infine capire se poteva avere aiuto da lui.
- Ti ho visto ieri sera. Non sapevo ti piacesse il jazz.
- Sì... Già... Cosa c'è?
Ecco. Quanto odiava chi non seguiva i suoi copioni mentali. La gente si è inventata centinaia di modi per parlare senza comunicarsi niente, perchè azzerare anni di ipocrite buone maniere in una domanda così diretta? Non era preparata a questo.
- Ti sto disturbando, non dovevo venire qui così.
- Ma no... Non volevo essere brusco. Il fatto è che adesso qualunque cosa tu voglia da me... beh... non mi interessa, non ti presterei attenzione, non saprei risponderti.
Diego era tornato a guardare fuori dalla finestra. Il sole iniziava a scaldare e il parco giochi vicino al palazzo iniziava a popolarsi.
- Che bella giornata sta venendo fuori.
Disse. Lisa taceva, un po' offesa, un po' curiosa.
- Lisa... usciamo, facciamo un giro.
E sorrise Lisa. "Questo qui" pensò "è diverso da chiunque altro!"

Avevano camminato nel parco, sentendosi turisti stranieri: era molto piccolo in realtà, ma tra tate polacche e badanti russe, bambini colorati e vecchietti che imprecavano in dialetto si sentivano al centro del mondo, tante culture diverse lì insieme e senza in realtà toccarsi mai tra loro. Ne parlavano mentre si sedevano sull'unica panchina libera, in pieno sole, in riva al piccolo stagno.
- Ma in fondo nessuno si tocca mai davvero. Non conosciamo nessuno, nemmeno noi stessi, e i piccoli contatti che abbiamo, che crediamo di avere, sono artificiali, restano vuoti.
Diego parlava senza preoccuparsi di chi aveva di fronte, era come se i pensieri che aveva sempre avuto solo in quel momento trovassero il giusto linguaggio per venire espressi. E certo era piacevole passeggiare con una bella donna, colta, elegante. Ma non gli interessava conquistarla o sedurla in qualche modo, solo riuscire a farle capire i suoi pensieri.
- Il fatto è che le persone hanno troppa paura di conoscersi, perchè conoscere se stessi, o un'altro, significa affrontarsi, e questo crea dolore, e questo fa paura. Perciò poi si arrendono.
Lisa intuiva che stesse parlando di suo fratello. Taceva e ascoltava, attenta e partecipe di quei discorsi. Perchè nessuno mai le aveva parlato così? Perchè è così difficile dirsi queste piccole verità?
- La cosa triste è che il dolore più difficile da affrontare lo impariamo fin da piccoli. Tutti gli altri sono piccoli dispiaceri al confronto, sono piccoli disturbi, superabili.
- E quale sarebbe il dolore più doloroso?
Lisa si interessava, si sentiva come in quei libri di parole fitte fitte in cui si scoprono misteri che avevamo sempre taciuto dentro noi stessi, pensava al contesto, ai discorsi e si sentiva fuori dal mondo.
- La felicità sta dietro ad una porta. Ad un certo punto finalmente arriviamo a questa porta e scopriamo anche di avere con noi la chiave giusta per aprirla. Ma, in coscenza, non possiamo aprirla. Ne siamo capaci, ma non potremo mai aprirla. Mai. Questo "mai" è il Dolore. E non è fatale, non è mortale: è un dolore cronico che viviamo da sempre, per sempre, come l'essenza più intima che siamo, così totale e completo da essere parte di noi. E non puoi scappare dai tuoi "mai", in nessun modo.
Lisa non riusciva a capire. Coglieva la vastità di questo pensiero, ma non riusciva a leggerlo in se stessa.
- Avevo una ragazza fantastica, meravigliosa, che voleva solo il mio amore, la mia attenzione. Volevo essere alla sua altezza, volevo essere perfetto per lei, volevo essere il migliore perchè fosse fiera di me. E volevo valorizzare le sue doti perchè il mondo intero riconoscesse il suo valore. E solo dopo pensavo a stare insieme, finalmente, a completarci io e lei. Era questa la mia chiave.
E dicendolo raccolse un sasso e lo tenne in mano.
- Ma preso dal mondo che volevo creare per il nostro futuro, non mi sono occupato abbastanza di noi, nel presente. E l'amore che lei provava si è spento.
Lisa era assorta quando suonò il suo cellulare. Rifiutò la chiamata, come se fosse una consuetudine, un segnale.
- La mia porta allora è lui.
E sorrise indicando il cellulare, sorpresa di aver raggiunto una tale confidenza da sentire la sua voce esprimere quelle sensazioni.
- L'unico uomo al mondo che amerò mai, l'unico che mi ama davvero. Ma è sposato, ha famiglia. E la mia chiave è questa.
Raccolse anche lei un sassolino, e lo guardava come la cosa più preziosa al mondo.
- So che lo renderei felice. Ne sono certa di questo. So che con me sarebbe davvero felice, totalmente. Ma adesso no, ormai no. So anche che non supererebbe mai il rimorso di lasciare sua moglie e i suoi figli, di spezzare il cuore a chi vive con lui. Per questo non userò mai la mia chiave. Resto davanti alla mia porta e non oso nemmeno bussare. Figuriamoci insistere con una chiave.
Si guardarono un po' commossi, e confusi, increduli di tanta sincerità. Ancora con quei sassolini in mano.
- E di queste chiavi allora che ne facciamo?
- Niente...
Sorrisero tra loro, e lanciarono i sassi, le loro chiavi, i loro "mai" nell'acqua. Guardarono i riflessi delle onde concentriche perdersi nel piccolo stagno, ognuno raccolto nei propri pensieri, immaginando che fosse ora cercare un'altra felicità, e allo stesso tempo ritenere bellissimo anche solo avere qualche piccolo spazio in quella stessa felicità.
Diego scherzò:
- Dai, la felicità non scappa, ci aspetta. Troveremo una finesta aperta da cui entrare prima o poi...
Prese sottobraccio la sua nuova amica e la invitò a prendere un caffè. E lei non si ricordava nemmeno più cosa era venuta a fare da lui...
- Caffè?
- Caffè!
- E poi lo sai come si dice... si chiude una porta.. si apre un portone...
Diego lo disse con leggerezza, ma non si sapeva spiegare cosa sentisse.
Era stata una mattina sorprendente, non avevano mai parlato così con nessuno.

 


 

 

 
 
 
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