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DIRE O NON DIRE

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Suicidio

Post n°2 pubblicato il 15 Gennaio 2010 da hesse_f
 

 DIRE O NON DIRE

suicidio



Una persona a cui voglio bene, si vuole suicidare.
Lo dice con lucida tranquillità, e sta predisponendo le cose per questa evenienza. Non ha fretta.
Ho sempre sostenuto la totale, completa, inappellabile libertà di ogni individuo di decidere della propria vita così come della morte, soprattutto se non contrastata da convinzioni religiose o da vincoli terreni. Per essere proprio chiari, non credi in Dio e sei solo al mondo.
Potrei iniziare a questo punto una lunga lista di se e di ma, della serie:

“Se lo dice, non lo fa”,
“Ma alla fine l’istinto di sopravvivenza ha la meglio visto che è una persona attiva”
“Se si riesce a far passare altro tempo poi il dolore si acquieta e comincerà a ragionare”.

E’ infinita questa lista, e lei per prima mi ha elencate queste ipotetiche ragioni dettate dal buon senso ma non dal cuore.
Nessuno può essere in empatia con chi ha varcato quel limite. Si può cercare di capire, o provare a calarsi nel nostro momento di dolore più grande, per  arrivare il più vicino possibile al suo sentire, ma sono sempre palliativi, in fondo, tentativi patetici.
Forse per questo ho sempre cercato di avvicinarmi a questo tema non con il cuore ma con la ragione, come fa per i drogati chi sostiene “la riduzione del danno”.
Io sono per l’eutanasia. Ho visto persone soffrire, abbandonate giorno dopo giorno dalla forza e dalla voglia di continuare, in attesa e, soprattutto, in balia della morte che si divertiva a tirare in lungo una partita a scacchi già vinta. E pensavo, con rabbia, che sarebbe bastato così poco per acquietare la carne, e arrestare uno spirito che già era domato e lontano.
Perché vogliamo sentire solo il dolore del corpo e non quello dell’anima?
Dove sta scritto che fa meno male?

Forse, perché anche in questo, ci si basa sulla quantità, come per quelle malattie rare che la ricerca lascia da parte per studiare quelle che colpiscono i grandi numeri. Quasi tutti, prima o poi, direttamente o indirettamente, veniamo a contatto con un dolore fisico, lieve, grave,  che non perdona, e sappiamo come comportarci  perché fin da piccoli abbiamo visto dare al dolore un senso collettivo. Lo si deve per forza dividere con altri. Agli altri bisogna affidarsi per le cure.
Per l’anima invece, è un’altra cosa. Può piangere in silenzio e sanguinare senza bisogno di garze e di suture. Può restare una cosa tua. Nessuno insiste perché tu vada da un dottore. Inoltre non sei debilitato fisicamente quindi puoi continuare a produrre e a svolgere il tuo compito nella società, e così proprio perché non disturbi nessuno e prosegui nel tuo ruolo sociale, perché dovresti toglierti di mezzo?

Una volta, questa persona,  mi disse che la frase più stupida e, a suo parere insensibile, che si era sentita dire era “ Pensa quante persone vorrebbero essere al tuo posto?”.
Io a quest’amica non so cosa dire e poi se anche ci provassi non sarei convincente, una cosa però so con certezza vedendo il suo dolore, non le direi mai che il suo posto potrebbe essere ambito da qualcuno.

Oltre che insensibile mi sentirei cieca, sorda e imbecille.

 a.b.

scritto da: hesse_f   su: DIRE O NON DIRE...

 

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