Creato da: sisifogi il 24/08/2005
DIARIO DI UN SEMILIBERO

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Oimè, quanto somiglia al tuo costume il mio!

Post n°22 pubblicato il 26 Gennaio 2006 da sisifogi

 

A Mary Shirley... Solo per te

 

Quella sera, sul divano di casa mia, scivolavano delicate le mie mani sul tuo corpo.

Potevi essere una delle tante che su quel divano avevano lasciato il loro odore, ma le mie mani accarezzavano qualcosa di diverso, che le altre non avevano… il tuo dolore divenne la ragione del mio amore.

Ti ho nascosto questo segreto per tutta la sera, anche dopo che sono uscito da te.

Il giorno dopo, nella tua camera ti ho amata in silenzio, ma poco mancò che ti sussurrassi all’orecchio il segreto.

A chi potevo confidare questo segreto?

Al vento? Lo avrebbe tradito.

Alle stelle? Troppo lontane.

Agli uomini? Non avrebbero capito.

Soltanto a te potevo confidarlo, tu l’avresti serbato.

Se solo saresti stata più accorta, ti sarebbe bastato chinare il capo sul mio cuore e il mio segreto ti sarebbe stato svelato senza che io proferissi alcuna parola.

Così nella notte, chiuso nella mia cella e nella cella del mio cuore, lo confidai alla notte.

“C’è una ragazza – dissi alle tenebre – bella più del sogno della mia anima, pura più della luce del sole, profonda più delle sorgenti del mare, eletta più del volo dell’aquila, limpida più dell’acqua sorgiva…

Io amo questa donna, l’amo più della mia vita, più di tutti i miei desideri, lei è il mio unico desiderio; più di tutti i miei pensieri, lei è il mio unico pensiero… Io l’AMO!”

“Notte custodisci questo mio segreto, serbalo finché io non abbia il coraggio di svelarlo a lei”. Ci promisimo reciprocamente un complice silenzio.

Questa sera, sotto un cielo carico di stelle, alla luce tenua di un medaglione di luna, il fragore delle onde del mare, un freddo pungente dei nostri corpi seminudi, avvinti in un abbraccio senza respiro e una sottile lacrima che silenziosa scende lenta sul mio viso, le mie labbra si schiudono per dirti: “TI AMO” “TI AMO MIA PICCOLA SHIRLEY”

Il tuo volto si fece grave e pensoso, le tue esili braccia mi strinsero tenacemente, fortemente come se volessi farmi entrare dentro di te.

Poco dopo le mie orecchie udirono il suono tremulo della tua voce:

“MAI NESSUNO ME LO AVEVA DETTO”

Ed io ti avvinghiai a me con la forza tenace delle mie labbra.

Quando ti staccasti vidi, al pallido chiarore della luna, il tuo volto contratto e gli occhi bassi, per poi fissarmi a catturare i miei:

“PERDONAMI MA IO NON POSSO… NON POSSO DAVVERO AMARTI… HO TROPPA PAURA DELL’AMORE!” dicesti esitante e tremante.

Mia piccola Shirley, mia graziosa fanciulla conosco le tue sofferenze passate, un dolore tremendo ti ha lacerato il cuore. C’è chi per nulla, a tuo confronto, di ciò che tu hai patito, ha chiuso le porte del cuore all’amore per l’eternità.

Ti capisco, comprendo veramente il tuo timore, sì lo so!

Tu pensi che io non abbia alcun timore? Ma non è proprio il timore a rendere interessante l’amore? Non sono forse le nostre paure a rendere interessante la vita? Di cosa possiamo mai essere certi? Non ci sono certezze su questa terra, tranne la MORTE, eppure non continuiamo ugualmente a vivere? Così, come si vive la vita bisogna vivere l’amore.

Non pretendo il tuo amore, già il mio è un amore senza pretese. Mi è bastato solo il tuo BENE a colmare il mio grande cuore d’amore.

Se un giorno vincessi le tue paure e chiamassi questo tuo BENE AMORE, tranne per quella dolce sensazione provocata dal suono della tua voce, io non potrei più ricevere nulla di quanto già mi stai dando.

Sono dunque io a consigliarti di non amarmi se volessi amarmi così come ciecamente hai amato il tuo fidanzato che tanto dolore ha cagionato al tuo cuore già malato. Sono ancora io a consigliarti di non amarmi se l’amore se l’amore fosse una rinuncia alla tua vita, se fosse una rinuncia alla tua libertà.

TU NON SEI MIA ED IO NON SONO DI NESSUNO!

 

 

 

 

 
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Un angelo senza Dio

Post n°21 pubblicato il 05 Gennaio 2006 da sisifogi

Shirley sarò il tuo Angelo Nero

Nessuno potrà più farti del male...

 
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 Tornando la sera

Post n°20 pubblicato il 27 Ottobre 2005 da sisifogi

 

Il sabato lo trascorro a casa, ma la notte devo pernottare in cella. Giungo a Messina verso le otto e trenta di sera. Mi restano ancora qualche paio d’ore prima di rientrare in prigione. L’autista del pullman, sotto mia indicazione, mi lascia nei pressi del Viale Europa. Ho voglia di passeggiare. Gocce fine di pioggia vaporano nell’aria afosa, la borsa col portatile non mi pesa sulla spalla e mentre i tacchi risuonano sull’asfalto mi sento pervaso per un istante da un brivido di libertà.

Un sparuta folla sosta nei pressi di una rosticceria ad angolo e affianco altri consumano un aperitivo sopra due botti panciute, ritte ai margini della porta spalancata del bar. Entro e mi avvicino alla casa. Una anziana signora trascurata digita lo scontrino per un caffè. Io avevo già cenato e la sera vado a letto presto. Un bel uomo alto e grasso, con folti capelli brizzolati e un stereotipato sorriso sul volto mi porge la tazzina, io sorrido altrettanto e verso la bustina con lo zucchero che miscelo quasi nervosamente. Intorno, persone vissute fino a quel momento senza che nulla della loro esistenza arrivasse a me, vestiti di luce, di risa, e di donna. Esco, ma mi fermo sulla panchina sotto un telo sopra la vetrina. Guardo i fili di pioggia scomparire al suolo silenziosi e alla mia destra un ragazzo e una ragazza coprono un loro amico che sta sbriciolando un tocco di fumo nel palmo della mano. Intanto parlano tra loro di lavoro. Intuisco che si lamentano di un datore di lavoro mentre l’amico versa il contenuto della mano in una cartina lunga e rulla. La ragazza dalla bocca larga a gengive scoperte nota i miei sguardi e con un gesto d’intesa avverte i compagni che mi lanciano uno sguardo diffidente. Io sorrido e li tranquillizzo. Il fumo si propaga nell’aria carico di ironia. Faccio un tirocinio in una Comunità per il recupero di tossicodipendenti, ma non ho alcun motivo per dire le solite e inutili raccomandazioni. Mi muovo inspirando il fumo e proseguo passeggiando.  

Nei pressi della piscina comunale, sotto una grande insegna di luce gruppetti di genitori, in attesa dei figli bagnanti, parlottano tra loro e tacciono al mio passare incuriositi e dopo sorpresi nel volto corrugato. Mi osservano, io allungo il passo. Mi sento a disaggio finché oltrepasso la scena e l’oscurità mi avvolge. Avevo paura di sentirmi male tra quella gente pronta a saltarmi addosso. Ho sempre visto intorno a me i volti disprezzanti al passaggio di un uomo in catene scortato da agenti. E ancor prima di sapere se l’uomo si era macchiato di un delitto “Maledetto” dicevano. Non ho catene né agenti al mio fianco, solo il carcere impresso sulla faccia.

Mi sento uno “Straniero” o forse un “Buffone”. Così come mi definisce Raffaella, la ragazza molle dagli occhi chiari innocenti del servizio civile. La grandezza del mio spirito desta ilarità. Me ne compiaccio, d’altronde sono un Re senza regno. Ancora oggi mi chiedo con fastidio come sia potuto uscire da me l’essere torvo che ero allora. Stanchezza, forse. Il mio passo solitario si ferma davanti a una grande struttura. Sto davanti al cinema Don Orione. Due alte colonne cubiche sormontate da una trave, una porta gigante mi porta in un luogo semioscuro, rincuorante per il mio malessere e siedo su un lungo sedile di marmo. Dialogo con me stesso malinconicamente, in un silenzio popolato di lacrime. Eccomi fuori dal carcere, in una città estranea, senza amici a cui parlare, senza donne da amare, senza speranza di restare. Eccomi sguarnito di tutto, seduto al buio, a guardare dentro me, in un crepaccio senza fondo. Mi vien voglia di urlare al mondo l’angoscia della mia miseria.

Una donna, poco distante da me, attende il tram. Alta, magra, scura, con una camicia bianca con le maniche risvoltate quasi fino ai gomiti e una gonna nera sulle ginocchia si volta e mi osserva strizzando gli occhi brillanti. Il suo volto pallido ed emaciato assomiglia assai al mio. Mostriamo la faccia livida della sventura. Abbasso lo sguardo ancora nel fondo tenebroso dell’anima. Sono cosciente che nulla potrà tirarmi fuori dalla oscura cella del mio cuore dove e segregato l’amore per condurmi verso l’abbraccio caldo e infinito di una donna. Un amico mi disse “Non essere amato è solo sfortuna, non amare è sventura”. Morirò nella sventura.

Mi allontano silenzioso verso il mio sicuro destino. Le mura confortanti e sicure della prigione mi attendono come ogni sera. La borsa con il portatile adesso la sento sulla spalla. Sento anche freddo. È il freddo dell’anima. Eppure in questo cuore quieto, in questa grande mancanza anche questa fila di salici piangenti di fronte al cimitero diventano la più tenera e la più fragile delle immagini di questa serata uggiosa. A proposito, piove ancora, me ne accorgo solo adesso.

Finisco qui. Tanto lo sapete. La porta della prigione si aprirà e si richiuderà subito alle mie spalle. Poco dopo mi abbandonerò alla dolce indifferenza del modo.

Buonanotte

 
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Anniversario

Post n°16 pubblicato il 10 Ottobre 2005 da sisifogi

 

LA FINESTRA

 

“Alla memoria di Guido”

 

Per vent’anni, mai un appuntamento mancato, poco dopo che la pesante porta blindata si chiude sul cancello della cella, Guido si affaccia ogni sera alla finestra.

Quest’ora serale, nell’ultima luce, quando i rumori del carcere lentamente si dissolvono, il tempo si avvolge su se stesso, le coscienze si scuotono, lacrime sparse del tutto inutili e vane; è questa l'ora in cui i carcerati colmano la loro anima di preghiere e speranze, o sfogano la loro inutile collera contro il loro cupo destino a cui sono costretti ad ubbidire.

Dalla finestra della cella, del super carcere di (…), sezione Alta Sicurezza, aggrappato alle gelide sbarre, Guido, spinge lo sguardo e il pensiero oltre il muro. Oltre i confini della sua esistenza. Su quel mondo esterno, egli apre gli occhi dell’anima, insegue con tutte le sue forze le immagini di una libertà in cui una luce crepuscolare, una linea sinuosa di colline, un gruppo di case, una chioma fronzuta di un albero prediletto e il viso immaginato di una donna e di una bambina compongono la stessa cartolina.

Il tempo di accarezzare una chimera e di colpo sente quanto sono strette le pareti nude della cella. Un’unica stanza in cui non c’è altro che un letto, uno sgabello, un tavolo, un cesso e un lavabo, ferro e cemento. Dopo la condanna all’ergastolo per strage, quella del treno 904, 16 morti e 131 feriti, percepì che la sua casa era quella cella, il suo unico mondo la prigione e la sua vita si sarebbe fermata lì.

Uomo dal carattere taciturno e chiuso, dai lineamenti fini, dagli occhi grigi scavati, i capelli sempre pettinati, abbondanti quasi bianchi, educato, gentile e sorridente, se avesse avuto anche una minima responsabilità su quei fatti, doveva premere sulla sua coscienza il carico di un’enorme rimorso.

Il rettangolo del cielo che vede dalla finestra ha dissipato le nuvole del giorno. Un manto di stelle, una luna molle, un vento profumato di libertà lo avvolge in questa notte senza fine. Sulla lastra di vetro, nella penombra, Guido osserva per l’ennesima volta la sua immagine grigia, mentre ode una voce. La riconosce, è la sua, che risuona nelle orecchie da moltissimi anni, sempre in quell’ora serale: “mi hanno lasciato solo la libertà di  uccidermi”.

È molto difficile spiegare cosa siano le sere in prigione, cosa siano le privazioni di una cella, la solitudine, il silenzio delle passioni, il continuo confronto con se stessi e con la propria condanna e cosa tutto ciò possa far partorire in un cervello pensante. Guido appartiene a quella risma di prigionieri che, per sentirsi liberi, hanno deciso di vivere senza ricorso. Non c’è nulla di più doloroso di una condanna senza speranza, ma è proprio la negazione di questa speranza che fece di lui, per vent’anni, un “libero prigioniero”. Non ha mai aspettato nulla, né la scarcerazione e nemmeno la morte. Ma viene una sera in cui ci si stanca del carcere, dei carcerieri e dei carcerati e, non si chiede altro che l’eternità di un silenzio.

Il lenzuolo bagnato annodato all’ultima sbarra dell’inferriata della finestra, addosso il vestito elegante, le scarpe di vernice, la foto della moglie e della figlia in tasca, un rosario tra le dita, un’ultima occhiata alla lastra di vetro, l’abbandono alla dolce indifferenza del mondo, prima del salto nel vuoto Guido pronuncia l’estrema sentenza: “Nella piena libertà. Nella mia indiscutibile qualità di giudice e di accusato, condanno questa vita, che, con una impudente sfacciataggine, mi ha fatto nascere per soffrire: io la condanno a morire insieme a me”.

Addio amico caro. Che il tuo Dio ti perdoni.

 
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Il sole

Post n°15 pubblicato il 06 Ottobre 2005 da sisifogi

 

RAGGI DI SOLE

 

Il cielo splende dolcemente sopra le casette del vecchio quartiere. Un leggero vento soffia muto tra la fila di alberi di pino che circondono la Comunità. Tutto intorno c’è uno strano silenzio. Tendo l’orecchio per ascoltare voci lontane, la mia stessa voce quando additavo la vita inutile e senza speranza.

Come ho potuto rinnegare questa vita e questo mondo?

Le pozzanghere di sangue sul selciato

Il pianto di una donna sulla tomba del proprio figlio.

La morte di un bambino

L’ignoranza e l’arroganza umana, la guerra

Erano un buon motivo per il “non-senso”

Ma questo sole non l’ho mai tradito

La sua luce, la sua energia, la sua forza, sono state le mie uniche speranze.

Quando i raggi di sole penetravano all’interno della mia cella, altre ore di vita rubate alla morte.

Da miliardi di anni egli non manca ad un appuntamento, sempre presente.

Anche quando il cielo era ammantato di nuvole io sapevo che lui c’era.

La vita non ha alcun senso, ma ogni mattina mi nutrivo è ciò ha un significato.

Se la vita non ha alcun senso, ha comunque un valore.

A partire dall’istante in cui non ci si lascia morire, si sceglie di vivere, e quindi si riconosce un valore alla vita, anche se relativo.

“L’ottimismo è il profumo della vita” dice un poeta. Non fa per me.

Troppo orrore hanno visto i miei occhi, troppa crudeltà, troppo dolore ho conosciuto e continuo a conoscere. Assassinio, ingiustizia, violenza ancora perdurano nel mondo.

Da parte mia ho cercato di superare le muraglie di questo pessimismo.

La rivolta e la solidarietà mi hanno fatto superare un tale scoraggiamento, e non per virtù, né per qualche strana forma di elevatezza, ma per un’istintiva fedeltà a questo sole anche nel dolore.

Al centro della nostra storia, pur buia che sia, splende un sole inesauribile, lo stesso che oggi sbatte sul mio viso.

Quello che sono, quello che debbo essere basta a riempire la mia vita e darle un significato.

Grazie ad un’Amica oggi ho imparato, che sono sorretto da una certa energia, è una luce verso cui vado incontro: l’amore di vivere e di vivere nell’amore. Grazie “psicoluna”

Un tempo vivevo in una caverna e vedevo solo ombre agitarsi sulle pareti scambiandole per l’unica realtà. Ho avuto il coraggio e la forza di uscirne ed ho visto il sole e la via della conoscenza.

Il sole sta chiudendo il suo occhio sul mondo degli uomini ed io provo una felicità silenziosa accompagnata da due sottili lacrime che scendono piano e respiro a pieni polmoni l’aria di lenta rinascita.

All’infuori del sole, dei baci, del profumo selvaggio di una donna, tutto mi sembra futile.

 
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