Eppure è Roma anche questa rinchiusa tra le lamiere sudate e poliglotte del 105 casilino. Piazza Venezia è il confine ultimo della città imperiale; la colonna traiana attorce fumetti di pietra all’aria sfatta e accaldata.
Chissà cosa pensavano i Daci; quelli rimasti tra le guglie dei Carpazi crocifissi ad istoriare i cerchi secolari delle querce o faccia in giù a specchiarsi sulla superficie lenta del Danubio. Chissà cosa pensavano i Nunbiani e i Cilici e i Persiani. Cosa pensavano i Galilei di Gamala spiegando le ali per l’ultima volta sul bordo della rupe? Forse le stesse cose che pensano oggi rinchiusi in questo tubo di latta gialla che rolla e beccheggia lungo le strade sfondate di periferia.
Ormai l’autobus lo prendono solo loro, gli eredi di quelle lontane genti tornati a rivendicare il “civis romanus sum” dei loro avi. Stanno tutti qua, stipati e sudati, pronti a farsi giudicare da Nerone.
Hanno occhi dolci, a volte grandi, ma di sguardi duri: si difendono abbaiando. Poi si alzano per cedere il loro posto non appena sale una donna incinta o un anziano.
Da bravo italiano abituato a fottere e a farti fottere, pensi che forse lo fanno solo per guadagnar consenso. Ma il consenso di chi? Non certo di quelli che l’autobus non lo prendono più perché ormai ci trovi dentro solo extracomunitari. E nemmeno il mio, che conto come un due di coppe quando briscola è denari.
Hanno gli occhi dolci e lo sguardo duro di chi ha timore; di chi sa che è lontano da casa mille miglia e cerca di ricostruirsela qui, una casa, tra gente che gli somiglia e gente cui vorrebbe somigliare.
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il 03/06/2024 alle 22:27
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il 11/09/2020 alle 15:37
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il 30/08/2020 alle 16:54
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il 26/08/2020 alle 23:41
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il 25/08/2020 alle 03:09