Creato da JackMidnight il 01/07/2011

Bitter midnight

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Alfama

Post n°16 pubblicato il 01 Ottobre 2011 da JackMidnight

"Penso a volte che non uscirò mai da questa Rua dos Douradores. E se lo scrivo, mi sembra l'eternità."

[Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares di Fernando Pessoa]

(Quando visitai Lisbona per la prima volta ignoravo l'esistenza del "libro dell'inquietudine di Bernardo Soares", ovvero l'avevo intravisto varie volte e spesso ne ero stato attratto, ma mai così tanto da comprarlo)

Mi manca Lisbona e non so perché: chiamatela nostalgia, chiamatelo fascino ritardato, ma in questi giorni di canicola tenace e testarda non faccio altro che pensare ai suoi tetti rossi consunti dal vento dell’oceano.
Un vento umido che è parte della città stessa, e non capisci se le braccia del cristo redentore dall’altra parte del fiume siano aperte a protezione delle case del quartiere di Alfama, o siano allargate a voler trattenere, in un titanico sforzo, ogni refolo che spira dal mare nel recinto dei confini cittadini: così come si trattiene un toro a distanza nell’arena di una corrida.
Forse è la saudade di una città penetratami tra i pori dell’anima ma non completamente assorbita, o che non mi  ha completamente assorbito facendomi tutt’uno incompleto con i suoi vicoli risuonanti di fado gracchiante proveniente da vecchie radioline accese sulle finestre aperte, e dell’incedere sferragliante e anziano dei suoi electricos sospinti in salita dal loro motore bolso e testardo.
Tuttora sento delle urla delle donne di Lisbona come un eco  sospeso e ridondante nella testa. Quel giorno mentre saliva dai palazzi a poca distanza l’uno dall’altro fino al Miradouro di S. Caterina m’invitava a scendere giù, ad immergermi, a fondermi insieme alle voci della vera vita della città poggiando i palmi sulle azulejos e sul freddo della ceramica.
Dovevo  sporcarmi le suole delle scarpe con la sua terra, bruciarle con il calore dei marciapiedi infuocati nell'ultimo giorno di maggio che mi faceva dono di un sole rovente che prendeva a schiaffi la nuca e violentava le ginestre nei non-luoghi tra una palazzina e le altra. 
E loro con i loro fiori gialli rispondevano, ad ogni ceffone, mischiando il polline alla polvere della città, spingendolo via dalle crepe dei muri, fin sopra all’ultimo torrione del castello di Sao Jorge.
Lisbona fioriva fiondando via la sua natura e la vita di ogni suo abitante, affidandoli al vento dell'atlantico imperioso e sinuoso tra le stradine strette di vecchie lastre di pietra e binari piallati dalle ruote dei tram di legno; e quando finalmente libero, dopo una danza di mulinelli energici e nervosi, con un ultimo scatto di orgoglio saliva su! Fino agli strati più alti dell'atmosfera scevri di nubi e abitati di correnti vagabonde e messaggere per il mondo.
Forse quella stessa anima, che ho visto partire in quel preciso momento, sta tornando a casa e nel vento che fa il suo girotondo, si è fermato proprio davanti la finestra aperta della mia camera da letto e, traditrice, ha sussurrato in qualche mio sogno che è ora di tornare. 
E mentre resisto inutilmente, ascolto la voce di Teresa Salgueiro che invece di essere una catena, un ormeggio, è un’elica impazzita che mi spinge e costringe a tornare di nuovo.
E non ho mica tanta voglia di resistere ancora...


 

 

 

 

 
 
 
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