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"POETA IMPUDENTE" 2 di Gian Paolo Serino

Post n°9 pubblicato il 01 Marzo 2008 da eirox
 

Tratto da KULT di febbraio 2008

PARTE 2

Come vivi il rapporto tra musica e scrittura: intendo come contaminazione...

Scrittura e musica sono i due ambiti artistici che più mi attraggono, dunque è del tutto naturale per me mantenerli in costante ten­sione reciproca. La letteratura m’ispira spes­so, quando sono in un processo creativo per i Marlene. Ho imparato che se nulla arriva e il foglio bianco sotto di me comunica l’urgenza di esser riempito in qualche modo fruttuoso, non mi faccio pervadere dal timore di non aver più nulla da dire: con calma apro un libro (già iniziato o nuovo... poesie magari) e inizio a leggere. Prima o poi una frase magni­fica, un’immagina suggestiva, una serie di parole sonore mi accenderanno di colpo, e per contagio una mia immagine personale si farà largo dando il via alle prime parole del mio nuovo testo. Con i reading siamo agli inizi: ma sento che è una nuova esigenza di molto pubblico. E una strada che i Marlene intendono percorrere poco per volta. Con entusiasmo.

Con i Marlene hai introdotto una sorta di sensibilità “malata” del rock post punk di matrice anglosassone americana (i Sonic Youth). Il vostro evolvervi vi ha portati a provare strade più accessibili: all’inizio una musica tutta istinto e poca tecnica (nel DNA del genere). Pian piano, volendo affrontare invece le “regole” della musica popolare avete sperimentato cose che molti altri della musica “di massa” darebbero per scontato... Mi sembra che la stessa evolu­zione ci sia anche nei racconti, molto spesso si ha l’impressione di un meccanismo perfettamente modificato: girando pagina trovi esattamente non quello che ti aspetti ma quello che avresti voluto trovare.

Mi sembra presto per fare questo tipo di analogie. Con la musica e le canzoni mi sento esperto e so giudicare bene cosa faccio, dove vado, cosa voglio ottenere. Con la scrittura in prosa mantengo le riserve e il pudore, ammettendo di non sapere giudicare altrettanto distintamente. Ne parleremo fra qualche libro, se nel caso…

Racconti di disagio: all’interno però, mi sembra, di un utero materno, di un’unità di pensiero che avvolge e non fa sentire estraniato il lettore (penso ad esempio, è un particolare ma conta, a quando scrivi delle mostre di arte contemporanea a Brescia. Credo pensassi a quelle di Goldin: mostre di mass marketing, senza rotture, da unità di pensiero...)

Scrivendo i miei racconti ho provato la piacevole sensazione di avere molto a cura il lettore. Tanto quanto sento che lui non mi deve abbandonare e deve essere paziente e volitivo, altrettanto sento di potergli promettere la mia presenza, generosa e affettuosa. E no, non pensavo a Goldin: seguo pochissimo il mondo delle mostre purtroppo. La scelta di Brescia è stata del tutto casuale: era una città non lontana da Parma, luogo di residenza della protagonista del racconto da te citato. Tengo a sottolineare che non sento solo disagio nei miei racconti: tre di essi hanno altri obiettivi che non comunicare disagio. Ma ben vengano le interpretazioni.

So che tieni laboratori di scrittura creativa: com’è la fabbrica del racconto, l’officina creativa, di Cristiano Godano? Penso ad esempio a racconti congegnati quasi a tempo (per certi versi mi ricordano Navi in bottiglia di Gabriele Romagnoli) per arriva­re a un colpo di scena che ne ribalta quasi il senso. Miri quasi, come diceva Artaud, all’orologeria dell’anima

Ho un’attitudine baudelairiana; in una lette­ra il francese scrisse «Sono uno di quelli che credono che qualunque composizione lette­raria, anche critica, debba essere fatta e manovrata in vista di uno scioglimento. Tutto, anche un sonetto...» Il finale per me (cito un altro scritto, di un bravo saggista come Nicola Gardini) «deve sollevare il letto­re a un secondo livello di conoscenza, deve finalmente aprirgli gli occhi su un significato che si è fatto strada via via senza che lui se ne accorgesse». Tutta la mia produzione per i Marlene in fondo asseconda questa regola. A volte con buoni risultati; altre probabilmente meno.

In un percorso come quello dei Marlene Kuntz quanto è stata importante l’attività di Godano come autore, nelle sue diverse vesti di “poeta”, negli spettacoli con Manuel Agnelli degli Afterhours, nella scelta di lavo­rare sempre e comunque dando molta atten­zione ai testi — cosa molto diversa rispetto alla matrice anglosassone che nel post punk non dava certo questo peso?

Molta importanza, non c’è dubbio. Lo atte­stano i commenti della gente che si sofferma spessissimo sui miei testi: inevitabile pensare ai Marlene come a un gruppo musicale i cui testi sono di cruciale importanza per il pro­getto stesso. Nel bene (secondo gli ammira­tori) e nel male (secondo i detrattori). Non credo sia la nosrra “italianità”: io amo Nick Cave, che è australiano, e i suoi testi sono poetici, curati e pienissimi di parole, oltre la cantabilità regolare del pop o il parziale disinteresse dei post punk.

...e adesso, per chi non l'ha ancora fatto, iniziate a leggere KULT, una rivista di moda arte design, che compie 10 anni di vita e attività e li festeggia con questa frase:
"Ho bisogno di distinguermi dalla massa. Non mi sento al mio posto in mezzo alla maggioranza." Jim Morrison

 
 
 
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